Attacchi di panico: cosa può fare la psicoterapia?
La psicoterapia cognitivo comportamentale e il trattamento dell'esposizione per i disturbi di panico e l'agorafobia.

Gli attacchi di panico rappresentano forse uno dei sintomi psichici oggi più diffusi. Chi ne soffre sa bene quanto possano spaventare e come siano difficili da superare. Ma è fondamentale sapere che la psicoterapia può aiutare a guarire da questo disturbo.
Terrore, sudorazione, capogiri, tremori, tachicardia, paura di svenire, impazzire, o peggio, morire. Questi alcuni dei segnali tipici di un attacco di panico. Che può comparire all’improvviso, nelle situazioni più impensate, anche di notte.
Solitamente il primo approccio è quello farmacologico: un ansiolitico ha la capacità di ridurre velocemente il livello di attivazione fisiologica, e placare il terrore. Può funzionare bene, ma non libera chi soffre di questo disturbo dalla gabbia di paura in cui gradualmente si rinchiude.
La conseguenza più comune degli attacchi di panico, infatti, è l’evitamento progressivo delle situazioni in cui si è verificato, o potrebbe nuovamente verificarsi. La prima cosa che fa una persona, comprensibilmente, è organizzarsi perché un evento così terribile non si ripeta. E così si cominciano ad evitare quei luoghi che ci ricordano i primi attacchi di panico. Autobus, ristoranti, stazioni, luoghi affollati, ma anche ascensori, autostrade. La lista dei luoghi che una persona con attacchi di panico evita può essere lunghissima. Al disturbo di panico si aggiunge così anche l’agorafobia, vale a dire l’evitamento dei luoghi e delle situazioni in qualche modo legate all’attacco di panico. Di solito si comincia evitando il luogo in cui si è verificato il primo attacco, ma poi, per sicurezza, si generalizza gradualmente ad altri luoghi con caratteristiche simili, con un progressivo impoverimento della propria vita sociale, relazionale e a volte anche lavorativa.
Spesso chi soffre di questi disturbi sviluppa anche sintomi depressivi, legati al peggioramento della qualità della vita, ad un abbassamento dell’autostima e ad un senso di impotenza rispetto al disturbo.
Il meccanismo centrale che mantiene il disturbo è l’evitamento: più sperimento panico in certe situazioni, più evito. Più evito, più mi convinco che quella situazione fosse davvero temibile, e questo mi porta ad evitare ancora. Così si instaura il circolo vizioso.
La psicoterapia cognitivo comportamentale basa il suo intervento sull’esposizione agli stimoli ansiogeni. Fornendo al paziente gli strumenti per fronteggiare le situazioni che teme gli insegna a non avere paura, di fronte a situazioni non pericolose. Attraverso il rilassamento, la ristrutturazione cognitiva e la modulazione delle emozioni la persona impara ad affrontare quelle situazioni in cui si era verificato l’attacco, senza più sperimentare quei sintomi.
Ma la chiave più profonda per riuscire a combattere il panico è l’accettazione delle proprie sensazioni, anche quelle più spaventose. Passare attraverso un attacco di panico è terribile, ma non è pericoloso. L’ansia che il nostro corpo è in grado di tollerare segue una curva. Si alza fino ad arrivare al suo limite massimo, quello del panico. E poi scende. Scende fino a tornare allo stato di rilassamento completo. Quando noi evitiamo i luoghi, le persone, anche i pensieri associati al panico, non permettiamo all’ansia di completare la sua curva, e rimaniamo inchiodati lì, sulla cima della montagna russa, senza provare l’enorme sollievo di sentire il cuore che rallenta, i muscoli che si distendono, la paura che si allontana. Evitare significa alimentare il panico.
Esporsi equivale ad affrontare il mostro e cacciarlo via. Ma tutto questo non si fa da soli. Per questo è fondamentale essere accompagnati da un esperto che sappia mostrarci le nostre risorse, la nostra capacità di affrontare e superare la paura, conoscendo meglio chi siamo e vivendo nuovamente liberi.
Terrore, sudorazione, capogiri, tremori, tachicardia, paura di svenire, impazzire, o peggio, morire. Questi alcuni dei segnali tipici di un attacco di panico. Che può comparire all’improvviso, nelle situazioni più impensate, anche di notte.
Solitamente il primo approccio è quello farmacologico: un ansiolitico ha la capacità di ridurre velocemente il livello di attivazione fisiologica, e placare il terrore. Può funzionare bene, ma non libera chi soffre di questo disturbo dalla gabbia di paura in cui gradualmente si rinchiude.
La conseguenza più comune degli attacchi di panico, infatti, è l’evitamento progressivo delle situazioni in cui si è verificato, o potrebbe nuovamente verificarsi. La prima cosa che fa una persona, comprensibilmente, è organizzarsi perché un evento così terribile non si ripeta. E così si cominciano ad evitare quei luoghi che ci ricordano i primi attacchi di panico. Autobus, ristoranti, stazioni, luoghi affollati, ma anche ascensori, autostrade. La lista dei luoghi che una persona con attacchi di panico evita può essere lunghissima. Al disturbo di panico si aggiunge così anche l’agorafobia, vale a dire l’evitamento dei luoghi e delle situazioni in qualche modo legate all’attacco di panico. Di solito si comincia evitando il luogo in cui si è verificato il primo attacco, ma poi, per sicurezza, si generalizza gradualmente ad altri luoghi con caratteristiche simili, con un progressivo impoverimento della propria vita sociale, relazionale e a volte anche lavorativa.
Spesso chi soffre di questi disturbi sviluppa anche sintomi depressivi, legati al peggioramento della qualità della vita, ad un abbassamento dell’autostima e ad un senso di impotenza rispetto al disturbo.
Il meccanismo centrale che mantiene il disturbo è l’evitamento: più sperimento panico in certe situazioni, più evito. Più evito, più mi convinco che quella situazione fosse davvero temibile, e questo mi porta ad evitare ancora. Così si instaura il circolo vizioso.
La psicoterapia cognitivo comportamentale basa il suo intervento sull’esposizione agli stimoli ansiogeni. Fornendo al paziente gli strumenti per fronteggiare le situazioni che teme gli insegna a non avere paura, di fronte a situazioni non pericolose. Attraverso il rilassamento, la ristrutturazione cognitiva e la modulazione delle emozioni la persona impara ad affrontare quelle situazioni in cui si era verificato l’attacco, senza più sperimentare quei sintomi.
Ma la chiave più profonda per riuscire a combattere il panico è l’accettazione delle proprie sensazioni, anche quelle più spaventose. Passare attraverso un attacco di panico è terribile, ma non è pericoloso. L’ansia che il nostro corpo è in grado di tollerare segue una curva. Si alza fino ad arrivare al suo limite massimo, quello del panico. E poi scende. Scende fino a tornare allo stato di rilassamento completo. Quando noi evitiamo i luoghi, le persone, anche i pensieri associati al panico, non permettiamo all’ansia di completare la sua curva, e rimaniamo inchiodati lì, sulla cima della montagna russa, senza provare l’enorme sollievo di sentire il cuore che rallenta, i muscoli che si distendono, la paura che si allontana. Evitare significa alimentare il panico.
Esporsi equivale ad affrontare il mostro e cacciarlo via. Ma tutto questo non si fa da soli. Per questo è fondamentale essere accompagnati da un esperto che sappia mostrarci le nostre risorse, la nostra capacità di affrontare e superare la paura, conoscendo meglio chi siamo e vivendo nuovamente liberi.
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