Stop alla vendita della “Cannabis light”?

La pronuncia della Corte di Cassazione a Sezioni Unite pone un punto fermo sulla discussione in merito alla liceità della vendita di prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis e, di certo, genererà uno scossone sulle migliaia di “Smart shop" sparsi in Italia. Potrebbero rischiare di chiudere battenti?
Vediamo cosa afferma la Cassazione.
La sentenza della Suprema Corte era molto attesa dato che nel recente passato, da quando è stata data la possibilità di aprire gli Smart Shop, si erano già espresse alcune singole Sezioni della Cassazione emettendo, però, sentenze contrastanti.
Il punto focale della questione è se sia lecito o meno commercializzare prodotti derivanti da infiorescenze o resine della cannabis con basso Thc, ovvero la cosiddetta “cannabis light”. Il Thc è il principio attivo che genera lo “sballo” e il livello consentito perché la cannabis possa essere venduta è fino allo 0,2%.
Anche se si attendono le motivazioni della sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, è stata diffusa la massima dei giudici, secondo i quali “integrano il reato previsto dal Testo unico sulle droghe le condotte di cessione, di vendita, e, in genere, la commercializzazione al pubblico, a qualsiasi titolo, dei prodotti derivati dalla coltivazione della cannabis sativa L, salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”.
Gli ermellini hanno affermato che l’unica attività lecita è la coltivazione delle varietà di canapa da utilizzare a fini medici. Dunque, la commercializzazione di “cannabis sativa L” e, in particolare, “di foglie, inflorescenze, olio, resina, ottenuti dalla coltivazione della predetta varietà di canapa, non rientra nell'ambito di applicazione della legge n.242 del 2016” ed è, quindi reato.
In pratica, la commercializzazione di prodotti derivanti dalla cannabis è lecita esclusivamente se effettuata nel corso di un trattamento medico terapeutico o se i prodotti venduti “siano in concreto privi di efficacia drogante". Spetterà ai giudici di merito stabilire, caso per caso, se la vendita dei prodotti incriminati sia lecita o meno.
Il provvedimento della Corte di Cassazione ribalta la sentenza di febbraio, sempre della Suprema Corte ma non a Sezioni Unite, che aveva annullato il sequestro di un negozio di Prato.
Ora, potrebbero rischiare la chiusura gli oltre 10 mila Smart shop in Italia, ma Federcanapa, tramite un comunicato pubblicato sul suo sito, rassicura.
"Malgrado le dichiarazioni di moltissime testate giornalistiche, la soluzione delle sezioni unite penali della Corte di Cassazione non determina a nostro parere la chiusura generalizzata dei negozi che offrono prodotti a base di canapa. Il testo della soluzione dice infatti chiaramente che la cessione, vendita e in genere la commercializzazione al pubblico di questi prodotti è reato “salvo che tali prodotti siano in concreto privi di efficacia drogante”. Per tanto la Cassazione ha ritenuto che condotte di cessione di derivati di canapa industriale privi di efficacia drogante NON rientra nel reato di cui all’art. 73 del T.U. Stupefacenti”.
Dunque, per chi commercia prodotti con valori di Thc entro i limiti di legge non dovrebbero esserci problemi.
Però, per capire la reale portata della pronuncia della Cassazione potrebbe essere consigliabile richiedere la consulenza di un avvocato esperto in materia. Cercatelo nel nostro sito. Il primo contatto in studio è gratuito!
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