Amministratore vs Lavoro subordinato: compatibilità e criticità


La compatibilità tra la carica di amministratore di società e lo svolgimento di attività subordinata per la stessa società costituisce una questione di rilevanza
Amministratore vs Lavoro subordinato: compatibilità e criticità

In più occasioni la giurisprudenza ha evidenziato che ricoprire la carica di amministratore di una persona giuridica non è di per sé ostativo alla sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’amministratore e la stessa società gestita e che la compatibilità tra le due figure (amministratore e dipendente) è consentita quando si possono ravvisare gli indici della subordinazione, ossia l’assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, organizzativo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società (tra le altre, Cassazione n. 14972/2020, Cassazione n. 9273/2019, Cassazione n. 29761/2018, Cassazione n. 19596/2016, Cassazione n. 18476/2014, Cassazione n. 24972/2013).

Nella più recenti sentenze del 2019 e 2020 la Corte ha affermato (sentenza n. 9273 del 3 aprile 2019) che è cumulabile la carica di amministratore e di lavoro subordinato della stessa società di capitali purché si accerti l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale. È necessario “(…) che colui che intenda far valere il rapporto di lavoro subordinato fornisca la prova del vincolo di subordinazione e cioè dell’assoggettamento, nonostante la carica sociale rivestita, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società.”.

L’amministratore o consigliere di una società di capitali può, pertanto, essere assunto dalla stessa, per cui svolge la carica sociale, con un contratto di lavoro subordinato alle seguenti condizioni:

  • l’affidamento del potere deliberativo, diretto a formare la volontà della società, a un organo collegiale o a un altro organo espressione della volontà dello stesso;
  • l’assoggettamento del lavoratore, nonostante la carica rivestita, al potere direttivo, organizzativo e disciplinare dell’organo collettivo o a quello di altri componenti dell’organo sociale;
  • l’attribuzione e lo svolgimento di mansioni estranee al rapporto sociale o attività non comprese nel potere di gestione che discende dalla carica ricoperta o dalle deleghe che gli sono state conferite.

Mentre risulta del tutto incompatibile con il lavoro dipendente la carica di amministratore unico, quest'ultimo, infatti, in presenza anche di un rapporto di lavoro subordinato con la società dal medesimo gestita, di fatto, diviene datore di lavoro di sé stesso, è da valutare caso per caso la posizione dell’amministratore delegato, la portata della delega conferita all’amministratore diviene rilevante ai fini dell’ammissibilità o meno della coesistenza tra carica sociale e lavoro dipendente (se l’amministratore ha una delega generale che implica la gestione globale della società senza necessità di interpellare il consiglio di amministrazione, dovrà essere esclusa la compatibilità mentre diversamente, l’attribuzione all’amministratore del solo potere di rappresentanza o di specifiche deleghe non è ostativo all’istaurazione con lo stesso soggetto di un rapporto di lavoro subordinato).

Ma non solo, con la richiamata sentenza n. 14972 del 14 luglio 2020 la Corte di Cassazione ha infine, al contrario, affrontato anche il caso di due soci amministratori e dirigenti della medesima società di capitali i quali, in seguito ad un accertamento effettuato dall’INPS, venivano cancellati dalla gestione lavoratori dipendenti e iscritti invece nella gestione commercianti dell’INPS. L’ente sosteneva infatti che fosse incompatibile il rapporto di lavoro subordinato con qualifica di dirigente con quella di socio amministratore della stessa società. In primo grado veniva dichiarata l’illegittimità dell’iscrizione dei due soci amministratori nella gestione commercianti; in secondo grado tale decisione veniva stravolta e veniva viceversa dichiarata la legittimità dell’iscrizione nella relativa gestione. I due soci amministratori ricorrevano in Cassazione che però respinge il ricorso sostenendo che il fatto che i due amministratori svolgessero in favore della società, oltre all’attività inerente al rapporto gestorio, un’ulteriore attività esecutiva abituale e continuativa, non fosse rilevante al fine di configurare un valido rapporto di lavoro subordinato, per difetto dell’elemento della subordinazione.

La compatibilità tra i due rapporti può derivare solo dall’assoggettamento degli amministratori-dipendenti alle direttive e al controllo dell’organo collegiale amministrativo.

Sul tema l’Inps è intervenuto con il messaggio n. 3359 del 17 settembre 2019 individuando, sulla base dei principi espressi dalla Corte di Cassazione, i criteri di compatibilità che consentono la coesistenza, in capo alla stessa persona, della titolarità di cariche sociali in società di capitali con l’attività di lavoro dipendente. L’Istituto si concentra in particolare sulla figura dell’amministratore unico, dell’amministratore delegato e dell’amministratore socio, evidenziando che la compatibilità dello status di amministratore di società di capitali con lo svolgimento di attività di lavoro subordinato, nelle casistiche ritenute in astratto ammissibili, presuppone l’accertamento in concreto delle seguenti condizioni:

  • affidamento del potere deliberativo diretto a formare la volontà dell’ente ad un organo collegiale o ad un altro organo sociale che sia espressione della volontà imprenditoriale;
  • rigorosa prova della sussistenza del vincolo di subordinazione cioè dell’assoggettamento del lavoratore interessato, nonostante la carica sociale rivestita, all’effettivo potere di supremazia gerarchica (potere direttivo, organizzativo, disciplinare, di vigilanza e di controllo) di un altro soggetto ovvero degli altri componenti dell’organismo sociale a cui appartiene;
  • svolgimento in concreto, in qualità di lavoratore dipendente, di mansioni estranee al rapporto organico con la società che non siano ricomprese nei poteri di gestione che derivano dalla carica ricoperta o dalle deleghe conferite.

GLI ASPETTI FISCALI

Il reddito percepito come lavoratore subordinato rientra nella disciplina dei redditi da lavoro dipendente di cui all’art. 49, comma 1 del Tuir (D.P.R. n. 917/1986), mentre il compenso derivante da collaborazione coordinata e continuativa rientra nella disciplina dell’art. 50, comma 1, lett. c-bis del Tuir ai sensi del quale sono assimilati ai redditi di lavoro dipendente “le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore,(…) nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita (…)”.

Ciò significa che i redditi di lavoro dipendente e assimilati al lavoro dipendente devono annualmente essere conguagliati a fine anno al fine di ottenere il corretto calcolo delle imposte e delle detrazioni fiscali.

GLI ASPETTI PREVIDENZIALI

Dal punto di vista previdenziale, i compensi corrisposti agli amministratori di società ex art. 50, comma 1, lett. c-bis del Tuir sono assoggettati al regime della Gestione Separata dell’Inps di cui all’art. 2, comma 26 Legge n. 335/1995, mentre i redditi di lavoro dipendente sono assoggettati alla relativa gestione previdenziale dell’obbligatorio fondo pensioni lavoratori dipendenti (contribuzione obbligatoria fpld), che segue l’attività connessa all’inquadramento contributivo della società (industria, agricoltura, artigianato, servizi).

Ciò significa che i contributi vengono versati in due fondi previdenziali distinti che permettono di accedere ad altrettante distinte prestazioni pensionistiche generalmente riconosciute dai singoli fondi obbligatori, ognuna attraverso l’acquisizione dei rispettivi requisiti minimi, sia dirette come la pensione di vecchiaia, la pensione anticipata, l'assegno ordinario di invalidità e pensione di inabilità) sia indirette, come la pensione di reversibilità e la pensione indiretta.

È possibile poi utilizzare la contribuzione presente nelle due gestioni, tramite diversi strumenti per accrescere gli anni di contribuzione all’interno di una unica gestione e poter accedere alla rispettiva prestazione in ipotesi in cui i periodi effettivamente versati nelle rispettive gestioni risultino irrisori e non possano dare diritto all’erogazione di una autonoma prestazione previdenziale.

CONSEGUENZE DEL DISCONOSCIMENTO DEL DOPPIO RAPPORTO

Un’accertata incompatibilità potrebbe comportare effetti particolarmente dannosi per la società e i soggetti preordinati al suo controllo e ripercuotersi in ambiti diversi.

Sicuramente il dipendente-amministratore non può avere diritto a trattenere la retribuzione riscossa e dovrà restituire alla società gli importi nel frattempo ricevuti. Di contro la contribuzione previdenziale versata diverrebbero non dovute e il diritto del dipendente-amministratore a ripeterle dall’istituto sarebbe soggetto ad un termine di prescrizione, con il rischio non solo di vedere sfumati anni di versamenti contributivi, ma persino il diritto ad ottenere prestazioni assistenziali e pensionistiche.

D’altro canto la società si troverebbe ad accollarsi le conseguenze in tema di sanzioni per la conseguente indeducibilità dal reddito della società del relativo costo da lavoro dipendente nonché tutte le sanzioni amministrative in materia di lavoro, con possibili ricadute di responsabilità personale sia sui membri dell’organo amministrativo per mala gestio, con conseguente facoltà per gli altri soci di agire per ottenere la loro revoca in via cautelare e poi esperire l’azione risarcitoria, sia sui membri di un eventuale organo di controllo per omessa vigilanza

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di Maurizio Pesenti

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