Assegnazione della casa familiare in caso di `interessi contrastanti`
Possono verificarsi casi particolari in cui l`interesse del minore viene posto dopo l`interesse del genitore non affidatario?

L’architrave del sistema giuridico italiano, in tema di assegnazione della casa familiare, è costituito dal nuovo art. 337 sexies del codice civile, introdotto con D.Lgs.n.154/2013, il quale così dispone: "Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell'interesse dei figli..." Secondo il consolidato orientamento giurisprudenziale, sul quale molto hanno influitogli psicologi della famiglia, l’interesse dei figli è quello di continuare a vivere nella medesima casa ove hanno vissuto sino alla separazione dei loro genitori.
Ma vi è da chiedersi se tale esigenza sia davvero ravvisabile in qualunque ipotesi di caso concreto e, comunque, se non vi siano delle fattispecie specifiche nelle quali debba prevalere l’interesse del coniuge non affidatario. La Corte d’Appello di Venezia, III sez. Civile, con decreto n. 25 del 6.03.2013, statuendo su un reclamo avverso il provvedimento del Tribunale di Venezia, che aveva disposto, con l’affido congiunto della figlia, la sua residenza prevalente presso la madre, rilevava che già l’art. 155 quater c.c. prevedeva che il godimento della casa familiare fosse attribuito tenendo conto dell’interesse dei figli ma senza automatica assegnazione della casa al coniuge, presso il quale fosse collocato il minore. Nel caso di specie il reclamante era cieco ed utilizzava il cane per l’accompagnamento, potendo ricevere quindi immensi nuovi problemi in caso di cambio di abitazione. La Corte veneziana ha osservato che, pur in presenza dell’interesse del minore a restare nella casa coniugale, dovesse considerarsi anche l’interesse del coniuge non affidatario, in presenza situazioni particolari. Peraltro la Corte osservava che non era stato dimostrato, in concreto, il particolare interesse del minore a permanere nella stessa abitazione e che all’età di 11 anni avrebbe potuto ben rendersi conto della cecità del genitore e delle conseguenze che allo stesso sarebbero derivate dal dover mutare il luogo nel quale aveva sempre vissuto. Nella comparazione di interessi contrastanti, tutti legittimi, la Corte riteneva prevalente l’interesse del genitore cieco a restare nella sua abitazione, dovendo altrimenti subire anche conseguenze nello svolgimento dell’attività lavorativa, senza considerare inoltre la difficoltà di trovare una abitazione munita di giardino, necessario per il cane che lo accompagnava e guidava negli spostamenti.Tale sentenza merita una particolare segnalazione, perché erode il dogma della necessaria assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei minori e fornisce una lettura ermeneutica della norma codicistica, che apre la possibilità anche di altre simili applicazioni della norma, nei casi in cui fosse effettivamente ravvisabile un prevalente e giusto interesse del coniuge non affidatario a permanere nell’abitazione familiare. Oltre alle ipotesi dei genitori invalidi, si pensi ad esempio all’ipotesi in cui la famiglia coniugale vive nell’abitazione di proprietà della famiglia del coniuge non affidatario, in cui vive un nonno ottuagenario in gravissime condizioni di salute: quale sarebbe l’interesse meritevole di maggiore tutela? Si pensi poi all’abitazione familiare del portiere di uno stabile, collocata nello stesso stabile, all’abitazione del guardiano di un faro, che viva all’interno del faro, all’abitazione del custode di un passaggio a livello ferroviario, che viva all’interno di una limitrofa casa cantoniera: in tali casi dove si colloca l’interesse maggiormente meritevole di tutela giuridica? Inoltre si segnala altresì che, nella giurisprudenza italiana, appare esservi un’eccessiva enfasi nel sottolineare l’esigenza che i figli continuino ad abitare nella casa familiare e siano poco valutate le esigenze concrete dei figli, quando potrebbero condurre a scelte difformi. L’esperienza della vita mostra che i minori non subiscono traumi quando i genitori decidono di cambiare il loro luogo di residenza; inoltre le esigenze dei minori, dovrebbero stimarsi in relazione all’età, al tessuto delle loro relazioni e al rapporto che hanno non solo con l’abitazione familiare, considerata come immobile, ma piuttosto con l’habitat complessivo, che comprende i luoghi che frequentano con gli amici, i luoghi della loro formazione scolastica e religiosa, i luoghi degli incontri con tutte le altre figure familiari di riferimento. Se si separano due coniugi, con un figlio minore di 1 o 2 anni, dei quali il padre è proprietario della sola modesta abitazione familiare mentre la madre, cui è affidato il figlio, dispone nelle vicinanze di numerosi appartamenti di prestigio, dove è riposto l’interesse prevalente del minore?È davvero continuare ad abitare con la madre in un luogo modesto di proprietà del padre o piuttosto è andare con la madre in un prestigioso appartamento, ubicato nella medesima area residenziale? Non sarebbe meglio, a fini di giustizia, superare visioni ancorate rigidamente a schemi dogmatici e valutare in concreto, caso per caso, dove sia davvero riposto il migliore interesse del minore, per dargli effettiva tutela? Una visione critica del diritto dovrebbe condurre all’adozione di schemi giuridici, capaci di rispondere alle esigenze di giustizia di ogni caso concreto.
Ma vi è da chiedersi se tale esigenza sia davvero ravvisabile in qualunque ipotesi di caso concreto e, comunque, se non vi siano delle fattispecie specifiche nelle quali debba prevalere l’interesse del coniuge non affidatario. La Corte d’Appello di Venezia, III sez. Civile, con decreto n. 25 del 6.03.2013, statuendo su un reclamo avverso il provvedimento del Tribunale di Venezia, che aveva disposto, con l’affido congiunto della figlia, la sua residenza prevalente presso la madre, rilevava che già l’art. 155 quater c.c. prevedeva che il godimento della casa familiare fosse attribuito tenendo conto dell’interesse dei figli ma senza automatica assegnazione della casa al coniuge, presso il quale fosse collocato il minore. Nel caso di specie il reclamante era cieco ed utilizzava il cane per l’accompagnamento, potendo ricevere quindi immensi nuovi problemi in caso di cambio di abitazione. La Corte veneziana ha osservato che, pur in presenza dell’interesse del minore a restare nella casa coniugale, dovesse considerarsi anche l’interesse del coniuge non affidatario, in presenza situazioni particolari. Peraltro la Corte osservava che non era stato dimostrato, in concreto, il particolare interesse del minore a permanere nella stessa abitazione e che all’età di 11 anni avrebbe potuto ben rendersi conto della cecità del genitore e delle conseguenze che allo stesso sarebbero derivate dal dover mutare il luogo nel quale aveva sempre vissuto. Nella comparazione di interessi contrastanti, tutti legittimi, la Corte riteneva prevalente l’interesse del genitore cieco a restare nella sua abitazione, dovendo altrimenti subire anche conseguenze nello svolgimento dell’attività lavorativa, senza considerare inoltre la difficoltà di trovare una abitazione munita di giardino, necessario per il cane che lo accompagnava e guidava negli spostamenti.Tale sentenza merita una particolare segnalazione, perché erode il dogma della necessaria assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario dei minori e fornisce una lettura ermeneutica della norma codicistica, che apre la possibilità anche di altre simili applicazioni della norma, nei casi in cui fosse effettivamente ravvisabile un prevalente e giusto interesse del coniuge non affidatario a permanere nell’abitazione familiare. Oltre alle ipotesi dei genitori invalidi, si pensi ad esempio all’ipotesi in cui la famiglia coniugale vive nell’abitazione di proprietà della famiglia del coniuge non affidatario, in cui vive un nonno ottuagenario in gravissime condizioni di salute: quale sarebbe l’interesse meritevole di maggiore tutela? Si pensi poi all’abitazione familiare del portiere di uno stabile, collocata nello stesso stabile, all’abitazione del guardiano di un faro, che viva all’interno del faro, all’abitazione del custode di un passaggio a livello ferroviario, che viva all’interno di una limitrofa casa cantoniera: in tali casi dove si colloca l’interesse maggiormente meritevole di tutela giuridica? Inoltre si segnala altresì che, nella giurisprudenza italiana, appare esservi un’eccessiva enfasi nel sottolineare l’esigenza che i figli continuino ad abitare nella casa familiare e siano poco valutate le esigenze concrete dei figli, quando potrebbero condurre a scelte difformi. L’esperienza della vita mostra che i minori non subiscono traumi quando i genitori decidono di cambiare il loro luogo di residenza; inoltre le esigenze dei minori, dovrebbero stimarsi in relazione all’età, al tessuto delle loro relazioni e al rapporto che hanno non solo con l’abitazione familiare, considerata come immobile, ma piuttosto con l’habitat complessivo, che comprende i luoghi che frequentano con gli amici, i luoghi della loro formazione scolastica e religiosa, i luoghi degli incontri con tutte le altre figure familiari di riferimento. Se si separano due coniugi, con un figlio minore di 1 o 2 anni, dei quali il padre è proprietario della sola modesta abitazione familiare mentre la madre, cui è affidato il figlio, dispone nelle vicinanze di numerosi appartamenti di prestigio, dove è riposto l’interesse prevalente del minore?È davvero continuare ad abitare con la madre in un luogo modesto di proprietà del padre o piuttosto è andare con la madre in un prestigioso appartamento, ubicato nella medesima area residenziale? Non sarebbe meglio, a fini di giustizia, superare visioni ancorate rigidamente a schemi dogmatici e valutare in concreto, caso per caso, dove sia davvero riposto il migliore interesse del minore, per dargli effettiva tutela? Una visione critica del diritto dovrebbe condurre all’adozione di schemi giuridici, capaci di rispondere alle esigenze di giustizia di ogni caso concreto.
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