Cassazione e Violazione di Legge
La Cassazione ha ribadito le regole relative ai ricorsi per violazione di legge ex art. 360 c.p.c.
La Cassazione, con ordinanza 5001/18, ha ribadito le regole relative ai ricorsi per violazione di legge ex art. 360 c.p.c. co. 1, nn. 1, 2, 3, 4. I ricorrenti devono individuare la ratio decidendi del giudizio di merito impugnato e la normativa ivi applicata che si ritiene violata e di questa esporre il contenuto precettivo assieme alla relativa giurisprudenza di legittimità. Gli stessi devono poi indicare come il giudice di merito si sia discostato dalla giurisprudenza della Cassazione (che devono esporre), oppure, se richiedono un mutamento di tale giurisprudenza, esporne i motivi relativi ex art. 360 bis.
In estrema sintesi il motivo di ricorso deve indicare chiaramente quale sia l’interpretazione corrente della norma di legge, l’errore del giudice di merito, o il “difetto” inerente la giurisprudenza della Cassazione, che richiede, a suo avviso, superamento.
L’ordinanza in questione, salutata da taluno come una pietra miliare, si colloca in realtà all’interno di un orientamento consolidato che richiede, ai fini della specificità, l’esposizione puntuale in ricorso dei fatti processuali denunciati come errore del giudice. In particolare, se il giudice dell’appello non si è pronunciato su di un motivo d’appello, ciò deve esser riportato assieme alla domanda originaria in modo da consentire alla Cassazione di controllare se non si sia trattato di domanda nuova, senza dover consultare gli atti del merito.
Nel caso specifico il motivo su cui l’ordinanza si sofferma è quello relativo alla pretesa violazione degli artt. 871, 872, 2697, 2043, 1226 cod. civ. in ordine alla valutazione equitativa del danno.
Si tratta – si osserva nell’ordinanza – di “questione delicata”: l’anno precedente l’ordinanza in oggetto la Cassazione SS.UU. aveva mutato, con la sentenza n. 7155/17, il precedente orientamento rappresentato da Cass. SS.UU. 19051/10 in merito al motivo di ricorso per violazione di legge.
Questo precedente orientamento (certamente non remoto giacché era stato poi confermato da numerosa giurisprudenza sezionale) prevedeva che il ricorso avverso una sentenza di merito in linea con la giurisprudenza della Cassazione, ma priva di sufficienti argomenti per mutarne l’orientamento non doveva esser dichiarata inammissibile, ma rigettata per manifesta infondatezza salvo trovare accoglimento se nel frattempo l’orientamento fosse mutato.
Si riconosceva cioè alla Corte di legittimità il potere di superare i limiti argomentativi del ricorso per esaminarlo ed eventualmente accoglierlo non per mutare l’orientamento della Cassazione, ma per confermare un orientamento nel frattempo intervenuto.
Con la sentenza 7155/17, che precede l’ordinanza 5001/18, la Cassazione ha mutato orientamento e ha dichiarato inammissibile un ricorso privo di sufficienti elementi argomentativi, pur se questo significa dar valore di giudicato a sentenza di merito palesemente in contrasto col “diritto vivente” più attuale, con l’ovvio risultato di dar seguito, sul piano della giurisprudenza di merito, ad orientamenti che dovrebbero esser considerati ormai superati.
Come ha chiarito nella citata sentenza la Corte “la questione...non appare meramente terminologica. Infatti, ove la si dovesse risolvere nel senso del rigetto, come già indicato da Sez. un. 19051/2010, la Corte non potrebbe esimersi dall'esaminare nel merito anche un eventuale ricorso incidentale tardivo che fosse stato proposto dalla parte controricorrente. Viceversa la declaratoria d'inammissibilità del ricorso principale produrrebbe l'inefficacia di quel ricorso incidentale tardivo, dovendosi ritenere anche in tal caso applicabile il disposto dell'art. 334, comma 2, c.p.c., che siffatta conclusione impone quale che sia la ragione dell'inammissibilità del ricorso principale”
Si verifica tuttavia un’altra singolare situazione: l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, è stato modificato dal Decreto Legislativo n. 40 del 2006, articolo 2 e si trova ad esser parificato, sul piano processuale, alla denuncia di violazione o di falsa applicazione dei contratti o accordi collettivi di lavoro. Infatti l’attuale dizione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, recita: “Le sentenze pronunciate in grado d'appello o in unico grado possono essere impugnate con ricorso per cassazione: 3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro”.
In precedenza entrambi i campi di applicazione (norme di diritto e ccnl) erano parificati sul piano processuale, ma, dal 2016 a seguito di Cass. n. 5533/16, che ha ribadito un’isolata sentenza del 2014, è subentrata, in sede lavoristica, la possibilità di esame diretto “senza più necessità, a pena di inammissibilità della doglianza, di una specifica indicazione delle norme asseritamente violate e dei principi in esse contenuti, né del discostamento da parte del giudice di merito dai canoni legali assunti come violati” (Cass. 6335/2014).
Ci troviamo dunque di fronte a differenti modalità di esame e di ammissibilità dei ricorsi inerenti lo stesso comma del medesimo articolo. Peraltro è appena il caso di ricordare che anche in materia di lavoro è frequente il ricorso per violazione di norme di diritto ex art. 360, co.1, n. 3 per cui si apre la possibilità di inammissibilità per un verso ed esame diretto per l’altro verso.
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