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Abusi edilizi: i presupposti per il permesso in sanatoria


Il permesso in sanatoria può essere rilasciato, a seguito di accertamento di conformità, laddove sussista la cd. "doppia conformità" dell'opera realizzata
Abusi edilizi: i presupposti per il permesso in sanatoria

La sesta sezione del Consiglio di Stato, con sentenza del 17 gennaio 2022, n. 286, è tornata a pronunciare in merito ad alcuni consolidati principi in materia di abusi edilizi e di rilascio del titolo edilizio in sanatoria.

L’art. 36, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la cui rubrica reca “Accertamento di conformità”, dispone che in caso di interventi realizzati in violazione delle norme che prevedono il permesso di costruire o la Scia, il responsabile dell’abuso, o l’attuale proprietario dell’immobile, possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso, sia al momento della presentazione della domanda (comma 1).

La norma in esame prevede, secondo la prevalente giurisprudenza amministrativa, due presupposti.

Il primo presupposto è che venga in rilievo un vizio formale e non anche sostanziale. La ragione giustificativa della norma è proprio quella di consentire la sanatoria degli abusi c.d. formali e cioè degli interventi che risultino sostanzialmente conformi alla disciplina urbanistica, ma realizzati senza il previo ottenimento del prescritto titolo edilizio. Si evita, così, la demolizione di opere rispettose della disciplina sostanziale sull’utilizzo del territorio (Cons. Stato, sez. II, 28 agosto 2020, n. 5288).

Il secondo presupposto è che si rispetti la regola della c.d. doppia conformità: è necessario che le opere realizzate siano consentite alla stregua non solo della disciplina urbanistica vigente al momento della domanda di sanatoria, ma anche di quella in vigore all’epoca di esecuzione degli abusi (Cons. Stato, sez. VI, 16 marzo 2020, n. 1848).

L’art. 3, d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, prevede: i) alla lett. b, che devono qualificarsi interventi di manutenzione straordinaria le opere e le modifiche necessarie per rinnovare e sostituire parti anche strutturali degli edifici, nonché per realizzare e integrare i servizi igienico-sanitari e tecnologici, sempre che non alterino la volumetria complessiva degli edifici e non comportino mutamenti urbanisticamente rilevanti delle destinazioni d'uso implicanti incremento del carico urbanistico; ii) alla lett. c, che devono considerarsi interventi di restauro e di risanamento conservativo, gli interventi edilizi rivolti a conservare l'organismo edilizio e ad assicurarne la funzionalità mediante un insieme sistematico di opere che, nel rispetto degli elementi tipologici, formali e strutturali dell'organismo stesso, ne consentano anche il mutamento delle destinazioni d'uso purché con tali elementi compatibili, nonché conformi a quelle previste dallo strumento urbanistico generale e dai relativi piani attuativi, aggiungendosi che tali interventi comprendono il consolidamento, il ripristino e il rinnovo degli elementi costitutivi dell'edificio, l'inserimento degli elementi accessori e degli impianti richiesti dalle esigenze dell'uso, l'eliminazione degli elementi estranei all'organismo edilizio.

Nel caso in cui, come in quello oggetto della decisione del Consiglio di Stato, gli interventi effettuati si pongano – per la loro qualificazione giuridica – in contrasto con la destinazione urbanistica dell'area, devono ritenersi insussistenti i presupposti per poter procedere all'accertamento di conformità.

A cura di Avvocato Andrea de Bonis - Studio Legale de Bonis - Partner 24 Ore Avvocati - www.studiolegaledirittoamministrativo.com

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