Amministratori: prestazioni gratuite con cautela


Sempre più frequentemente l’Agenzia delle Entrate presume compensi agli amministratori di società che prestano gratuitamente la propria opera
Amministratori: prestazioni gratuite con cautela
Nelle società a ristretta base societaria, specialmente laddove i soci abbiano tra loro legami di parentela, accade frequentemente che l’organo amministrativo operi gratuitamente, senza compensi, soprattutto laddove l’andamento economico non favorevole o il modesto profilo aziendale mal sopportino tali spese.

L’Agenzia delle Entrate ha più volte contestato questa impostazione, presumendo indimostrati compensi a favore degli amministratori in virtù del principio generale di onerosità del mandato (art. 1709 C.C.). Gli amministratori vengono così chiamati a pagare imposte, con relative sanzioni e interessi, su compensi non percepiti.

La Cassazione si è espressa, con misura, sull’argomento con la Sentenza n. 1915 del 29 gennaio 2008, in cui così si legge: "in tema di accertamento delle imposte sui redditi, in presenza di un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo, è legittimo l'accertamento del reddito ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d) il quale consente di desumere l'esistenza di ricavi non dichiarati anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti (Cass. n. 7680/2002; n. 10802/2002; n. 1821/2001)".

Come si vede, la terminologia usata dà conto dell’eccezionalità della conclusione: il Supremo Collegio parla infatti di "comportamento assolutamente contrario ai canoni dell'economia, che il contribuente non spieghi in alcun modo". Le espressioni "assolutamente" e "in alcun modo" sottolineano quanto grave debba essere la carenza logica della contrarietà ai canoni dell’economia e quanto profonda debba essere la carenza probatoria del contribuente, che non fornisca alcuna giustificazione.

Per inciso, nel caso in esame, il contribuente aveva prodotto solo una propria autodichiarazione, quale insufficiente prova della gratuità, il che spiega il giudizio negativo della Corte.

Per vincere la presunzione di onerosità occorre, quindi, svolgere opportune analisi e documentare i risultati raggiunti. Sul piano logico, la prima verifica da condurre concerne lo statuto sociale, onde verificare se in esso sia contenuta una generale previsione di gratuità, salvo deroghe, della funzione di amministratore; sussistendo tale ipotesi, l’indagine in positivo può dirsi conclusa, essendo sufficiente la clausola statutaria, che la impone, a giustificare la gratuità della prestazione; l’indagine in negativo deve invece accertare che non vi siano delibere che deroghino al detto principio.

È comunque opportuno che dal bilancio di esercizio risulti in modo chiaro e inequivocabile la gratuità della prestazione, con eventuale sua affermazione con riferimento all’informazione prevista dal numero 16 dell’art. 2427 C.C., contenuta nella Nota Integrativa o, per le micro imprese, riportata in calce allo Stato Patrimoniale.

Laddove lo statuto sociale contenga, invece, l’opposta affermazione della presunzione di onerosità dell’incarico di amministratore è opportuno che i soci si esprimano in assemblea (o in forma scritta, ove statutariamente previsto per le Srl) manifestando chiaramente il carattere gratuito dell’incarico conferito. Se, come spesso accade, l’amministratore è anche socio, la sua approvazione della delibera è indice della sua acquiescenza alla gratuità; in caso contrario è opportuno che la confermi per iscritto.

È, comunque, prudente - anche quando non necessario - chiamare i soci a deliberare in ogni caso, anche in presenza di clausole statutarie favorevoli, onde evitare equivoci da cui possano nascere contestazioni dell’Agenzia delle Entrate. Un verbale di assemblea è infatti un valido elemento probatorio.

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di dott. Gabriele Tosi

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