22 marzo, giornata mondiale dell'acqua
L'acqua è un bene prezioso, che va tutelato e gestito al meglio. Investire nella tutela delle acque produce ritorni sociali ed economici importanti

Ogni anno, il 22 marzo, si celebra la giornata mondiale dell'acqua. Ormai ci sono così tante "giornate mondiali" che spesso passano inosservate, si confondono, sono visibili solo agli addetti ai lavori. Questa dovrebbe risvegliare ben altro interesse, invece.
"Dovrebbe", perché l'acqua è il futuro di ognuno di noi, e quando inizieremo ad interessarci di come essa viene gestita e tutelata sarà sempre troppo tardi; "dovrebbe" perché l'abbondanza di acqua (alluvioni) o la sua scarsità sono cause di disagi e catastrofi che affliggono il nostro Paese e l'umanità intera su di una scala cui nulla è realmente paragonabile; "dovrebbe" perché dal referendum del 2011 era sembrata nascere, n Italia, una coscienza civica sull'acqua, per quanto ideologizzata e non sempre ben informata, che faceva sperare in un positivo sviluppo dell'interesse.
E invece, quello dell'acqua è un dibattito tornato fra le quattro mura dei tecnici, o confinato nelle ultime pagine dei giornali più estremisti, per non aver saputo liberarsi dall'ideologia e conquistare lo spessore di un discorso maturo, articolato su presupposti tecnico-scientifici oggettivi.
In campagna elettorale non se ne è minimamente parlato, come se il dissesto idro-geologico non riguardasse l'Italia. Attendiamo le prossime calamità, ed "accontentiamoci" delle buche aperte dalla pioggia (ordinaria, banalissima pioggia invernale) nelle strade di Roma.
Neppure si è colto, in un'economia che soffre da dieci anni, in cui il tasso di disoccupazione continua ad essere allarmante, in un sistema afflitto dalle sanzioni eurounitarie per la mancanza dei sistemi di fognatura e/o depurazione in gran parte del Sud del Paese, che investire in infrastrutture di governo dell'acqua non è una scelta, tanto meno una scelta rinviabile: ma un'opportunità.
In disparte le considerazioni legate allo spreco che le sanzioni comportano (soldi spesi senza il minimo ritorno, né sollievo dal bisogno che rimane - di realizzare le opere), resta il fatto che investire in infrastrutture legate al ciclo dell'acqua genera uno dei tassi di ritorno più ampi, dal punto di vista occupazionale e reddituale, rispetto a tutte le opere ed i servizi pubblici.
Se poi mettessimo nel conto il costo che il mancato governo delle acque, superficiali e meteoriche, ci costringe a sopportare ogni anno, tra allagamenti, fango, raccolti distrutti, frane e smottamenti vari, senza neanche pensare alle vittime, ci sarebbe da correre ai ripari immediatamente, da sollevare le piazze perché impongano al Governo di intervenire in questo settore prima che in qualunque altro.
Si dirà: e i soldi? Si strillerà; giù le mani dall'acqua! Non si può privatizzare la pioggia, l'acqua è un dono di Dio, etc. Perché se è vero che le risorse per gli investimenti sono scarse almeno quelle che lo Stato può permettersi di dedicare, e che la volontà popolare espressa sette anni fa ha dato indicazioni nettamente orientate sulla gestione delle acque, è altrettanto vero, come ricordato all'inizio, che la discussione non si è liberata del pregiudizio ideologico, non ha fondato le sue basi sulle conoscenze tecniche, non ha approfondito oltre gli slogan degli urlatori da strada. E se questi ultimi non hanno poi sviluppato la loro battaglia neanche quando avrebbe fatto loro comodo per entrare massicciamente in Parlamento, questo non fa sorgere dubbi a nessuno, sulla bontà di quegli argomenti.
Le risorse per investire si possono trovare, se si è disposti a ragionare guardando l'intero panorama, anche senza rinunciare all'integrità del pensiero.
Le formule di partenariato pubblico-privato possono infatti assumere tante forme, non solo quella del coinvolgimento nella gestione del servizio (che pure non è intrinsecamente un male, se ben governata da un regolatore competente, neutrale e tempestivo): si può pensare ad interventi di finanziamento - remunerato - da parte degli stessi costruttori/realizzatori delle infrastrutture, che dunque percepirebbero il giusto margine sulla commessa e gli interessi sul capitale investito. Certo, non coinvolgerli nella successiva gestione dell'opera, come avverrebbe in un ordinaria operazione di project financing, fa perdere quella "garanzia" di buon funzionamento data dal loro stesso interesse a realizzare al meglio le opere da gestire, per minimizzare i costi di manutenzione. Ma si può rimediare.
Oppure si può immaginare un coinvolgimento di fondi di investimento specializzati, con mera funzione di finanziatori. O imporre al sistema bancario (e perché no, ai consumatori, che ne avrebbero comunque beneficio come utenti e come cittadini) di contribuire in parti eguali al finanziamento degli investimenti, insieme allo Stato. Certo, mi sto attirando nemici, sto parlando di prelievi straordinari sulle tariffe. Anche se nessuno sa bene a quanto ammonti la tariffa dell'acqua che riceve a casa e che viene poi allontanata, sotto forma di refluo, e depurata, e nessuno sa neppure come la tariffa italiana si collochi nel panorama europeo, siamo tutti pronti a sostenere che è già troppo cara, che non dovremmo proprio pagarla, che gli aumenti sono impensabili.
Fermo restando che non si paga l'acqua, ma il servizio: di chi ha progettato, realizzato e gestisce l'acquedotto; che controlla la qualità delle acque; progetta realizza e gestisce fognaure e depuratori. E che l'acqua gratis si trova alle fontane, ma tocca portarla a casa; fermo restando che quello che non si paga a consumo finisce nella fiscalità generale, così che chi paga le tasse si sobbarchi anche la piscina degli abbienti redditieri - summum ius, summa iniuria!
Fermo restando che tutti ci lamentiamo del costo della bolletta idrica (meno di 2 euro ogni mille litri, fornitura, smaltimento e depurazione), ma siamo tutti pronti a pagare una bottiglia da mezzo litro quasi la stessa cifra, forse è arrivato il momento di guardare oltre. E, secondo il proprio orientamento politico, ognuno potrà scegliere di vedere l'opportunità economica ed occupazionale, la tutela ambientale, la messa in sicurezza del territorio, il miglioramento del servizio: vedremmo comunque tutti la stessa cosa!
"Dovrebbe", perché l'acqua è il futuro di ognuno di noi, e quando inizieremo ad interessarci di come essa viene gestita e tutelata sarà sempre troppo tardi; "dovrebbe" perché l'abbondanza di acqua (alluvioni) o la sua scarsità sono cause di disagi e catastrofi che affliggono il nostro Paese e l'umanità intera su di una scala cui nulla è realmente paragonabile; "dovrebbe" perché dal referendum del 2011 era sembrata nascere, n Italia, una coscienza civica sull'acqua, per quanto ideologizzata e non sempre ben informata, che faceva sperare in un positivo sviluppo dell'interesse.
E invece, quello dell'acqua è un dibattito tornato fra le quattro mura dei tecnici, o confinato nelle ultime pagine dei giornali più estremisti, per non aver saputo liberarsi dall'ideologia e conquistare lo spessore di un discorso maturo, articolato su presupposti tecnico-scientifici oggettivi.
In campagna elettorale non se ne è minimamente parlato, come se il dissesto idro-geologico non riguardasse l'Italia. Attendiamo le prossime calamità, ed "accontentiamoci" delle buche aperte dalla pioggia (ordinaria, banalissima pioggia invernale) nelle strade di Roma.
Neppure si è colto, in un'economia che soffre da dieci anni, in cui il tasso di disoccupazione continua ad essere allarmante, in un sistema afflitto dalle sanzioni eurounitarie per la mancanza dei sistemi di fognatura e/o depurazione in gran parte del Sud del Paese, che investire in infrastrutture di governo dell'acqua non è una scelta, tanto meno una scelta rinviabile: ma un'opportunità.
In disparte le considerazioni legate allo spreco che le sanzioni comportano (soldi spesi senza il minimo ritorno, né sollievo dal bisogno che rimane - di realizzare le opere), resta il fatto che investire in infrastrutture legate al ciclo dell'acqua genera uno dei tassi di ritorno più ampi, dal punto di vista occupazionale e reddituale, rispetto a tutte le opere ed i servizi pubblici.
Se poi mettessimo nel conto il costo che il mancato governo delle acque, superficiali e meteoriche, ci costringe a sopportare ogni anno, tra allagamenti, fango, raccolti distrutti, frane e smottamenti vari, senza neanche pensare alle vittime, ci sarebbe da correre ai ripari immediatamente, da sollevare le piazze perché impongano al Governo di intervenire in questo settore prima che in qualunque altro.
Si dirà: e i soldi? Si strillerà; giù le mani dall'acqua! Non si può privatizzare la pioggia, l'acqua è un dono di Dio, etc. Perché se è vero che le risorse per gli investimenti sono scarse almeno quelle che lo Stato può permettersi di dedicare, e che la volontà popolare espressa sette anni fa ha dato indicazioni nettamente orientate sulla gestione delle acque, è altrettanto vero, come ricordato all'inizio, che la discussione non si è liberata del pregiudizio ideologico, non ha fondato le sue basi sulle conoscenze tecniche, non ha approfondito oltre gli slogan degli urlatori da strada. E se questi ultimi non hanno poi sviluppato la loro battaglia neanche quando avrebbe fatto loro comodo per entrare massicciamente in Parlamento, questo non fa sorgere dubbi a nessuno, sulla bontà di quegli argomenti.
Le risorse per investire si possono trovare, se si è disposti a ragionare guardando l'intero panorama, anche senza rinunciare all'integrità del pensiero.
Le formule di partenariato pubblico-privato possono infatti assumere tante forme, non solo quella del coinvolgimento nella gestione del servizio (che pure non è intrinsecamente un male, se ben governata da un regolatore competente, neutrale e tempestivo): si può pensare ad interventi di finanziamento - remunerato - da parte degli stessi costruttori/realizzatori delle infrastrutture, che dunque percepirebbero il giusto margine sulla commessa e gli interessi sul capitale investito. Certo, non coinvolgerli nella successiva gestione dell'opera, come avverrebbe in un ordinaria operazione di project financing, fa perdere quella "garanzia" di buon funzionamento data dal loro stesso interesse a realizzare al meglio le opere da gestire, per minimizzare i costi di manutenzione. Ma si può rimediare.
Oppure si può immaginare un coinvolgimento di fondi di investimento specializzati, con mera funzione di finanziatori. O imporre al sistema bancario (e perché no, ai consumatori, che ne avrebbero comunque beneficio come utenti e come cittadini) di contribuire in parti eguali al finanziamento degli investimenti, insieme allo Stato. Certo, mi sto attirando nemici, sto parlando di prelievi straordinari sulle tariffe. Anche se nessuno sa bene a quanto ammonti la tariffa dell'acqua che riceve a casa e che viene poi allontanata, sotto forma di refluo, e depurata, e nessuno sa neppure come la tariffa italiana si collochi nel panorama europeo, siamo tutti pronti a sostenere che è già troppo cara, che non dovremmo proprio pagarla, che gli aumenti sono impensabili.
Fermo restando che non si paga l'acqua, ma il servizio: di chi ha progettato, realizzato e gestisce l'acquedotto; che controlla la qualità delle acque; progetta realizza e gestisce fognaure e depuratori. E che l'acqua gratis si trova alle fontane, ma tocca portarla a casa; fermo restando che quello che non si paga a consumo finisce nella fiscalità generale, così che chi paga le tasse si sobbarchi anche la piscina degli abbienti redditieri - summum ius, summa iniuria!
Fermo restando che tutti ci lamentiamo del costo della bolletta idrica (meno di 2 euro ogni mille litri, fornitura, smaltimento e depurazione), ma siamo tutti pronti a pagare una bottiglia da mezzo litro quasi la stessa cifra, forse è arrivato il momento di guardare oltre. E, secondo il proprio orientamento politico, ognuno potrà scegliere di vedere l'opportunità economica ed occupazionale, la tutela ambientale, la messa in sicurezza del territorio, il miglioramento del servizio: vedremmo comunque tutti la stessa cosa!
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