Anche i parenti stretti di un macroleso hanno diritto al risarcimento


Anche i prossimi congiunti di un macroleso, così come i prossimi congiunti di un soggetto deceduto, vantano un diritto personale e proprio al risarcimento
Anche i parenti stretti di un macroleso hanno diritto al risarcimento

Un'interessantissima sentenza della Corte di Cassazione, sez. III, la n. 12.470 del 18.05.17, ha affrontato con piglio decisamente innovativo la problematica dei cosiddetti danni riflessi dei prossimi congiunti di soggetto macroleso.

In proposito, si è consolidata ormai da qualche anno – nella giurisprudenza di merito e di legittimità – la convinzione che meriti accoglienza, ove adeguatamente allegata e dimostrata, non solo la domanda di risarcimento del danno non patrimoniale dei prossimi congiunti di un soggetto deceduto, ma anche quella dei parenti stretti di una persona la quale abbia riportato lesioni gravissime seppur non esitate in un infausto e mortale destino.

In particolare, l’indirizzo uniformemente condiviso dai tribunali e dalle corti italiane è quello di ammettere a risarcimento siffatte istanze laddove le medesime siano connesse a una macrolesione approssimativamente stimabile in un danno biologico superiore al 50%.

Il vero problema era (fino all’aprile 2018) quello della modalità di quantificazione del risarcimento richiesto. La tendenza delle prime sentenze in materia era quella di affidarsi al criterio equitativo puro senza alcun riferimento alle vigenti tabelle milanesi; queste ultime, come noto, prevedevano espressamente una forbice risarcitoria (oscillante tra un minimo e un massimo) solo per i prossimi congiunti della vittima di un evento letale.

Oggi, con la pubblicazione delle nuove Tabelle Milanesi nel 2018 (confermate dall’ultima edizione del 2021) ogni possibile contestazione sul punto deve ritenersi archiviata.

Esse, infatti, consentono di liquidare ai prossimi congiunti di un macroleso una somma massima pari (nel suo massimo) a quella prevista per i prossimi congiunti di un soggetto deceduto.

Quanto alle motivazioni che ampiamente giustificano tale scelta (opportunamente compiuta dall’Osservatorio della Giustizia del Tribunale meneghino) si può richiamare il contenuto della succitata sentenza (n. 12.470 del 18.05.17): la ricorrente aveva agito per ottenere il risarcimento del proprio danno non patrimoniale derivante dall’investimento del di lei marito il quale aveva riportato un danno biologico del 70%.

La Corte ha messo nero su bianco un principio che dovrebbe rappresentare la stella polare di tutti coloro che si cimenteranno, d’ora in poi, nell’arduo compito di tradurre in vil moneta quel dolore umanamente incommensurabile che si accompagna a tutte le tragedie come quella in oggetto. Ci riferiamo, in particolare, al brano della pronuncia in cui si legge che l’alterazione irreversibile cagionata dalle tragedie in questione non è destinata ad evolversi positivamente con l’avanzare dell’età dei coniugi giacché “ai problemi fisici e psichici riportati dal merito a seguito dell’incidente è destinato a sommarsi il normale deterioramento delle condizioni fisiche di entrambi conseguenti all’avanzare dell’età”.

In definitiva, la Suprema Corte cristallizza un principio di somma equità, oltre che di ragionato buonsenso, imponendo l’impiego dei criteri (di cui alle note tabelle meneghine) di liquidazione del danno non patrimoniale a favore dei prossimi congiunti di un morto anche ai casi di liquidazione a favore dei prossimi congiunti di un macroleso.

Non è detto che la sopravvivenza in vita del macroleso debba condurre necessariamente alla liquidazione di un danno di importo inferiore rispetto a quello contemplato dalle note “forchette” delle tabelle milanesi; è una verità incontrovertibile – in quanto empiricamente verificabile e, purtroppo, sistematicamente sperimentata sulla propria pelle da tutte le sventurate vittime della casistica in esame – che la sofferenza correlata alle lesioni gravissime di un parente può essere addirittura maggiore di quella scaturita da un lutto.

Infatti, nella seconda ipotesi il dolore tende naturalmente ad attenuarsi con il decorso del tempo (medico dell’anima), mentre il patimento interiore legato alla compromessa integrità psicofisica di un prossimo congiunto si rinnova di giorno in giorno. E ciò proprio in virtù della necessitata contiguità con la quotidiana via crucis cui è condannato il familiare macroleso.

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di Avv. Francesco Carraro

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