Affido e adozione: interesse preminente del minore
Anche per l'adozione e per l'affido familiare l'obiettivo da perseguire deve essere quello dell'interesse preminente del fanciullo.

Lo scorso 5 Novembre la commissione Giustizia del Senato ha approvato importanti emendamenti alla legge nazionale sulle adozioni dei minori. L’obiettivo è di concedere alle famiglie affidatarie - a condizione che sussistano tutte le condizioni già previste per legge - la possibilità di adottare i bambini loro assegnati, se non è possibile il rientro nei nuclei originari.
Oggi la legge n. 184 del 1983 impedisce ai genitori affidatari di passare all’adozione, col rischio che il minore che non può tornare nella famiglia biologica, una volta dichiarato adottabile sia inserito in una terza famiglia.
Va preliminarmente osservato come l’istituto dell’affido serva a dare ai minori che non possono vivere con la famiglia biologica un sostegno temporaneo in attesa che il nucleo originario si normalizzi. Spesso, però, dopo il periodo di affido non ci sono le condizioni per il reinserimento nella famiglia di origine e i minori vengono dichiarati adottabili.
La ratio della legge n. 184 del 1993, che prevede che il minore dichiarato adottabile non resti nella famiglia affidataria, deve essere ricercato nella volontà del Legislatore di evitare che l’affido familiare possa essere usato strumentalmente come una "scorciatoia" per giungere all'adozione. Vero è che i due istituti - adozione e affido - hanno natura e obiettivi diversi ed è corretta la diversificazione della disciplina, ma è innegabile che l’applicazione della legge nazionale - purtroppo neppure uniformemente attuata su tutto il territorio nazionale - ha non di rado l’effetto di costringere un minore già provato dalle delicate vicende familiari a cambiamenti che si rivelano dolorosi e traumatici.
Inoltre la normativa nazionale appare in contrasto con i contenuti e della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Con la sentenza n. 345 del 27.04.2010 la Corte Europea per i diritti dell’Uomo ha, infatti, condanato l’Italia per le carenze nella procedura di adozione e per il mancato rispetto dei diritti della famiglia affidataria, rilevando la violazione dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che riconosce il diritto al rispetto della vita privata e famigliare; la vicenda che ha dato origine alla condanna della C.E.D.U. è quella di una neonata che agli inizi del 2004 venne affidata temporaneamente a una coppia che viveva con un figlio naturale e uno adottivo e aveva già avuto passate esperienze di affidi. La coppia aveva allevato e cresciuto per 19 mesi la bambina e nell’ottobre del 2004 aveva presentato una richiesta di adottabilità specifica della minore, rinnovata anche nel marzo 2005. I coniugi avevano poi appreso che il Tribunale dei Minori di Venezia aveva dichiarato la bambina adottabile ma aveva disposto il suo affidamento pre-adottivo a un’altra famiglia. La Corte d’appello di Venezia aveva riconosciuto che il Tribunale dei Minori avrebbe dovuto valutare preliminarmente la richiesta di adozione presantata dagli affidatari, ma aveva anche deciso di risparmiare un’altra separazione traumatica alla minore e di lasciarla alla famiglia adottiva. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che il nostro Paese in questa vicenda ha violato il diritto al rispetto della vita familiare e ha condannato lo Stato a risarcire la famiglia perché non era stato rispettato "il forte legame instauratosi tra la bambina e i genitori nel corso di 19 mesi".
Gli emendamenti alla legge nazionale sulle adozioni recentemente approvati dalla Commissione Giustizia del Senato, che riconoscono alle famiglie affidatarie la possibilità di adottare i bambini loro assegnati, sembrano recepire l’invito della Corte di Strasburgo a tenere in seria considerazione i rapporti duraturi tra bimbi e famiglie affidatarie e a riconoscere il giusto valore al legame che si crea e si rafforza nei mesi di permanenza in affido.
E vi è di più: la nuova formulazione della legge prevederebbe anche che la tutela dei rapporti tra affidatari e bambino anche nel caso in cui il bambino torni alla famiglia d’origine.
Appare urgente e auspicabile un intervento in tal senso del Legislatore nazionale, il cui obiettivo in questo tema - come in ogni altro che riguardi i minori - deve essere quello di perseguire l’interesse preminente del fanciullo.
Oggi la legge n. 184 del 1983 impedisce ai genitori affidatari di passare all’adozione, col rischio che il minore che non può tornare nella famiglia biologica, una volta dichiarato adottabile sia inserito in una terza famiglia.
Va preliminarmente osservato come l’istituto dell’affido serva a dare ai minori che non possono vivere con la famiglia biologica un sostegno temporaneo in attesa che il nucleo originario si normalizzi. Spesso, però, dopo il periodo di affido non ci sono le condizioni per il reinserimento nella famiglia di origine e i minori vengono dichiarati adottabili.
La ratio della legge n. 184 del 1993, che prevede che il minore dichiarato adottabile non resti nella famiglia affidataria, deve essere ricercato nella volontà del Legislatore di evitare che l’affido familiare possa essere usato strumentalmente come una "scorciatoia" per giungere all'adozione. Vero è che i due istituti - adozione e affido - hanno natura e obiettivi diversi ed è corretta la diversificazione della disciplina, ma è innegabile che l’applicazione della legge nazionale - purtroppo neppure uniformemente attuata su tutto il territorio nazionale - ha non di rado l’effetto di costringere un minore già provato dalle delicate vicende familiari a cambiamenti che si rivelano dolorosi e traumatici.
Inoltre la normativa nazionale appare in contrasto con i contenuti e della Convenzione ONU sui diritti dell'infanzia e dell'adolescenza e con la Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
Con la sentenza n. 345 del 27.04.2010 la Corte Europea per i diritti dell’Uomo ha, infatti, condanato l’Italia per le carenze nella procedura di adozione e per il mancato rispetto dei diritti della famiglia affidataria, rilevando la violazione dell'art. 8 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo che riconosce il diritto al rispetto della vita privata e famigliare; la vicenda che ha dato origine alla condanna della C.E.D.U. è quella di una neonata che agli inizi del 2004 venne affidata temporaneamente a una coppia che viveva con un figlio naturale e uno adottivo e aveva già avuto passate esperienze di affidi. La coppia aveva allevato e cresciuto per 19 mesi la bambina e nell’ottobre del 2004 aveva presentato una richiesta di adottabilità specifica della minore, rinnovata anche nel marzo 2005. I coniugi avevano poi appreso che il Tribunale dei Minori di Venezia aveva dichiarato la bambina adottabile ma aveva disposto il suo affidamento pre-adottivo a un’altra famiglia. La Corte d’appello di Venezia aveva riconosciuto che il Tribunale dei Minori avrebbe dovuto valutare preliminarmente la richiesta di adozione presantata dagli affidatari, ma aveva anche deciso di risparmiare un’altra separazione traumatica alla minore e di lasciarla alla famiglia adottiva. La Corte europea dei diritti dell’uomo ha riconosciuto che il nostro Paese in questa vicenda ha violato il diritto al rispetto della vita familiare e ha condannato lo Stato a risarcire la famiglia perché non era stato rispettato "il forte legame instauratosi tra la bambina e i genitori nel corso di 19 mesi".
Gli emendamenti alla legge nazionale sulle adozioni recentemente approvati dalla Commissione Giustizia del Senato, che riconoscono alle famiglie affidatarie la possibilità di adottare i bambini loro assegnati, sembrano recepire l’invito della Corte di Strasburgo a tenere in seria considerazione i rapporti duraturi tra bimbi e famiglie affidatarie e a riconoscere il giusto valore al legame che si crea e si rafforza nei mesi di permanenza in affido.
E vi è di più: la nuova formulazione della legge prevederebbe anche che la tutela dei rapporti tra affidatari e bambino anche nel caso in cui il bambino torni alla famiglia d’origine.
Appare urgente e auspicabile un intervento in tal senso del Legislatore nazionale, il cui obiettivo in questo tema - come in ogni altro che riguardi i minori - deve essere quello di perseguire l’interesse preminente del fanciullo.
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