Bullismo e Nonnismo in Azienda


Le organizzazioni tentano timidamente di evolvere, ma sono frenate da retaggi del passato. Tra questi il Bullismo e il Nonnismo sono tra i più dannosi
Bullismo e Nonnismo in Azienda
Psicologia positiva, felicità aziendale, organizzazioni attente alle persone, "best place to work", ecc. Queste sono solo alcune delle nuove tendenze nel mondo delle organizzazioni. Il tentativo di fare delle aziende dei luoghi dove "vivere bene" è una missione nobile e saggia. Nobile perché pone l’attenzione sulla persona come essere umano e non soltanto come "unità produttiva". Saggia perché è noto fin dalla notte dei tempi che se le persone lavorano in un ambiente positivo, accogliente, stimolante e riconoscente, lavorano meglio e producono di più.
Fino a qui c’è il "sogno". Poi c’è la realtà. E per descriverla vorrei partire da un episodio di qualche anno fa, sintesi emblematica di tanti eventi simili.
Venni chiamato da un’azienda di dimensione medio-grande, facente parte di un noto gruppo internazionale, per erogare un intervento formativo sui temi di negoziazione e persuasione. L’intervento era stato richiesto espressamente dal Direttore Generale, con cui ebbi l’incontro. Si trattava di un manager di lungo corso, che ricopriva la posizione di nr. 1 in Italia da una quindicina d’anni. Mi spiegò di non capacitarsi del basso livello di capacità negoziali della propria prima linea di Manager, i quali, secondo lui, risultavano troppo spesso perdenti nelle negoziazioni, interne (collaboratori, sindacati, ecc...) ed esterne (clienti). Eppure: "hanno me come esempio! Tutte le volte che qualcuno esce dal mio ufficio, ne esce profondamente convinto che quanto io ho suggerito sia la strada giusta. Io sono un ottimo persuasore!", mi spiegò.
Rifiutai l’incarico. Lo rifiutai perché, a seguito di quella conversazione e di ulteriori indagini, risultò chiaro che si trattasse di un "bullo". Una persona a cui tutti dicevano di sì per paura, sia della posizione che della personalità. Un uomo che maltrattava costantemente i collaboratori, credendo di fare il bene dell’organizzazione, il tipo di "bene" che solo lui conosceva. Questo è bullismo! Come il ragazzino che a scuola fa leva sulla forza fisica, il manager in azienda fa leva sulla sua posizione gerarchica e sulla possibilità che ha di influire sulla vita delle persone. E come sempre accade in questi casi, il bullo non si considera un bullo. Semmai considera gli altri degli inetti.
Le radici di questo tipo di comportamento possono affondare le passato personale del Manager, dal suo retroterra culturale, oppure possono essere parte endemica di una cultura aziendale. In altre parole, un giovane che entra a far parte dell’organizzazione con una cultura lontana dal bullismo, comincia a subire vessazioni dai propri superiori e alla lunga si uniforma a quello stile manageriale diventando a sua volta un capo vessatore. Un fenomeno analogo a quello tristemente noto in ambienti militari come "nonnismo". Cioè "l’anziano" che si sente in diritto di abusare del "giovane" in virtù di più lungo periodo di permanenza in azienda e di un maggiore potere.
Questi fenomeni potrebbero sembrare tipicamente maschili, e forse lo sono. Tuttavia, ora che le donne cominciano ad avere qualche possibilità in più di raggiungere posizioni di rilievo, è evidente che nemmeno loro siano immuni da questi fenomeni.
Di bullismo e di nonnismo in azienda non si parla. Non ne parlano i dipendenti per paura di perdere il posto di lavoro in un momento così difficile, e perché un certo livello di maltrattamento da parte del proprio superiore è considerato (incredibilmente) "normale o accettabile".
Non ne parlano soprattutto coloro che all’interno delle organizzazioni avrebbero il potere di intervenire per eliminare o correggere comportamenti di cui sono spesso a conoscenza, ma che vengono ignorati sull’altare della performance o del buon nome dell’organizzazione.
Oggi più che mai si sente il bisogno di "benessere organizzativo". Il poter costruire dei luoghi dove le persone si sentano a loro agio e libere di esprimere il meglio di sé. Questo si traduce in risultati tangibili. Ma per poter costruire questo mondo il primo passo è prendere coscienza e sradicare comportamenti figli di un passato che non ha più nulla a che vedere col mondo di oggi.

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di Luca Berni

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