Abuso di psicofarmaci anche nei bambini


L’abuso di psicofarmaci, oltre a creare dipendenza, genera effetti collaterali importanti
Abuso di psicofarmaci anche nei bambini

I risultati emersi in una conferenza stampa svoltasi a Roma il 16 Novembre 2006, mettono in evidenza il forte incremento delle prescrizioni di psicofarmaci ai bambini italiani. Infatti, oltre 700mila bimbi rischiano di diventare dipendenti da questi farmaci.

L’allarme proviene da un gruppo di 100 associazioni del settore salute, tra le quali “Giù le mani dai bambini”.

Uno studio dell’Istituto Mario Negri evidenziava che in Italia nel 2006 erano 30 mila i bimbi che già assumevano psicofarmaci. Secondo gli esperti di “Giù le mani dai bambini” troppo spesso comportamenti vivaci vengono ancora oggi interpretati come patologici e così vale anche per la depressione.

Infatti, secondo gli psichiatri dell’associazione sopra citata i medicinali sono veramente necessari nel circa il 3% dei casi esaminati e quando la diagnosi molto accurata evidenzia situazioni davvero molto gravi. Nella maggior parte dei casi si tratta di comportamenti che non vanno curati per via farmacologica, ma attraverso un percorso psicoterapeutico.

Per arginare il fenomeno, gli specialisti hanno chiesto al ministro della salute di porre la psicoterapia come “scelta di prima linea” ed hanno ampiamente criticato la decisione dell’agenzia europea per i farmaci (Emea) di avere autorizzato la somministrazione del Prozac (la cosiddetta pillola della felicità) ai bambini già di 8 anni dopo appena 4-6 sedute di psicoterapia senza risultati.

Dopo circa 3 anni sono in arrivo novità dagli Usa: crolla il mito degli psicofarmaci per i bambini. Il Washington Post anticipa i risultati di un nuovo studio federale USA: gli psicofarmaci somministrati ai bambini iperattivi sono inutili nel medio e lungo termine; l’unica cosa che garantiscono sul lungo periodo sono gli effetti collaterali. Il nuovo studio ha, inoltre, indicato che un impiego a lungo termine di psicofarmaci può arrestare la crescita dei bambini stessi: i dati più recenti evidenziano un quadro ben più negativo di quello che emergeva dai risultati di analoghi studi pubblicati nel 1999 e largamente pubblicizzati dalle multinazionali produttrici di questi contestati farmaci psicoattivi.

Luca Poma, giornalista e portavoce nazionale di “Giù le Mani dai Bambini”, il più rappresentativo comitato per la farmacovigilanza pediatrica in Italia, ha commentato: “Nell’intervista al noto quotidiano americano, il prof. Pelham ha giustamente osservato che milioni di famiglie nel mondo somministrano ogni giorno uno psicofarmaco al proprio figlio, ed hanno tutti i diritti di essere informati del fatto che questi prodotti non garantiscono alcun tipo di risultato sul medio-lungo periodo, ma presentano per contro rischi di effetti collaterali che possono andare dalla riduzione della crescita all’infarto del miocardio, dall’induzione al suicidio al coma epatico”.
Sarebbe opportuno che i nostri specialisti in Italia, traessero le loro conclusioni, facendo l’interesse dei bambini, non quello delle multinazionali.

Condivido pienamente il parere degli esperti dell’associazione “Giù le mani dai bambini”. Attualmente comportamenti aggressivi, eccessivamente egocentrici ed iperattivi sono troppo spesso interpretati come patologici, così come la normale tristezza e la malinconia.

I sentimenti negativi che emergono nei fanciulli vengono molto spesso erroneamente scambiati per depressione e così ai bambini agitati e distratti ed estremamente vivaci viene subito data l’etichettata di Sindrome ADHD.

Sono sempre più frequenti anche adolescenti e adulti che si recano dal medico generico riferendo sintomatologie varie (che vanno da stati di ansia, all’attacco di panico, dallo stress ai dolori psicosomatici, dalla depressione all’esaurimento nervoso…) che il medico classifica giustamente come problemi di ordine psicologico e, senza avvalersi di una diagnosi specialistica, tende a prescrivere alcuni psicofarmaci di larga diffusione come Lexotan, Largatil, En,….ecc. Nel caso poi il medico di famiglia ritenga che la situazione sia più grave, indirizza il paziente ad uno psichiatra di sua conoscenza; così, inizia per la persona bisognosa di aiuto un iter molto spesso errato che conduce ad una vera e propria dipendenza da psicofarmaci. Poi magari in un secondo momento, spesso accade che lo stesso medico o altri medici o parenti, amici o conoscenti convincono la persona che continua a stare male di intraprendere una psicoterapia per risolvere il problema con modalità diverse.

Infatti, a mio avviso, sono molto frequenti i casi di persone (di varie età) che si presentano in terapia lamentando alcuni effetti collaterali causati dall’assunzione di psicofarmaci prescritti o da un medico generico o da uno psichiatra. Queste complicazioni non sono solo di ordine fisico (accelerazione dei battiti cardiaci, vertigini, mal di testa, ma anche di ordine psicologico (paranoie, depressione…). Il lavoro da portare avanti con queste persone è complesso e difficoltoso in quanto, oltre alle problematiche già esistenti, se ne aggiungono altre derivate dall’assunzione dello o degli psicofarmaci prescritti. Il percorso psicoterapeutico è, quindi, più lungo; infatti, si deve prima lavorare sul problema, poi gradualmente si cercherà, in accordo con lo psichiatra, di scalare con cautela l’assunzione di psicofarmaci, verificando insieme in uno spirito di collaborazione i risultati ottenuti dalla psicoterapia.

L’iter adeguato da seguire, sarebbe quello di rispettare le tappe senza invertire l’ordine. Nel caso si soffra di un disagio di ordine psicologico, ci si dovrebbe prima rivolgere al proprio medico generico, il quale farà i relativi accertamenti per verificare che non ci siano delle cause fisiologiche e poi, nel caso, dovrebbe consigliare al suo assistito di rivolgersi ad uno psicologo di propria fiducia. Sarà poi lo psicologo stesso, se lo riterrà necessario, inviare la persona anche da uno psichiatra con il quale poi svolgere un lavoro parallelo. Gli psicofarmaci vanno presi, in alcuni casi, solo nella fase acuta, per rendere la persona più tranquilla e pronta a lavorare in psicoterapia, ma con l’intento poi di eliminarli poco alla volta pensando al benessere della persona.

Anche la psicoterapia, gradualmente andrà scalata: nella fase acuta le sedute saranno di una volta alla settimana, ma se il cliente collabora e si sentirà meglio le sedute saranno sempre più diradate per non creare dipendenza anche dalla psicoterapia.
La psicoterapia, se eseguita correttamente, non dovrà attribuire alla persona etichette invalidanti (sei un depresso, sei ansioso, ecc..), ma dovrà aiutare la persona bisognosa ad oggettivare le proprie dinamiche disfunzionali osservando la situazione problematica da più punti di vista ed offrendo aiuto per inventare soluzioni alternative che spezzino il circolo vizioso che con il tempo si è venuto a creare.
La terapia condurrà gradualmente le persone a diventare autonome, non dipendenti né dagli psicofarmaci né dalla psicoterapia stessa per offrire benessere mentale con risultati che perdurino nel tempo.

La psicoterapia non è necessariamente un percorso lunghissimo come in genere si pensa. Se si tratta di problematiche riguardanti una richiesta specifica e la persona collabora frequentando con assiduità, potrebbero essere sufficienti anche 10-15 sedute, questo dipende da caso a caso.
Non ci sono dei tempi di miglioramento o guarigione uguali per tutti; dopo aver ascoltato il problema dei miei pazienti, valuto indicativamente il lavoro da portare avanti; sarà poi premura del cliente decidere se tuffarsi in quella faticosa, ma anche meravigliosa, avventura quale è la psicoterapia.

Sicuramente la psicoterapia richiederà più impegno che la semplice assunzione di alcune pastiglie, ma sia a breve che a lungo termine darà i suoi risultati e accompagnerà l’individuo verso un percorso di crescita al fine di camminare con coraggio e determinazione nel lungo e talvolta doloroso cammino della vita.
Se invece il cliente richiede un lavoro più approfondito riguardante il cambiamento della personalità allora il percorso potrà essere più lungo. Sarà la persona stessa, con l’aiuto dello psicologo, a decidere quale sarà la strada più adatta da seguire anche in relazione al tempo e al denaro che ha a disposizione, nel rispetto dei tempi del cliente stesso.

Forse su questo bisognerebbe riflettere facendo appello al noto libro di Daniel Goleman sull’intelligenza emotiva.

Attualmente vi è la tendenza, in particolar modo nei confronti dei bambini, di proteggerli da emozioni negative per nasconderle, sopprimerle quando queste invece vanno, con modalità adeguate all’età, fatte emergere fin da subito al fine di elaborarle con i genitori, insegnanti, educatori, che dovrebbero essere veri e propri allenatori emotivi.
Alle emozioni anche negative, bisogna avvicinarsi e non scapparne o sopprimerle.

Con queste poi un giorno noi genitori faremo i conti e faranno i conti anche i nostri figli. Se il bambino presenta comportamenti che ci sembrano anomali e non riusciamo, neanche con la collaborazione degli insegnanti, a contenere la sottoscritta condivide pienamente un percorso psicoterapico in particolare modo ai genitori che dovranno necessariamente mettersi in discussione e provare ad agire indirettamente sui figli attraverso un cambiamento graduale delle dinamiche familiari. Se la psicoterapia di uno o di entrambi i genitori non funzionerà, si potrà ascoltare il bambino ed accompagnarlo con cautela alla conoscenza di se stesso e dei suoi sentimenti, emozioni e comportamenti.

Si cercherà per quanto possibile di raggiungere un accordo tra familiari e figlio al fine di ridare equilibrio e armonia alla famiglia ed uno spazio di ascolto, di comunicazione, di considerazione che spesso oggi, presi da mille impegni importanti non riusciamo a dare, in particolar modo a piccole creature che per crescere in armonia con se stesse hanno bisogno di essere capite.

Spesso atti vandalici e quanto meno inspiegabili sono il grido violentissimo per dire: “sono qui ascoltami, ci sono anche io aiutami”.

Ma abbiamo veramente educato i nostri figli a chiedere aiuto? Gli abbiamo insegnato che si può anche sbagliare, che oltre ai comportamenti che noi giudichiamo negativi esistono delle splendide risorse in loro? Le abbiamo evidenziate? Se questo grosso lavoro non è stato fatto dovrà probabilmente essere fatto dopo con l’aiuto di uno psicologo-psicoterapeuta competente, che nel rispetto dei tempi del genitore e del figlio sappia proporre uno spazio di ascolto. Si tratta di un percorso lungo, doloroso e difficile, ma con il tempo darà buoni risultati; lo psicofarmaco darà, forse, qualche risultato nell’immediato, ma poi nel tempo avremo un ragazzo che, entrato nel giro della psichiatria, ne uscirà molto difficilmente…anche gli psicofarmaci come la droga creano a lungo dipendenza.

 

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di Dott.ssa Elisabetta Gardini

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