Accesso abusivo nel profilo FB dell'ex: è stalking


Secondo gli Ermellini anche i reiterati accessi nel profilo FB altrui contribuiscono ad integrare le condotte previste dall'art. 612 bis c.p.
Accesso abusivo nel profilo FB dell'ex: è stalking
Con la sentenza n. 25940 del 13.02.2017 la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha stabilito che risponde del reato di stalking chi ossessiona la propria vittima anche mediante reiterate e costanti intrusioni nel suo profilo Facebook, essendo in tal caso sussistente il nesso causale tra la propria condotta e lo stato di ansia della vittima, costretta a cambiare le proprie abitudini di vita.

Nel caso di specie, il ricorrente si era rivolto ai Giudici di legittimità affermando che detto nesso causale difettasse ma il Supremo Collegio - dichiarando inammissibile il ricorso - ha ribadito che il principio secondo cui il reato di stalking ha natura abituale, e l'evento deve essere il risultato della condotta persecutoria nel suo complesso e la reiterazione degli atti tipici costituisce elemento unificante ed essenziale della fattispecie facendo assumere a tali atti un'autonoma e unitaria offensività, in quanto è proprio dalla loro reiterazione che deriva nella vittima un progressivo accumulo di disagio che infine degenera in uno stato di prostrazione psicologica in grado di manifestarsi in una delle forme prescritte dalla norma incriminatrice.

Tra l'altro, secondo il Supremo Collegio (circostanza non da poco), la vittima proprio a seguito degli accessi abusivi sul proprio profilo Facebook era stata costretta a cambiare il profilo stesso, oltre che al proprio numero di telefono ed indirizzo email.
Per la configurabilità del reato ex art. 612 bis c.p., infatti, è sufficiente la consumazione anche di uno solo degli eventi alternativamente previsti dalla norma. La prova del nesso eziologico tra la condotta e gli eventi (o l'evento) deve essere concreta e specifica tenendo conto della condotta posta in essere dalla vittima e dei mutamenti derivanti a quest'ultima nelle abitudini e negli stili di vita.

Nel caso concreto, ribadisce la Suprema Corte, il perdurante stato di ansia e paura e l'alterazione delle abitudini di vita sono stati determinati proprio dalle condotte persecutorie dell'imputato, consistite non solo in minacce e molestie, ma anche nelle continue intrusioni nella posta elettronica ordinaria e nel profilo Facebook della vittima.

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di Avv. Massimo Titi

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