Bitcoin e criptovalute: è tutto oro? (parte 2)
"L'investimento deve essere razionale. Se non lo capite, non lo fate" (Warren Buffet). Cosa conosciamo, veramente, delle criptovalute?

Pensiamo ora alle valute. Quando compro, per esempio, dei dollari, decido di fare un investimento nella cosiddetta "corporate America", nella sua economia. Punto sul fatto che il PIL di quel Paese crescerà, che riuscirà ad attrarre capitali per investimento e, di conseguenza, il valore del dollaro crescerà. Ed è proprio questo il punto che voglio evidenziare. Una valuta rappresenta il suo Paese: il dollaro americano rappresenta gli Stati Uniti, la sterlina la Gran Bretagna, l’Euro rappresenta l’Eurozona e via discorrendo.
Ciò premesso: che cosa e chi rappresenta il Bitcoin? Dietro il Bitcoin non c’è né una economia, né una Banca Centrale, né una politica monetaria, non c’è un PIL. Come faccio, quindi, a sapere se il prezzo del Bitcoin è "in equilibrio" con il suo valore? Non essendoci PIL, livello dei tassi di interesse, una economia di riferimento alle spalle, quali sono gli indicatori che potrei utilizzare? Ecco, questo è il vero dubbio, irrisolvibile, del Bitcoin. Molti hanno paragonato l’andamento del prezzo del Bitcoin alla bolla dei bulbi di tulipani in Olanda nel XVII secolo. Concettualmente la similitudine può essere accettabile, ma in quel caso, almeno, esisteva qualcosa, esisteva una "merce" (il bulbo di tulipano, appunto). Se a tutto ciò aggiungiamo la assoluta mancanza di regolamentazione sulle criptovalute è facile comprendere come ci si stia muovendo su un terreno, a dir poco, scivoloso e paludoso. Il clamore prodotto dai soldi persi con i titoli Argentina, Lehman, Banca Etruria, solo per citare i più eclatanti, è ancora nelle nostre orecchie, eppure, è sempre maggiore il numero di persone che si rivolge a me, in qualità di Consulente, e mi parla dei Bitcoin! Nei casi citati di investimenti azzerati, alla fine, grazie a azioni collettive, cause legali, tutele dei risparmiatori, qualcosa si è recuperato o si prova a recuperare. Nel caso del Bitcoin, non essendoci regole, non esiste tutela. Le regole, infatti, ancorché possano sembrare solamente "lacci e lacciuoli", sono utilissime per impedire il caos più totale, per impedire che vinca solamente il più forte, per far si che il più debole possa trovare tutela e giustizia. E il risparmiatore è sempre il più debole.
La definizione più calzante del Bitcoin (e delle criptovalute in genere) l’ho trovata navigando in rete: si tratta di energia elettrica (utilizzata dai computer per risolvere complicatissime formule matematiche per ottenere gratuitamente il Bitcoin) trasformata in moneta elettronica o virtuale, utilizzabile per effettuare transazioni sfruttando le piattaforme di trading o pagamenti di merce, sempre utilizzando il canale internet.
Se ciò è vero, ed è vero, il parametro di riferimento per capire il valore del Bitcoin potrebbe essere il costo della energia elettrica consumata per ottenerlo.
In tutta sincerità, dubito fortemente che chi investe in Bitcoin abbia consapevolezza del costo dell’energia elettrica e la confronti con la quotazione della criptovaluta!
Ma qui si apre un capitolo estremamente importante e totalmente ignorato da chi decanta le lodi delle criptovalute. E’ stato stimato che il solo "sistema" Bitcoin arriva a consumare circa 14,5 milioni di Terawatt all’anno: quanto l’intero Turkmenistan (fonte: http://pro.hwupgrade.it/news/scienza-tecnologia/il-mining-di-bitcoin-ed-ethereum-consuma-come-interi-stati_69838.html) ovvero che nel 2020 consumerà tanta elettricità quanto l’intera Danimarca (fonte: https://motherboard.vice.com/it/article/ezb997/la-rete-bitcoin-potrebbe-consumare-lenergia-della-danimarca-entro-il-2020 ). E tutto questo consumo di energia elettrica, con i relativi risvolti in termini di inquinamento che ne derivano, a che pro? Per produrre cosa? Una moneta virtuale che non si stampa, non ha regole né tutele.
E’ evidente che il fenomeno delle criptovalute non può essere ignorato, ma va studiato, analizzato e, soprattutto, compreso. Essendo divenuto, oramai, uno strumento di investimento a tutti gli effetti (oltre che di pagamento, ma, perché pagare in Bitcoin se posso pagare in Euro?), non è più sufficiente limitarsi alla conoscenza del suo funzionamento.
Warren Buffet si rifiutò di investire nelle "dotcom" in quanto sosteneva di non comprendere come valutarle e, di conseguenza, non cavalcò il forte rialzo del Nasdaq a cavallo del 2000. Nel mio piccolo posso dire di pensarla come lui: fino a quando non avrò compreso come trovare il valore di una criptovaluta ne starò fuori.
Ciò premesso: che cosa e chi rappresenta il Bitcoin? Dietro il Bitcoin non c’è né una economia, né una Banca Centrale, né una politica monetaria, non c’è un PIL. Come faccio, quindi, a sapere se il prezzo del Bitcoin è "in equilibrio" con il suo valore? Non essendoci PIL, livello dei tassi di interesse, una economia di riferimento alle spalle, quali sono gli indicatori che potrei utilizzare? Ecco, questo è il vero dubbio, irrisolvibile, del Bitcoin. Molti hanno paragonato l’andamento del prezzo del Bitcoin alla bolla dei bulbi di tulipani in Olanda nel XVII secolo. Concettualmente la similitudine può essere accettabile, ma in quel caso, almeno, esisteva qualcosa, esisteva una "merce" (il bulbo di tulipano, appunto). Se a tutto ciò aggiungiamo la assoluta mancanza di regolamentazione sulle criptovalute è facile comprendere come ci si stia muovendo su un terreno, a dir poco, scivoloso e paludoso. Il clamore prodotto dai soldi persi con i titoli Argentina, Lehman, Banca Etruria, solo per citare i più eclatanti, è ancora nelle nostre orecchie, eppure, è sempre maggiore il numero di persone che si rivolge a me, in qualità di Consulente, e mi parla dei Bitcoin! Nei casi citati di investimenti azzerati, alla fine, grazie a azioni collettive, cause legali, tutele dei risparmiatori, qualcosa si è recuperato o si prova a recuperare. Nel caso del Bitcoin, non essendoci regole, non esiste tutela. Le regole, infatti, ancorché possano sembrare solamente "lacci e lacciuoli", sono utilissime per impedire il caos più totale, per impedire che vinca solamente il più forte, per far si che il più debole possa trovare tutela e giustizia. E il risparmiatore è sempre il più debole.
La definizione più calzante del Bitcoin (e delle criptovalute in genere) l’ho trovata navigando in rete: si tratta di energia elettrica (utilizzata dai computer per risolvere complicatissime formule matematiche per ottenere gratuitamente il Bitcoin) trasformata in moneta elettronica o virtuale, utilizzabile per effettuare transazioni sfruttando le piattaforme di trading o pagamenti di merce, sempre utilizzando il canale internet.
Se ciò è vero, ed è vero, il parametro di riferimento per capire il valore del Bitcoin potrebbe essere il costo della energia elettrica consumata per ottenerlo.
In tutta sincerità, dubito fortemente che chi investe in Bitcoin abbia consapevolezza del costo dell’energia elettrica e la confronti con la quotazione della criptovaluta!
Ma qui si apre un capitolo estremamente importante e totalmente ignorato da chi decanta le lodi delle criptovalute. E’ stato stimato che il solo "sistema" Bitcoin arriva a consumare circa 14,5 milioni di Terawatt all’anno: quanto l’intero Turkmenistan (fonte: http://pro.hwupgrade.it/news/scienza-tecnologia/il-mining-di-bitcoin-ed-ethereum-consuma-come-interi-stati_69838.html) ovvero che nel 2020 consumerà tanta elettricità quanto l’intera Danimarca (fonte: https://motherboard.vice.com/it/article/ezb997/la-rete-bitcoin-potrebbe-consumare-lenergia-della-danimarca-entro-il-2020 ). E tutto questo consumo di energia elettrica, con i relativi risvolti in termini di inquinamento che ne derivano, a che pro? Per produrre cosa? Una moneta virtuale che non si stampa, non ha regole né tutele.
E’ evidente che il fenomeno delle criptovalute non può essere ignorato, ma va studiato, analizzato e, soprattutto, compreso. Essendo divenuto, oramai, uno strumento di investimento a tutti gli effetti (oltre che di pagamento, ma, perché pagare in Bitcoin se posso pagare in Euro?), non è più sufficiente limitarsi alla conoscenza del suo funzionamento.
Warren Buffet si rifiutò di investire nelle "dotcom" in quanto sosteneva di non comprendere come valutarle e, di conseguenza, non cavalcò il forte rialzo del Nasdaq a cavallo del 2000. Nel mio piccolo posso dire di pensarla come lui: fino a quando non avrò compreso come trovare il valore di una criptovaluta ne starò fuori.
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