Appello: modificabilità della domanda
E' possibile modificare in appello i fatti che la parte ha posto inizialmente a base della propria domanda?

E' possibile modificare in appello i fatti che la parte ha posto inizialmente a base della propria domanda?
Sul tema la Cassazione è stata sempre univoca nell’affermare che nel rito del lavoro la disciplina della fase introduttiva del giudizio - a maggior ragione quella del giudizio d'appello - risponde ad esigenze di ordine pubblico, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che informano il processo, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 437 cod. proc. civ., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al "petitum" che alla "causa petendi", ritenendo del tutto irrilevante il fatto che dalla controparte vi sia stata accettazione - esplicita o tacita - del contraddittorio; pertanto non è consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, essendo nella fase di appello precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantitative) che comportino anche solo una "emendatio libelli", permessa solo all'udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge.
Diversa è la conclusione quando non si tratti di addurre fatti nuovi, ma prospettare nuove difese sulla base dei fatti già acquisiti al processo, ovvero, quando si tratti di eccezioni in senso lato fondate su circostanze verificatesi nel corso del giudizio o delle quali la parte abbia avuta conoscenza successivamente.
Tale principio, in particolare, è stato formulato nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo per effetto del quale il datore sia stato condannato al pagamento delle retribuzioni dalla data del recesso a quella dell’effettiva reintegra, essendosi ritenuto che, qualora lo stesso datore venga a conoscenza che il lavoratore ha intrapreso una attività economicamente produttiva, da quelle retribuzioni possa essere detratto ciò che il lavoratore abbia guadagnato per effetto della nuova attività svolta.
Sul tema la Cassazione è stata sempre univoca nell’affermare che nel rito del lavoro la disciplina della fase introduttiva del giudizio - a maggior ragione quella del giudizio d'appello - risponde ad esigenze di ordine pubblico, in aderenza ai principi di immediatezza, oralità e concentrazione che informano il processo, con la conseguenza che, ai sensi dell'art. 437 cod. proc. civ., non sono ammesse domande nuove, né modificazioni della domanda già proposta, sia con riguardo al "petitum" che alla "causa petendi", ritenendo del tutto irrilevante il fatto che dalla controparte vi sia stata accettazione - esplicita o tacita - del contraddittorio; pertanto non è consentito addurre in grado di appello, a sostegno della propria pretesa, fatti diversi da quelli allegati in primo grado, essendo nella fase di appello precluse le modifiche (salvo quelle meramente quantitative) che comportino anche solo una "emendatio libelli", permessa solo all'udienza di discussione di primo grado, previa autorizzazione del giudice e della ricorrenza dei gravi motivi previsti dalla legge.
Diversa è la conclusione quando non si tratti di addurre fatti nuovi, ma prospettare nuove difese sulla base dei fatti già acquisiti al processo, ovvero, quando si tratti di eccezioni in senso lato fondate su circostanze verificatesi nel corso del giudizio o delle quali la parte abbia avuta conoscenza successivamente.
Tale principio, in particolare, è stato formulato nel caso di licenziamento dichiarato illegittimo per effetto del quale il datore sia stato condannato al pagamento delle retribuzioni dalla data del recesso a quella dell’effettiva reintegra, essendosi ritenuto che, qualora lo stesso datore venga a conoscenza che il lavoratore ha intrapreso una attività economicamente produttiva, da quelle retribuzioni possa essere detratto ciò che il lavoratore abbia guadagnato per effetto della nuova attività svolta.
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