Arbitrato rituale e irrituale
Sono procedimenti di risoluzione delle controversie alternativi alla giurisdizione ordinaria
Il procedimento di arbitrato è un mezzo di risoluzione delle controversie alternativo alla giurisdizione ordinaria, praticabile quando la lite tra le parti verte in materia di diritti disponibili. L’arbitrato consente, in particolare, di deferire una controversia ad uno o più privati cittadini, affinché essi decidano con proprio provvedimento, detto "lodo".
Tale strumento di deflazione del contenzioso, che si inscrive nell’ambito delle procedure di Alternative Dispute Resolution (ADR), presenta numerosi profili vantaggiosi, che ne hanno consentito l'affermazione anche nell'ordinamento italiano. Si pensi all'autonomia lasciata alle parti di nominare l’arbitro o gli arbitri, di stabilire la sede e le norme che l’arbitro dovrà osservare, pur nel rispetto di alcuni principi fondamentali; le parti, inoltre, sono consapevoli sin dall’inizio della durata massima del procedimento.
Non tutte le controversie possono essere deferite agli arbitri.
In proposito, l'art. 806 c. 1 c.p.c. recita: "Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge". Dunque, costituiscono eccezione e sono riservate al giudice statale:
a) le liti che hanno per oggetto diritti indisponibili, di cui esempio classico sono i diritti c.d. privatissimi, come status, salute, integrità fisica, libertà;
b) ogni altra controversia che non può essere deferita ad arbitri per espresso divieto di legge, come la convalida di sfratto, le procedure di volontaria giurisdizione, le esecuzioni forzate, le controversie possessorie, i provvedimenti cautelari ed anticipatori.
Rientrano, invece, tra le materie arbitrabili i diritti patrimoniali, ivi compresi il diritto di proprietà e di obbligazione.
L'ordinamento italiano conosce due tipi di arbitrato: l'arbitrato rituale e quello irrituale. Essi hanno in comune l’espressa volontà delle parti di sottrarre al giudice ordinario la decisione della lite per affidarla, invece, ad arbitri; tuttavia diversa è la loro natura giuridica.
Che si tratti dell'una o dell'altra figura, per ricorrere all’arbitrato è necessario che la volontà delle parti di deferire ad arbitri le controversie insorte, o che dovranno insorgere, sia resa in forma scritta nel compromesso, o nella clausola compromissoria.
Il compromesso è il negozio giuridico mediante il quale le parti, quando la controversia è già insorta, manifestano l’intenzione di deferire ad arbitri la querelle. Con la clausola compromissoria, invece, le parti agiscono in via preventiva ed eventuale stabilendo, nel contratto che stipulano od in atto separato, che le controversie nascenti dal contratto medesimo saranno decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione d'arbitrato.
Con il compromesso e con la clausola compromissoria le parti fissano le regole della procedura arbitrale, nei limiti fissati dalle leggi statali; in assenza di tale indicazione sono gli arbitri stessi a regolare lo svolgimento del procedimento, con alcuni limiti inderogabili fissati dalla legge.
Entrando nel merito delle due fattispecie, l’arbitrato rituale, disciplinato dagli artt. 806 e ss. c.p.c., consiste in un vero e proprio giudizio, di diritto o di equità, che gli interessati affidano ad uno o più arbitri. Il prodotto di tale giudizio, detto "lodo arbitrale", ha l’efficacia propria dell’atto giurisdizionale.
Il giudizio arbitrale è dunque un giudizio privato effettuato da soggetti che operano come giudici: l'arbitro, infatti, è privo dei poteri autoritativi del magistrato ed è provvisto solo dei poteri conferitigli contrattualmente dalle parti. E’ un giudizio che già per se stesso ha l'efficacia propria della sentenza, così come ribadito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza 527/00, con la quale si identifica il giudizio arbitrale come "ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale".
L'arbitrato irrituale è disciplinato dall’art. 808 ter c.p.c., introdotto nell'ordinamento italiano dal D.lgs n. 40/2006. Ricorre quando le parti hanno inteso porre gli arbitri nella veste di mandatari per la risoluzione delle controversie mediante un accordo di natura contrattuale, sostitutivo della volontà delle stesse e vincolante nei loro confronti alla stregua di qualsiasi patto negoziale. In dottrina ed in giurisprudenza l'arbitrato irrituale è stato definito come la transazione od il negozio di accertamento a mezzo del quale le parti deferiscono ad un terzo il compito di dirimere la lite, con la volontà di vincolarsi alle sue conclusioni.
Quanto alla natura giuridica della determinazione dell'arbitro, l’atto con il quale si conclude l’arbitrato irrituale rimane ben distinto dalla sentenza, della quale non potrà mai acquisire né l’efficacia né l’attitudine ad essere assoggettato a mezzi di impugnazione, propri invece delle sentenze e del lodo reso nelle procedure di arbitrato rituale.
Tale strumento di deflazione del contenzioso, che si inscrive nell’ambito delle procedure di Alternative Dispute Resolution (ADR), presenta numerosi profili vantaggiosi, che ne hanno consentito l'affermazione anche nell'ordinamento italiano. Si pensi all'autonomia lasciata alle parti di nominare l’arbitro o gli arbitri, di stabilire la sede e le norme che l’arbitro dovrà osservare, pur nel rispetto di alcuni principi fondamentali; le parti, inoltre, sono consapevoli sin dall’inizio della durata massima del procedimento.
Non tutte le controversie possono essere deferite agli arbitri.
In proposito, l'art. 806 c. 1 c.p.c. recita: "Le parti possono far decidere da arbitri le controversie tra di loro insorte che non abbiano per oggetto diritti indisponibili, salvo espresso divieto di legge". Dunque, costituiscono eccezione e sono riservate al giudice statale:
a) le liti che hanno per oggetto diritti indisponibili, di cui esempio classico sono i diritti c.d. privatissimi, come status, salute, integrità fisica, libertà;
b) ogni altra controversia che non può essere deferita ad arbitri per espresso divieto di legge, come la convalida di sfratto, le procedure di volontaria giurisdizione, le esecuzioni forzate, le controversie possessorie, i provvedimenti cautelari ed anticipatori.
Rientrano, invece, tra le materie arbitrabili i diritti patrimoniali, ivi compresi il diritto di proprietà e di obbligazione.
L'ordinamento italiano conosce due tipi di arbitrato: l'arbitrato rituale e quello irrituale. Essi hanno in comune l’espressa volontà delle parti di sottrarre al giudice ordinario la decisione della lite per affidarla, invece, ad arbitri; tuttavia diversa è la loro natura giuridica.
Che si tratti dell'una o dell'altra figura, per ricorrere all’arbitrato è necessario che la volontà delle parti di deferire ad arbitri le controversie insorte, o che dovranno insorgere, sia resa in forma scritta nel compromesso, o nella clausola compromissoria.
Il compromesso è il negozio giuridico mediante il quale le parti, quando la controversia è già insorta, manifestano l’intenzione di deferire ad arbitri la querelle. Con la clausola compromissoria, invece, le parti agiscono in via preventiva ed eventuale stabilendo, nel contratto che stipulano od in atto separato, che le controversie nascenti dal contratto medesimo saranno decise da arbitri, purché si tratti di controversie che possono formare oggetto di convenzione d'arbitrato.
Con il compromesso e con la clausola compromissoria le parti fissano le regole della procedura arbitrale, nei limiti fissati dalle leggi statali; in assenza di tale indicazione sono gli arbitri stessi a regolare lo svolgimento del procedimento, con alcuni limiti inderogabili fissati dalla legge.
Entrando nel merito delle due fattispecie, l’arbitrato rituale, disciplinato dagli artt. 806 e ss. c.p.c., consiste in un vero e proprio giudizio, di diritto o di equità, che gli interessati affidano ad uno o più arbitri. Il prodotto di tale giudizio, detto "lodo arbitrale", ha l’efficacia propria dell’atto giurisdizionale.
Il giudizio arbitrale è dunque un giudizio privato effettuato da soggetti che operano come giudici: l'arbitro, infatti, è privo dei poteri autoritativi del magistrato ed è provvisto solo dei poteri conferitigli contrattualmente dalle parti. E’ un giudizio che già per se stesso ha l'efficacia propria della sentenza, così come ribadito anche dalle Sezioni Unite della Cassazione nella sentenza 527/00, con la quale si identifica il giudizio arbitrale come "ontologicamente alternativo alla giurisdizione statuale".
L'arbitrato irrituale è disciplinato dall’art. 808 ter c.p.c., introdotto nell'ordinamento italiano dal D.lgs n. 40/2006. Ricorre quando le parti hanno inteso porre gli arbitri nella veste di mandatari per la risoluzione delle controversie mediante un accordo di natura contrattuale, sostitutivo della volontà delle stesse e vincolante nei loro confronti alla stregua di qualsiasi patto negoziale. In dottrina ed in giurisprudenza l'arbitrato irrituale è stato definito come la transazione od il negozio di accertamento a mezzo del quale le parti deferiscono ad un terzo il compito di dirimere la lite, con la volontà di vincolarsi alle sue conclusioni.
Quanto alla natura giuridica della determinazione dell'arbitro, l’atto con il quale si conclude l’arbitrato irrituale rimane ben distinto dalla sentenza, della quale non potrà mai acquisire né l’efficacia né l’attitudine ad essere assoggettato a mezzi di impugnazione, propri invece delle sentenze e del lodo reso nelle procedure di arbitrato rituale.
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