Canone a "scaletta", quando l'aumento è nullo


Nullità della clausola di aumento del canone di locazione in misura differenziata e crescente
Canone a "scaletta", quando l'aumento è nullo

Nella disciplina delle locazioni, il canone di locazione nel corso del rapporto non può essere rideterminato, ma solo aggiornato secondo la variazione dell’indice Istat (art. 32 della L. 392/1978, cd. Legge sull’equo canone) e, conseguentemente, ogni pattuizione finalizzata non all’aggiornamento, ma all’aumento del canone, è nulla per violazione dell’art. 79 della citata legge.


In via generale, infatti, nelle locazioni di immobili ad uso diverso dall’abitazione, le parti possono liberamente contrattare il canone, ma così come fissato nel contratto potrà essere aggiornato solo per neutralizzare la perdita del potere di acquisto della moneta. Tuttavia, secondo l’orientamento giurisprudenziale della Corte di Cassazione tale principio deve necessariamente correlarsi con l’altro fondamentale principio enucleato dall’art. 1322 del c.c. ovvero l’autonomia contrattuale. Per effetto del principio generale della libera determinazione convenzionale del canone locativo per gli immobili destinati ad uso non abitativo, la giurisprudenza di legittimità ha ritenuto legittima la clausola con cui si convenga una determinazione del canone in misura differenziata e crescente per frazioni successive di tempo nell’arco del rapporto, purché la stessa sia ancorata ad elementi predeterminati e idonei ad influire sull’equilibrio economico del sinallagma contrattuale e del tutto indipendenti dalle eventuali variazioni annuali del potere di acquisto della moneta (Cass. n. 3014/2012); la Suprema Corte ha, inoltre, precisato che la clausola in questione deve chiaramente riferirsi ad elementi predeterminati desumibili dal contratto ed idonei ad influire sull’equilibrio economico del rapporto, in modo autonomo dalle variazioni annue del potere di acquisto della moneta (Cass. n. 1761/14); ne consegue che, ove la clausola di aggiornamento sia priva di alcuna giustificazione causale, tale clausola si configura come un espediente diretto a neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria, con conseguente squilibrio del rapporto sinallagmatico e violazione dei limiti quantitativi.


Pertanto, condizione imprescindibile per l’ammissibilità di una modifica quantitativa del canone è la presenza necessaria di due fondamentali presupposti:
- Determinazione sin dalla stipula del contratto della misura del canone iniziale e finale a cui si giungerà con aumenti frazionati nel tempo
- Individuazione degli oggettivi predeterminati e idonei, come tali, a influire sull’equilibrio economico del rapporto contrattuale. Deve trattarsi di fattori indipendenti dalle variazioni annue del potere d’acquisto della moneta e che permettano di escludere l’intento simulato del locatore di neutralizzare gli effetti della svalutazione monetaria.

 

La mancanza di tali presupposti determina la nullità delle clausole “cd. a scaletta” e in tal caso il conduttore, con azione proponibile nel termine di sei mesi dalla riconsegna dell'immobile locato, può chiedere la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore al canone risultante dal contratto scritto e registrato.

 

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di Avv. Edoardo Nesci

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