Stop all’alimentazione artificiale
E’ possibile in stato vegetativo irreversibile, se questa era la volontà del paziente. Il Consiglio di Stato pone la parola fine al “caso Englaro"

Il Consiglio di Stato pone la parola fine al `caso Englaro`, sancendo un fondamentale principio che pesa come un macigno dopo le polemiche e gli scontri politici, ideologici ed etici avvenuti in Parlamento, a mezzo stampa e che hanno diviso l’opinione pubblica: la nutrizione e l’idratazione artificiale sono a tutti gli effetti dei trattamenti medici e non dei semplici atti di alimentazione. Dunque, la struttura friulana che ha interrotto i trattamenti di alimentazione e di idratazione ad Eluana Englaro, comportando l’inevitabile morte della giovane in stato vegetativo da ben 17 anni, non può essere accusata di aver illegalmente compiuto l’Eutanasia, ma ha legittimamente interrotto i trattamenti medici.
Il nostro ordinamento, infatti, sancisce la "sacralità" dell’autodeterminazione, cioè il diritto di scegliere sulla propria vita o sulla propria morte. In base a tale principio è possibile rifiutare le cure sanitarie, anche contro il parere del personale medico. E’ un pilastro che rispecchia il diritto di libertà assoluta sulla propria persona. Tant’è che, viceversa, sarebbe illegale il comportamento del medico che, contro la volontà del paziente, proseguirebbe i trattamenti farmacologici e sanitari.
Il caso di Eluana Englaro è difficile da dimenticare, comunque la si pensi. Nel 2008, il padre di Eluana, Beppino Englaro, ottenne dalla Corte di Appello di Milano la possibilità che in una struttura sanitaria venisse distaccato il sondino nasogastrico che teneva in vita la figlia, da 17 anni in stato vegetativo. Così, Beppino Englaro, chiese alla Regione Lombardia di indicargli una struttura ospedaliera lombarda dover poter porre fine all’alimentazione e idratazione artificiale su Eluana. Il Pirellone, però, rifiutò le richieste di Beppino Englaro tramite una nota regionale, in cui si affermava che la nutrizione e l’idratazione artificiale erano invece "pratiche di base" mirate all’accudimento del paziente. Dunque, il sondino che teneva in vita Eluana non doveva essere distaccato. Soprattutto, perché Eluana non poteva "autodeterminarsi" ed esprimere la sua volontà, date le condizioni in cui versava.
Appellandosi al Tar per la Regione Lombardia, Beppino Englaro aveva ottenuto, nel 2009 (con la sentenza n. 314), l’annullamento della nota regionale ed ebbe, così, la possibilità di rivolgersi a una clinica friulana. La Regione Lombardia fece ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale lombardo. Oggi, a distanza di cinque anni, è arrivata la sentenza che mette definitivamente fine al caso.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4460 del 2 settembre 2014, ha respinto l’appello proposto dalla Regione Lombardia e ha, invece, confermato la sentenza del Tar lombardo. Nero su bianco, nella sentenza si legge che "l’alimentazione e l’idratazione artificiale non possono in alcun modo essere considerati una forma di alimentazione sui generis, quasi un regime dietetico a parte, un surrogato della normale alimentazione e idratazione naturale. Essi richiedono l’impiego di particolari tecniche mediche, che devono essere poste in pratica da personale specializzato, un costante monitoraggio della situazione nutrizionale e metabolica, stante anche il particolare contenuto e gli eventuali effetti indesiderati dei nutrienti forniti attraverso l’alimentazione e l’idratazione artificiale, una valutazione della loro efficacia terapeutica che solo il medico, e non altri, può compiere".
Il Consiglio di Stato, quindi, esclude categoricamente che il caso Englaro sia stato un caso di eutanasia: "il diritto costituzionale di rifiutare le cure, riconosciuto (...) dalla sentenza della Cassazione e, in sede di rinvio, dalla Corte d’Appello di Milano, è un diritto di libertà assoluto, efficace erga omnes e, quindi, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, sia nell’ambito di strutture sanitarie pubbliche che private. La manifestazione di tale consapevole rifiuto renderebbe doverosa la sospensione dei mezzi terapeutici, il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa la paziente e non corrisponda alla sua volontà. Tale obbligo sussiste anche ove sia sospeso il trattamento di sostegno vitale, con conseguente morte del paziente, giacché tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia, bensì la scelta insindacabile del malato di assecondare il decorso naturale della malattia sino alla morte".
La battaglia ideologica si è combattuta anche sul concetto di "autodeterminazione". A chi obiettava l’incapacità di Eluana di esprimere la sua volontà, il padre ha sempre ribattuto che la figlia aveva, al contrario, espresso il suo parere prima che entrasse in coma. Comunque la si pensi, la sentenza del Consiglio di Stato sul caso Englaro è una pietra miliare del nostro ordinamento, così come i principi che esprime.
Il nostro ordinamento, infatti, sancisce la "sacralità" dell’autodeterminazione, cioè il diritto di scegliere sulla propria vita o sulla propria morte. In base a tale principio è possibile rifiutare le cure sanitarie, anche contro il parere del personale medico. E’ un pilastro che rispecchia il diritto di libertà assoluta sulla propria persona. Tant’è che, viceversa, sarebbe illegale il comportamento del medico che, contro la volontà del paziente, proseguirebbe i trattamenti farmacologici e sanitari.
Il caso di Eluana Englaro è difficile da dimenticare, comunque la si pensi. Nel 2008, il padre di Eluana, Beppino Englaro, ottenne dalla Corte di Appello di Milano la possibilità che in una struttura sanitaria venisse distaccato il sondino nasogastrico che teneva in vita la figlia, da 17 anni in stato vegetativo. Così, Beppino Englaro, chiese alla Regione Lombardia di indicargli una struttura ospedaliera lombarda dover poter porre fine all’alimentazione e idratazione artificiale su Eluana. Il Pirellone, però, rifiutò le richieste di Beppino Englaro tramite una nota regionale, in cui si affermava che la nutrizione e l’idratazione artificiale erano invece "pratiche di base" mirate all’accudimento del paziente. Dunque, il sondino che teneva in vita Eluana non doveva essere distaccato. Soprattutto, perché Eluana non poteva "autodeterminarsi" ed esprimere la sua volontà, date le condizioni in cui versava.
Appellandosi al Tar per la Regione Lombardia, Beppino Englaro aveva ottenuto, nel 2009 (con la sentenza n. 314), l’annullamento della nota regionale ed ebbe, così, la possibilità di rivolgersi a una clinica friulana. La Regione Lombardia fece ricorso al Consiglio di Stato contro la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale lombardo. Oggi, a distanza di cinque anni, è arrivata la sentenza che mette definitivamente fine al caso.
Il Consiglio di Stato, con la sentenza n. 4460 del 2 settembre 2014, ha respinto l’appello proposto dalla Regione Lombardia e ha, invece, confermato la sentenza del Tar lombardo. Nero su bianco, nella sentenza si legge che "l’alimentazione e l’idratazione artificiale non possono in alcun modo essere considerati una forma di alimentazione sui generis, quasi un regime dietetico a parte, un surrogato della normale alimentazione e idratazione naturale. Essi richiedono l’impiego di particolari tecniche mediche, che devono essere poste in pratica da personale specializzato, un costante monitoraggio della situazione nutrizionale e metabolica, stante anche il particolare contenuto e gli eventuali effetti indesiderati dei nutrienti forniti attraverso l’alimentazione e l’idratazione artificiale, una valutazione della loro efficacia terapeutica che solo il medico, e non altri, può compiere".
Il Consiglio di Stato, quindi, esclude categoricamente che il caso Englaro sia stato un caso di eutanasia: "il diritto costituzionale di rifiutare le cure, riconosciuto (...) dalla sentenza della Cassazione e, in sede di rinvio, dalla Corte d’Appello di Milano, è un diritto di libertà assoluto, efficace erga omnes e, quindi, nei confronti di chiunque intrattenga con l’ammalato il rapporto di cura, sia nell’ambito di strutture sanitarie pubbliche che private. La manifestazione di tale consapevole rifiuto renderebbe doverosa la sospensione dei mezzi terapeutici, il cui impiego non dia alcuna speranza di uscita dallo stato vegetativo in cui versa la paziente e non corrisponda alla sua volontà. Tale obbligo sussiste anche ove sia sospeso il trattamento di sostegno vitale, con conseguente morte del paziente, giacché tale ipotesi non costituisce, secondo il nostro ordinamento, una forma di eutanasia, bensì la scelta insindacabile del malato di assecondare il decorso naturale della malattia sino alla morte".
La battaglia ideologica si è combattuta anche sul concetto di "autodeterminazione". A chi obiettava l’incapacità di Eluana di esprimere la sua volontà, il padre ha sempre ribattuto che la figlia aveva, al contrario, espresso il suo parere prima che entrasse in coma. Comunque la si pensi, la sentenza del Consiglio di Stato sul caso Englaro è una pietra miliare del nostro ordinamento, così come i principi che esprime.
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