Appalto e interessi moratori ex D.Lgs. 231/02.


Applicazione degli interessi moratori ex D.Lgs. 231/02 ai contratti di appalto.
Appalto e interessi moratori ex D.Lgs. 231/02.
Con il D.Lgs. n. 231/2002 il legislatore italiano ha dato attuazione alla direttiva 2000/35/UE, in materia di ritardi di pagamento nelle transazioni commerciali. Dall’emanazione di detta normativa una della questioni che ha suscitato maggior interesse attiene senza dubbio l’ambito oggettivo di applicazione del decreto, giacché questo definisce all’art.2, n.1, lett A) «transazioni commerciali i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo». L’art. 3 del decreto sancisce che: «il creditore ha diritto alla corresponsione degli interessi moratori, ai sensi degli articoli 4 e 5, salvo che il debitore dimostri che il ritardo nel pagamento del prezzo è stato determinato dall’impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile». L’art. 4 disciplina la decorrenza degli interessi moratori, mentre l’art. 5 stabilisce il saggio degli interessi, sancendo: «1. Salvo diverso accordo tra le parti, il saggio degli interessi, ai fini del presente decreto, è determinato in misura pari al saggio d’interesse del principale strumento di rifinanziamento della Banca centrale europea applicato alla sua più recente operazione di rifinanziamento principale effettuata il primo giorno di calendario del semestre in questione, maggiorato di sette punti percentuali. Il saggio di riferimento in vigore il primo giorno lavorativo della Banca centrale europea del semestre in questione si applica per i successivi sei mesi. 2. Il Ministero dell’economia e delle finanze dà notizia del saggio di cui al comma 1, al netto della maggiorazione ivi prevista, curandone la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana nel quinto giorno lavorativo di ciascun semestre solare». Attualmente, quindi, il tasso ex 231/02 è del 8,25%, mentre nel 2008 arrivò fino al 11,20%. Uno dei dubbi maggiori in dottrina è stato se tale decreto si applichi ai contratti cd. "misti", come, ad esempio, l’appalto: se, quindi, tale Istituto possa considerarsi come "transazione commerciale". Secondo la definizione codicistica (art. 1655 c.c.), infatti, il contratto di appalto è: «Il contratto col quale una parte assume, con organizzazione dei mezzi necessari e con gestione a proprio rischio, il compimento di un’opera o di un servizio verso un corrispettivo in denaro». Al fine di poter considerare l’appalto come "transazione commerciale", quindi, è opportuno stabilire quale sia l’oggetto prevalente dell’appalto, in quanto non è esatto sostenere che il decreto in questione si applichi "automaticamente" sempre e comunque in caso di contratti di appalto, giacché vale la conclusione esattamente contraria, come previsto dall’art. 2 del decreto: ove esso non comporti, in via almeno prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo. Deve ritenersi, dunque, che il legislatore con il decreto 231/02, ha fatto riferimento ai contratti misti di lavori, forniture e servizi e anche ai contratti di forniture e servizi, quando comprendano lavori accessori: non v’è dubbio, infatti, che l’accessorietà cui ha riguardo il legislatore vada intesa in questo caso nel senso di strumentalità del lavoro rispetto alla prestazione, di volta in volta di fornitura o servizio, destinata ad assumere, in considerazione della complessiva funzione assegnata dalle parti al contratto, natura principale. Muovendo da siffatta premessa, e ricordando quanto disposto dal summenzionato art. 2 n. 1 lett A) del D.Lgs 231/02, ne discende l’inapplicabilità; di detta normativa ai contratti misti che comportino sì la consegna di merci o la prestazione di servizi contro il pagamento di un prezzo, ma non in via prevalente. Combinando la regola della prevalenza della consegna di merci o della prestazione di servizi di cui al D.Lgs. 231/02 con la diversa regola del rilievo economico superiore al 50% per i lavori, quale condizione perché si applichi la disciplina propria di questi ultimi, se ne trae che: 1. ove lavori e servizi si equivalgano sul piano della rispettiva rilevanza economica in rapporto ai lavori, nell’ambito del contratto misto, o comprendente lavori accessori, gli interessi moratori di cui al D.Lgs. 231/02 non risulteranno applicabili; 2. in caso invece di prevalenza degli uni (servizi) o delle altre (forniture) rispetto ai lavori, detto decreto esplicherà effetto. Nel caso dell’appalto, quindi, dobbiamo esaminare e stabilire se sia prevalente il "servizio" o la "fornitura" (nel cui caso si applicherebbero gli interessi ex D.Lgs. 231/02), ovvero sia prevalente o paritaria "l`opera", per cui non si applica il D.Lgs. 231/02. A questo proposito, in via assolutamente analogica con gli appalti pubblici, trattandosi di medesimo Istituto, ci supporta il D.Lgs. 163/06, il quale, all’art 3, così come modificato dall’art. 1, comma 1, lettera a) del D.Lgs. n. 152/08, prevede: «I "lavori" comprendono le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione, restauro, manutenzione, di opere. Per "opera" si intende il risultato di un insieme di lavori, che di per sé esplichi una funzione economica o tecnica. Le opere comprendono sia quelle che sono il risultato di un insieme di lavori edilizi o di genio civile, sia quelle di presidio e difesa ambientale e di ingegneria naturalistica». L’appalto, quindi, può essere suddiviso in tre categorie: 1] appalto di servizi; 2] appalto di fornitura di beni; 3] appalto di opere. L’appalto di servizi riguarda l’espletamento di attività come servizi di consulenza, informatici, di ingegneria, pulizia, etc. L’appalto di fornitura di beni riguarda l’approvvigionamento dei prodotti necessari, appartenenti a tutte le categorie merceologiche. L’appalto di opere, infine, riguarda le attività di costruzione, demolizione, recupero, ristrutturazione restauro e manutenzione. Per quanto previsto dall’art. 2 n. 1 lett A) del D.Lgs. 231/02, alle prime due categorie dell’appalto è indubbio si applichi lo stesso decreto, mentre per la terza, sic et simpliciter, non si applica, ma va esaminato caso per caso, quale sia l’aspetto prevalente dell’oggetto del contratto. Di solito, nel caso di appalti di opere (costruzioni, edilizia), è indubbio che l’ "opera" non sia solo paritaria, ma assolutamente prevalente sul resto e che la progettazione (servizio) e i materiali (fornitura), non solo non sono "esclusivi o prevalenti", ma sono assolutamente minoritari, accessori e complementari all’oggetto principale del contratto che è l’opera (costruzione). Anche nella quantificazione economica del corrispettivo, di solito la voce rilevante non è la progettazione, né i materiali (anche strumentali) impiegati, ma è il lavoro di costruzione dell’opera. Si ritiene, quindi, che non possano trovare applicazione gli interessi moratori ex D.Lgs. 231/02, i quali - è bene ricordare - riguardano solo le: «transazioni commerciali i contratti, comunque denominati, tra imprese ovvero tra imprese e pubbliche amministrazioni, che comportano, in via esclusiva o prevalente, la consegna di merci o la prestazione di servizi, contro il pagamento di un prezzo», ma non quando sia prevalente l’esecuzione di lavori di costruzione (opere). In ogni caso, al fine di pattuire un conteggio degli interessi diverso da quello del decreto 231, al momento della stipula del contratto di appalto di opere sarebbe opportuno inserire una clausola la quale faccia ricadere la disciplina complessiva dell’appalto stipulando in quella degli appalti pubblici di cui al D.M. 145/00 e succ. modd., È fondamentale, però, che nella clausola contrattuale sia specificato che il richiamo al decreto ministeriale è relativa anche (e soprattutto) agli interessi, essendo il D.Lgs. 231/02 successivo al DM 145/00. Il richiamo al D.M. 145/00 fa sì che diventino applicabili al rapporto pattizio anche gli artt. 29 e 30, i quali prevedono una quantificazione particolare degli interessi di mora, di alcuni punti minore di quella ex 231/02. Il quarto comma dell’art. 30, infatti, prevede che: «Il saggio degli interessi di mora previsti dai commi 1, 2 e 3 è fissato ogni anno con decreto del Ministro dei lavori pubblici di concerto con il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica. Tale misura è comprensiva del maggior danno ai sensi dell’articolo 1224, secondo comma, del codice civile»: ad oggi il tasso previsto dal DM è del 4,08%, contro l’attuale 8% del decreto 231. La dottrina e la giurisprudenza, inoltre, sono concordi nel ritenere come "vessatoria" la clausola pattizia che preveda una deroga alla disciplina generale degli interessi 231/02. Anche, quindi, se le parti stipulanti il contratto di appalto sono entrambe private e pur essendo il contratto frutto di trattative e negoziazioni tra le parti e non preformato ed "imposto" da una parte all’altra, si ritiene opportuno che la norma pattizia che faccia ricadere la disciplina dell’appalto stipulando nel DM 145/00, anche per agli interessi dovrà essere lo stesso doppiamente firmata ai sensi degli artt. 1341, 1342 e segg. del codice civile. L’accordo su una diversa disciplina degli interessi dal D.Lgs. 231/02, infatti, trova il limite dell’art. 7 del decreto stesso, il quale prevede che: «1. L’accordo sulla data del pagamento, o sulle conseguenze del ritardato pagamento, è nullo se, avuto riguardo alla corretta prassi commerciale, alla natura della merce o dei servizi oggetto del contratto, alla condizione dei contraenti ed ai rapporti commerciali tra i medesimi, nonché ad ogni altra circostanza, risulti gravemente iniquo in danno del creditore. 2. Si considera, in particolare, gravemente iniquo l’accordo che, senza essere giustificato da ragioni oggettive, abbia come obiettivo principale quello di procurare al debitore liquidità aggiuntiva a spese del creditore, ovvero l’accordo con il quale l’appaltatore o il subfornitore principale imponga ai propri fornitori o subfornitori termini di pagamento ingiustificatamente più lunghi rispetto ai termini di pagamento ad esso concessi. 3. Il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità dell'accordo e, avuto riguardo all’interesse del creditore, alla corretta prassi commerciale ed alle altre circostanze di cui al comma 1, applica i termini legali ovvero riconduce ad equità il contenuto dell’accordo medesimo». Ogni deroga, quindi, dovrà essere "equa", rimettendo la valutazione dell’equità al Giudice. Si ritiene che l’espresso richiamo ad una norma (il DM 145/00) che disciplini in via specialistica gli appalti, seppur pubblici, la quale trova ancora applicazione per i contratti stipulati prima del 08.08.2002, la quale, oltretutto, prevede interessi ben sopra il tasso legale, possa non essere considerata "iniqua" dal Giudice.

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di Avv. Gian Luca Laurenzi

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