Ansia, panico e depressione: tanti ne soffrono ma non tutti ne parlano


Sono diverse le persone che soffrono di ansia, panico e depressione. C’è chi dice di vivere un incubo, chi di sentirsi una nullità, un essere inferiore
Ansia, panico e depressione: tanti ne soffrono ma non tutti ne parlano

Da dopo la laurea, discussa a febbraio di quest’anno, ho iniziato a iscrivermi in vari gruppi Facebook, in cui ho potuto trovare diverse persone che soffrono di ansia, panico e depressione, un po’ per vedere cosa si scriveva, un po’ per indagine-ricerca sul campo. Volevo toccare con mano, andando oltre i soliti discorsi di persone conoscenti, che difficilmente si aprono nel dire veramente come stanno. C’è sempre un po’ di riserbo. Non tutti sono davvero disposti a raccontare cosa sentono realmente. Sarebbe uno scoprirsi e dimostrarsi vulnerabili, quando invece la società odierna promuove ben altri modelli.

Ho notato che su Facebook, invece, risulta più facile chiedere aiuto e consigli, e dichiararsi in un certo modo, forse perché anche se non ci si conosce, c’è qualcosa che unisce.

Tutte quelle persone si sentono bloccate dall’ansia, c’è chi lo definisce un incubo che non finisce mai, chi va a momenti, chi si sente una nullità, un essere inferiore, un’umiliazione, chi si sente bloccato da un macigno invisibile, chi si paragona ad un bimbo impaurito, chi si autoaccusa di aver reso la vita impossibile anche ai propri cari, per cui il fardello da portare è doppio: non solo l’onta dell’ansia, ma anche il senso di colpa per essere causa della sofferenza altrui!

Ci sono sintomi generali, ma ognuno li declina a livello soggettivo: c’è chi soffre di forti, fortissimi mal di testa, chi sente le spalle bloccate, fino alla schiena, chi ha manifestazioni psicosomatiche, chi non respira, chi non dorme, chi ha frequenti capogiri tanto da non voler più uscire di casa per paura di stare male.

Il nostro sistema vive sempre in allerta, come se ci fosse un reale pericolo costante, eppure non è così, ma il mondo esterno è percepito come minaccioso.

Mi sono resa conto che una parte è lo studio sui libri di questo fenomeno, dall’altra leggere le risposte, o considerazioni delle persone sui loro stati d’animo, paure, angosce. In un certo senso, ho toccato con mano la realtà e non si ha idea di quanta gente ne soffra, finché non se ne viene a contatto direttamente.

Io stessa, in passato, ho avuto attacchi di panico, ho sofferto di stati ansiogeni, penso più o meno tutti, chi più, chi meno, chi prima, chi poi.

Non dobbiamo dimenticare che, la paura per certe situazioni, in noi è ancestrale, perché, se siamo arrivati fino ad oggi, è proprio grazie al meccanismo di attacco e fuga, generato dalla percezione di essere di fronte ad un potenziale pericolo. Non solo di attacco e fuga, ma anche “freezing”, cioè congelamento, secondo te, che leggi, come mai l’oppossum si finge morto di fronte ad un orso, o altro animale predatore? Per due motivi: per salvare la pelle e non essere cacciato e perché l’orso non mangia carcasse, ma caccia animali vivi. Lo stesso dicasi per i gatti, ma non per i cani, che invece si cibano talvolta di resti animali morti.

Inoltre, la situazione contingente in cui ci siamo trovati recentemente a vivere non ha aiutato per nulla, gioco-forza ci siamo dovuti tutti adeguare, non entro nel merito di eventuali altre letture, mi limito ad osservare quanto accaduto, che sicuramente è andato ad inficiare e a rendere situazioni precarie, ancora più precarie talvolta, oppure a stabilizzare quelle che già lo erano molto. Voglio dire che in persone con una certa sensibilità, si sono manifestati sintomi tipici dell’ansia, che è diventata così davvero più evidente, tanto da prenderne consapevolezza.

La consapevolezza!

Essere coscienti di quanto stiamo vivendo, come lo stiamo vivendo e dove percepiamo nel corpo una certa emozione, a volte, è una grande rivelazione, soprattutto capire cosa si scatena in noi.

Pensiamo sempre che mente e corpo siano entità separate, come ad esempio le barre in metallo dei binari del treno, che sono paralleli, ma non si incontrano mai. Questo è anche un retaggio della nostra cultura occidentale, gli orientali, invece, sono da sempre più attenti e li vedono uniti, cioè un qualcosa di sistemico, in cui ogni parte influenza ed è influenzata dall’altra.

Sembra incredibile, ma è così! Noi viviamo tutti i giorni secondo una lista di incombenze da portare a termine, se non lo facciamo non siamo “bravi, produttivi, non facciamo il nostro dovere”, così sorgono i vari sensi di colpa. Sentiamo la vocina dentro che ci rimprovera, per cui ci affanniamo, in una corsa contro il tempo, a portare a termine tutto ed ovviamente al top della performance. Perché c’è anche questo, oltre al tempo, la performance!

Non consideriamo che, magari, un attimo di pausa, ogni tanto, ce lo dobbiamo prendere, altrimenti sarà il nostro corpo ad imporcelo, che si voglia o meno!

Per cui ci ritroviamo a letto bloccati con la schiena, con la cervicale che è infiammata, le spalle doloranti, capogiri, ansia ed angoscia che sorgono, perché abbiamo/dobbiamo fare tante cose e siamo lì, a letto, a perdere tempo!

Quante volte ti sei sentito così, in colpa perché ti stavi riposando, magari la tua vocina interiore riproponeva l’affermazione di un qualche membro della tua famiglia che ti rimproverava perché ti vedeva pigro sul divano per un pomeriggio. Quando in realtà ti stavi riposando?

Quindi ho voluto creare un percorso di 10 settimane per tutte quelle professioniste, che amano follemente il loro lavoro, ma che si ritrovano ad essere come una sorta di criceti a correre senza sosta nella ruota e non possono scendere nemmeno per bere e riposare a prendere fiato. L’obiettivo è quello di tornare ad essere padrone della propria vita, riuscire a fare ancora il giocoliere, tenendo in piedi, con efficacia ed efficienza, tutte le attività lavorative e non solo: famiglia, interessi, senza per questo dimenticarsi di respirare, nel frattempo, e senza sentirsi in colpa, se ci si vuole fermare un attimo, per ricaricare le energie ed essere ancora più produttive il giorno dopo!

Non c’è soddisfazione più grande quando le persone, che lavorano con te ti ringraziano, perché magari sono riuscite a guidare ancora a Roma, nel traffico, dopo tre anni che non accadeva più!

Articolo del:


di Anita Alberti

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