L’esperienza corporea si ha attraverso il contatto con l’ambiente e la sensazione di essere riconosciuti e contenuti dall’altro che rimanda alla sensazione di essere liberi di muoversi nel mondo. Da ciò si può dedurre che il disagio relazionale nasce nel momento in cui mancano riconoscimento e contenimento. Ci sono comunque dei disturbi che riguardano in particolare l’esperienza corporea come i disturbi d’ansia, e le desensibilizzazioni. Questi disturbi emergono nel momento in cui non si è più in contatto con la nostra base sensoriale: in questo modo si perde la percezione dei propri bisogni e di quello dell’altro con il conseguente scollegamento dal nostro esser-ci nel mondo e della nostra intenzionalità di contatto. Non riusciamo più a percepire la sensazione di libertà che ci permette di andare verso il mondo e cominciamo a retroflettere in modo ansiogeno. I disturbi psicosomatici sorgono quando l’esperienza corporea non chiude le proprie gestalt, perpetuandole. È interrotta l’intenzionalità di contatto, che quindi non è più spontanea. Quando parliamo di disturbi d’ansia, dobbiamo includere anche il disturbo di panico e il disturbo post-traumatico da stress. Per dirla con le parole di Francesetti, <<<l’ansia è eccitazione senza il sostegno dell’ossigeno>> > (Francesetti,2005,p.35), con conseguente desensibilizzazione del confine di contatto. È come se mancasse il terreno sotto i piedi, il ground, e questa mancanza di appoggio è quello che capita quando non si è stati contenuti in una relazione intima buona in cui ci si poteva affidare totalmente. La desensibilizzazione invece è la risposta all’ansia e al trauma da dimenticare, ed è un disagio che si sta diffondendo in maniera sempre crescente tra i giovani, che trovandosi senza limiti spaziali e temporali, non hanno confini, e non riescono a sviluppare sufficienti radici per sentirsi liberi di respirare, e poggiare la testa sulla spalla di qualcuno. Il loro corpo è sempre in tensione. E’ proprio per questo che si desensibilizzano: non riescono a sopportare questa tensione continua che diventa come una sorta di trauma a cui reagiscono depersonalizzandosi, non sapendo più chi sono. L’intervento terapeutico deve essere finalizzato ad una co-costruzione, tra terapeuta e paziente, di nuovi percorsi relazionali capaci di portare a compimento l’intenzionalità che caratterizza ogni contatto. Infine, si può parlare di somatizzazione definendola come la partecipazione corporea dell’intenzionalità di contatto: è come se il corpo partecipa al vissuto problematico attraverso il disagio, diventando il luogo di conflitto tra il dovere e il volere. Alla base c’è il bisogno di sentirsi legittimati dagli altri nei propri bisogni e, quindi, una rabbia retroflessa. È come se l’individuo stesse obbligandosi a fare qualcosa gridando al mondo, attraverso il corpo la sua sofferenza. Le forme che possono prendere le somatizzazioni sono molteplici e sono sempre disturbi sia organici che psichici, per cui andrebbero affrontati sia attraverso il farmaco che la psicoterapia, e la PdG è specializzata nel fare lasciando l’ultima parola all’esperienza corporea con la domanda “che cosa senti in questo momento nel luogo in cui hai il disturbo?” È lì che si cela l’intenzionalità di contatto retroflessa. La somatizzazione si risolve nel momento in cui l’intenzionalità di contatto si sente riconosciuta dall’altro che cerca di risolvere attraverso un movimento amorevole le difficoltà della situazione integrando i vari aspetti.