Bonus fiscali e cessione dei crediti, quale soluzione possibile?

Il mercato dei crediti è fermo, questo è un dato di fatto: poche “aperture”, spesso riservate ad imprese che avevano già stipulato un contratto o che sono, particolarmente, appetibili per le banche.
I privati, ormai, da mesi, a prescindere dalle riforme, non hanno più la possibilità di cedere perché, nei loro confronti, la cesura è assoluta.
Tutto ciò avviene nel silenzio assordante di una classe politica che ha cancellato quanto di buono e proficuo era stato fatto nei mesi precedenti. Eppure, invece di un colpo di spugna che cancellasse il Superbonus, lo sconto in fattura e la cessione dei crediti, sarebbe stata più opportuna una rivisitazione che consentisse di migliorare una misura che ha rilanciato l’economia e permesso di manutenere un patrimonio immobiliare vetusto.
Senza considerare che il “colpo di spugna” non ha solo messo in difficoltà privati e mandato in crisi le imprese edili, ma ha prima di tutto allontanato la realizzazione degli obiettivi posti dall’UE in termini di efficientamento energetico e di rinnovamento degli immobili.
Una misura che consentisse di rispettare sia il principio di ridistribuzione delle ricchezze sia le esigenze di efficientamento energetico e non andasse a pregiudicare gli interessi delle imprese, però, esisteva e sarebbe stata possibile.
La soluzione risiede nel collegare i bonus fiscali alle quotazioni OMI che l’Agenzia delle Entrate utilizza per accertare il valore degli immobili.
Le quotazioni immobiliari semestrali individuano, per ogni delimitata zona territoriale omogenea (zona OMI) di ciascun comune, un intervallo minimo/massimo, per unità di superficie in euro al mq, dei valori di mercato e locazione, per tipologia immobiliare e stato di conservazione.
A parità di interventi e a condizione che venissero rispettati i requisiti tecnici (doppio salto di classe e rispetto del coefficiente di trasmittanza imposto dalle norme tecniche) ed economici (rispetto del prezzarlo regionale o D.E.I. e dei parametri dei quali al decreto “Cingolani”), sarebbe stato sufficiente stabilire che l’aliquota del bonus fiscale fosse inversamente proporzionale rispetto alla quotazione OMI di una data zona.
Faccio un esempio: se un immobile si trova in una zona nella quale la quotazione OMI è compresa fra 1 e 1000 euro l’aliquota avrebbe potuto essere del 110%; se un immobile si trova in una zona nella quale la quotazione OMI è fra 1001 e 1500, l’aliquota avrebbe potuto essere del 90% e via dicendo in modo inversamente proporzionale rispetto al valore della quotazione OMI della zona di riferimento.
In questo modo, si sarebbe potuto: da una parte, mantenere e migliorare un beneficio fiscale utile per la manutenzione ed il miglioramento dell’efficientamento energetico del patrimonio immobiliare; dall’altra parte, la misura avrebbe acquisito una funzione di ridistribuzione della ricchezza all’interno della società perché il beneficio sarebbe spettato in maniera inversamente proporzionale al valore degli immobili posseduti.
Tutto ciò, però, non è sufficiente se:
- non viene ripristinato lo sconto in fattura e/o la cessione dei crediti;
- non viene “sbloccato” il mercato dei crediti.
Quanto alla prima problematica, si evidenza che la misura adottata dal Governo consistente nel sospendere l’efficacia dell’art. 121 D.L. 34/2020, convertito da L. 77/2020, ha fatto in modo che i bonus fiscali, conseguenti alle opere edili, sono diventati accessibili solo alle classi più abbienti che sono le uniche che possano anticipare i costi (mediante soldi propri o mediante l’accesso al credito) ed abbiano la capienza fiscale sufficiente per usufruire, in via diretta, del credito d’imposta.
Quanto alla seconda problematica, se non verrà “riaperto” il mercato dei crediti e le imprese non troveranno una valvola di sfogo, il tessuto sociale e l’economia ne patiranno le conseguenze nel breve e medio periodo.
Le soluzioni sono:
- cartolarizzazione dei crediti: è uno strumento che sta prendendo piede ma che è ancora troppo lento, anche per ragioni connesse ai tempi di autorizzazione della Banca d’Italia ed alla documentazione richiesta per accedervi;
- trasformazione dei crediti in titoli di Stato: uno strumento ulteriore potrebbe essere quello di consentire alla banca cessionaria, la trasformazione dei crediti d’imposta in titoli di Stato alla quotazione prevista dall’ultima asta dell’anno nel quale vengono convertiti i crediti d’imposta in titoli di stato. Ogni anno, a marzo, si potrebbe prevedere che i cessionari istituzionali possano convertire i crediti ovvero le rate residue degli stessi in BTP o strumenti analoghi. Detti titoli dovrebbero poter essere negoziati e/o negoziabili alle medesime condizioni di tutti gli altri. Si tratterebbe di una sorta di cartolarizzazione (che però essendo riservata a soggetti istituzionali, sarebbe più veloce o semplificata) che consentirebbe alle banche di liberare parte del cassetto fiscale;
- libera compensazione dei crediti di imposta con i modelli F24, da parte degli istituti di credito;
- irresponsabilità di tutti i cessionari, salvo che in caso di dolo e concorso nel reato ovvero in caso di colpa grave che consista nel non aver richiesto la consegna di una serie di documenti prestabiliti con Decreto Ministeriale.
Le soluzioni summenzionate, però, hanno un presupposto comune: è necessario che i documenti che vengono richiesti da Advisors e dalle banche siano individuati dal Ministero in un numero più contenuto rispetto a quello che richiedono, oggi. Le procedure devono essere più snelle: è necessario guardare alla sostanza piuttosto che burocratizzare il procedimento. Oggi, invece, si bada alla forma e ciò favorisce il prolificare di richieste ridondanti che hanno dato luogo a richieste assurde e ritardi (che comportano perdite economiche).
Sarebbe, poi, da superare il fatto che le banche richiedono il parere di una delle Big four per accettare i crediti. Lo scrivente ritiene che questa sia una pratica aberrante: non si comprende come i commercialisti (che rilasciano il visto di conformità) e l’Ordine professionale degli stessi non abbiano mai protestato di fronte a questa richiesta che, a tutti gli effetti, è divenuto un vulnus per la categoria. Richiedere la second opinion all’advisor equivale ad ipotizzare che il commercialista che ha redatto ed inviato il visto possa essere disonesto: ciò, francamente, non mi pare accettabile.
Dal punto di vista pratico, la second opinion delle Big four o di qualsivoglia advisor finisce per rallentare la procedura di cessione e rende incerti i termini di monetizzazione dell’investimento, posto che non è stabilito un termine perentorio per la conclusione del procedimento di monetizzazione.
Il cessionario dovrebbe poter richiedere solo pochi documenti, essenziali: asseverazione ENEA e/o Allegato B (nel caso di sismabonus), visto di conformità, Cilas, fatture, bonifici, contratti e CME. Il modello che si è venuto a creare, invece, è troppo burocratizzato e troppo incerto perchè lascia spazio alle interpretazioni.
Anche su tutto questo il silenzio della politica è avvilente: sembra quasi che il legislatore non sappia nulla del processo.
E’ chiaro che aver continuato a ragionare sulla base della logica per la quale la maggioranza che succede alla precedente non migliora quello che è stato fatto prima ma lo cancella, ha creato incertezza ed ha danneggiato le imprese ed i condomini.
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