Cardiopatie: l'identikit del malato di cuore
L'identikit di alcune delle più comuni malattie cardiologiche. L'Aritmia, la Tachicardia, l'Infarto. La Personalità del Cardiopatico, chi è e cosa fa

Un individuo ambizioso, ma ricco d’insicurezze. Competitivo e perfezionista, ma dominato dalla fretta e incapace di rilassarsi. Aggressivo, ma guai a farlo trasparire: si vanta infatti, di saper tenere tutti i sentimenti sotto controllo. Da questi tratti emerge la personalità—tipo del cardiopatico, di un soggetto che sta vivendo un’accanita lotta tra testa e cuore. In una serie di ricerche svolte in diversi paesi, il soggetto maggiormente predisposto a disturbi cardiaci viene descritto come una persona ambiziosa, tesa a raggiungere elevati traguardi economici e sociali, impegnata in compiti di alta responsabilità, lavoratore accanito che non si concede assenze né vacanze, orgoglioso della quantità di lavoro che riesce a svolgere, molto competitivo, dall’ apparenza curata, affabile, cordiale, molto controllato, in modo da non manifestare, mai apertamente, aggressività. Rigidamente cristallizzato nel suo ritmo di vita; perfezionista, ordinato, puntuale, grande consumatore di caffè e di tabacco. l dati statistici sul comportamento sociale delle persone sofferenti di disturbi cardiocircolatori, pongono l’ accento sul fatto che tali affezioni sono tipiche del nostro tempo e colpiscono soprattutto le persone di sesso maschile la cui attività professionale è particolarmente impegnativa. Da ciò nasce comunemente l’ipotesi che lo stress lavorativo sia il principale responsabile di malattie come l’ipertensione e l’infarto. Ma a quale stress ci riferiamo? Non certo ad uno stress generico, bensì a qualche cosa di tipico di questi soggetti: infatti, la causa più grave d’infarto si può far risalire proprio alla negazione specifica e ripetuta dei freni inibitori spesso operata da coloro che ricoprono posizioni lavorative di rilievo. Infatti è spesso più difficile per queste persone ammettere di avere pudori, vergogne o limitazioni interne di qualsiasi tipo, che intaccherebbero l’ immagine di autorità e prestigio richiesta dal loro ruolo sociale, piuttosto che accettare le conseguenze talvolta anche mortali di una malattia cardiocircolatoria. Vediamo le tipicità di alcune tra le più comuni alterazioni della funzionalità cardiaca.
ARITMIA...quando il cuore non ha orecchio!
Nell’aritmia il ritmo cardiaco è alterato, "rotto" a fronte di una vita in cui proprio il ritmo di svolgimento è mantenuto esasperatamente rigido, fisso e schematico. l soggetti afflitti da aritmia non sono per nulla elastici, non tollerano alcuna alterazione del loro ritmo esistenziale accuratamente pianificato; é così che, con l’aritmia, il cuore "spezza il ritmo" monotono di un`esistenza troppo rigidamente programmata. Dunque per prevenire questa patologia, una volta che si è capito di far parte di questa categoria di persone "a rischio", bisogna assolutamente sforzarsi di modificare il ritmo di una vita troppo ripetitiva riscoprendo spazi di creatività, di emotività, di sentimento, lasciando spazio maggiore alle emozioni ed eventualmente concedendosi una "vacanza", ovvero una perdita momentanea dei ritmi, dei vincoli, delle abitudini, dalle costrizioni quotidiane.
TACHICARDIA, EXTRASISTOLE...e lo chiamarono due cuori
Nella tachicardia, invece, il ritmo cardiaco è accelerato. Così i soggetti colpiti da questa sofferenza cardiaca sono spesso persone che vivono un intero ritmo esistenziale accelerato, nella loro continua iperattività, nel loro "fare sempre qualcosa", nel loro non riuscire a rilassarsi e a distendersi. Per sconfiggere questo rischio bisogna sforzarsi di ritrovare un ritmo naturale. Messe da parte ansie e angosce che non hanno comunque mai fine, si può scoprire un nuovo rapporto con noi stessi mediato magari da uno sport "ritmico" come è l’ equitazione o la danza. Bisogna insomma imprimere una cadenza più armoniosa con la propria esistenza, scavando a cadenze fisse spazi regolari di riposo, lettura, svago. Senza ricadere nell’eccesso opposto di una vita troppo irregimentata, cerchiamo più spesso di sentire il "battito del nostro cuore" prima che esso si stanchi del tutto di battere per noi inutilmente.
INFARTO...le urla del silenzio!
Per le malattie che interessano più direttamente il cuore, come l’angina pectoris (sofferenza cardiaca acuta che può cronicizzarsi e diventare l’anticamera dell’infarto) e l’infarto stesso, possiamo trovare alcune analogie con quanto si è appena detto. Sia l’una che l’altro hanno come causa organica scatenante una riduzione parziale o totale del flusso sanguigno che giunge al cuore: tali attacchi possono essere interpretati come l’espressione somatica di un conflitto in cui gli istinti rischiano di essere schiacciati dai freni inibitori. Il dolore acutissimo e la sensazione di morte imminente tipica di queste crisi costituiscono il segnale del grave pericolo corso dall’intero organismo. Se la riduzione del flusso sanguigno è totale, si ha l’infarto (da in + farcio, riempire): l’occlusione coronarica è completa e, a seconda dell’importanza delle arterie interessate, "muore" una parte di cuore più o meno estesa e con essa spesso anche l’intero organismo. Dal punto di vista psicosomatico, l’infarto rappresenta quindi l’annullamento completo della pulsione ad opera dei freni inibitori.
ARITMIA...quando il cuore non ha orecchio!
Nell’aritmia il ritmo cardiaco è alterato, "rotto" a fronte di una vita in cui proprio il ritmo di svolgimento è mantenuto esasperatamente rigido, fisso e schematico. l soggetti afflitti da aritmia non sono per nulla elastici, non tollerano alcuna alterazione del loro ritmo esistenziale accuratamente pianificato; é così che, con l’aritmia, il cuore "spezza il ritmo" monotono di un`esistenza troppo rigidamente programmata. Dunque per prevenire questa patologia, una volta che si è capito di far parte di questa categoria di persone "a rischio", bisogna assolutamente sforzarsi di modificare il ritmo di una vita troppo ripetitiva riscoprendo spazi di creatività, di emotività, di sentimento, lasciando spazio maggiore alle emozioni ed eventualmente concedendosi una "vacanza", ovvero una perdita momentanea dei ritmi, dei vincoli, delle abitudini, dalle costrizioni quotidiane.
TACHICARDIA, EXTRASISTOLE...e lo chiamarono due cuori
Nella tachicardia, invece, il ritmo cardiaco è accelerato. Così i soggetti colpiti da questa sofferenza cardiaca sono spesso persone che vivono un intero ritmo esistenziale accelerato, nella loro continua iperattività, nel loro "fare sempre qualcosa", nel loro non riuscire a rilassarsi e a distendersi. Per sconfiggere questo rischio bisogna sforzarsi di ritrovare un ritmo naturale. Messe da parte ansie e angosce che non hanno comunque mai fine, si può scoprire un nuovo rapporto con noi stessi mediato magari da uno sport "ritmico" come è l’ equitazione o la danza. Bisogna insomma imprimere una cadenza più armoniosa con la propria esistenza, scavando a cadenze fisse spazi regolari di riposo, lettura, svago. Senza ricadere nell’eccesso opposto di una vita troppo irregimentata, cerchiamo più spesso di sentire il "battito del nostro cuore" prima che esso si stanchi del tutto di battere per noi inutilmente.
INFARTO...le urla del silenzio!
Per le malattie che interessano più direttamente il cuore, come l’angina pectoris (sofferenza cardiaca acuta che può cronicizzarsi e diventare l’anticamera dell’infarto) e l’infarto stesso, possiamo trovare alcune analogie con quanto si è appena detto. Sia l’una che l’altro hanno come causa organica scatenante una riduzione parziale o totale del flusso sanguigno che giunge al cuore: tali attacchi possono essere interpretati come l’espressione somatica di un conflitto in cui gli istinti rischiano di essere schiacciati dai freni inibitori. Il dolore acutissimo e la sensazione di morte imminente tipica di queste crisi costituiscono il segnale del grave pericolo corso dall’intero organismo. Se la riduzione del flusso sanguigno è totale, si ha l’infarto (da in + farcio, riempire): l’occlusione coronarica è completa e, a seconda dell’importanza delle arterie interessate, "muore" una parte di cuore più o meno estesa e con essa spesso anche l’intero organismo. Dal punto di vista psicosomatico, l’infarto rappresenta quindi l’annullamento completo della pulsione ad opera dei freni inibitori.
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