Cessione di opere d'arte
La cessione di opere d'arte può essere oggetto di diversi regimi impositivi a seconda delle caratteristiche dell'operazione
Salvo la cessione di opere d'arte da parte dell'artista che le ha realizzate (che configura evidentemente la realizzazione di un reddito professionale) o da parte del mercante d'arte (che realizza un'attività commerciale), è spesso incerto il corretto trattamento tributario da riservare alle cessioni effettuate dal collezionista, potendo quest'ultimo realizzare - tenuto conto delle diverse circostanze del caso concreto - (i) una mera dismissione patrimoniale, fiscalmente irrilevante, (ii) un'attività commerciale occasionale (imponibile ai fini Irpef e non anche ai fini dell'Iva) oppure (iii) un'attività commerciale svolta in via abituale (che configura l'esercizio di una attività impresa ai fini fiscali, anche se non organizzata in forma di impresa).
Decisivo è, dunque, verificare di volta in volta la sussistenza dei presupposti di un eventuale esercizio di un'"attività commerciale", che può dare luogo a: (a) redditi di impresa, se effettuata per "professione abituale, ancorché non esclusiva", ai sensi dell’art. 55, comma 1 del t.u.i.r., con conseguente rilevanza ai fini dell’Irap, e le relative operazioni sono altresì soggette a Iva, ai sensi dell’art. 4, comma 1 del d.p.r. n. 633/1972; (b) redditi diversi, nel caso in cui la attività predetta non sia effettuata in modo abituale, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. i) del t.u.i.r., e le relative operazioni sono fuori dal campo di applicazione dell’Iva, per carenza del requisito soggettivo dell’esercizio di un’attività d’impresa.
La nozione fiscale di "attività commerciale" è tendenzialmente identica ai fini dell’Irpef e dell’Iva, in quanto per entrambe le imposte assumono rilievo le "attività" indicate nell’articolo 2195 del codice civile, "anche se non organizzate in forma di impresa". Lo svolgimento delle attività indicate dall’art. 2195 c.c. configura, pertanto, l’esercizio di un’attività commerciale ai fini fiscali, sulla base di una valutazione di tipo "oggettivo", ossia prescindendo dalla sussistenza di un’organizzazione in forma di impresa. L’art. 2195 c.c. menziona, tra l’altro, l’"attività intermediaria nella circolazione dei beni".
Per individuare la nozione di "attività intermediaria nella circolazione dei beni" occorre esaminare i concetti di "attività" e di "intermediazione". Il primo presuppone il compimento di una pluralità di atti giuridici, che siano coordinati o unificati sul piano funzionale dalla unicità dello scopo. Il secondo, ricollegandosi allo "scambio di beni", richiede che il preliminare acquisto del bene sia preordinato alla sua successiva cessione (Cass. n. 21776/2011).
In tale prospettiva, non è ravvisabile l'elemento della intermediazione nello scambio dei beni (e, dunque, un'attività commerciale), nel caso di rivendita di beni ricevuti per successione ereditaria o donazione (A.d.E., ris. 24.1.2001, n. 5/E). In tali casi manca il fine speculativo che implicitamente caratterizza l'attività commerciale. Analogamente può dirsi per le cessioni isolate di beni, avvenute a distanza di un notevole lasso di tempo rispetto al loro acquisto. E ciò anche se per la vendita ci si avvale di un intermediario professionale o di una casa d'asta. Tale circostanza non è idonea a configurare quella "attività di valorizzazione" di beni da alienare idonea, per impiego di capitali e mezzi produttivi, a realizzare un'attività commerciale, anche se svolta in relazione a un unico affare.
Al di fuori di tali casi, vi è tuttavia il rischio che si configuri un'attività commerciale. La giurisprudenza tributaria, procedendo a un esame "caso per caso" delle diverse fattispecie, ha individuato una serie di elementi indiziari al ricorrere dei quali è possibile ritenere, sulla base di una valutazione fondata su un criterio di ragionevolezza, la sussistenza di un’attività commerciale di compravendita di beni, quali ad esempio: - l’attività di compra-vendita ha carattere continuativo o prolungato; - l’obiettiva rilevanza del "giro d’affari" realizzato dalle vendite; - l’organizzazione e la rilevanza economica della singola cessione; - la mancanza di altre fonti di reddito da parte del soggetto che svolge l’attività di compra-vendita; - la comprovata esperienza nel settore dei beni oggetto di cessione; - il compimento di atti intermedi, tra l’acquisto e la rivendita, volti a incrementare in modo obiettivo e apprezzabile in valore del bene.
Avv. Giulio Chiarizia
Decisivo è, dunque, verificare di volta in volta la sussistenza dei presupposti di un eventuale esercizio di un'"attività commerciale", che può dare luogo a: (a) redditi di impresa, se effettuata per "professione abituale, ancorché non esclusiva", ai sensi dell’art. 55, comma 1 del t.u.i.r., con conseguente rilevanza ai fini dell’Irap, e le relative operazioni sono altresì soggette a Iva, ai sensi dell’art. 4, comma 1 del d.p.r. n. 633/1972; (b) redditi diversi, nel caso in cui la attività predetta non sia effettuata in modo abituale, ai sensi dell’art. 67, comma 1, lett. i) del t.u.i.r., e le relative operazioni sono fuori dal campo di applicazione dell’Iva, per carenza del requisito soggettivo dell’esercizio di un’attività d’impresa.
La nozione fiscale di "attività commerciale" è tendenzialmente identica ai fini dell’Irpef e dell’Iva, in quanto per entrambe le imposte assumono rilievo le "attività" indicate nell’articolo 2195 del codice civile, "anche se non organizzate in forma di impresa". Lo svolgimento delle attività indicate dall’art. 2195 c.c. configura, pertanto, l’esercizio di un’attività commerciale ai fini fiscali, sulla base di una valutazione di tipo "oggettivo", ossia prescindendo dalla sussistenza di un’organizzazione in forma di impresa. L’art. 2195 c.c. menziona, tra l’altro, l’"attività intermediaria nella circolazione dei beni".
Per individuare la nozione di "attività intermediaria nella circolazione dei beni" occorre esaminare i concetti di "attività" e di "intermediazione". Il primo presuppone il compimento di una pluralità di atti giuridici, che siano coordinati o unificati sul piano funzionale dalla unicità dello scopo. Il secondo, ricollegandosi allo "scambio di beni", richiede che il preliminare acquisto del bene sia preordinato alla sua successiva cessione (Cass. n. 21776/2011).
In tale prospettiva, non è ravvisabile l'elemento della intermediazione nello scambio dei beni (e, dunque, un'attività commerciale), nel caso di rivendita di beni ricevuti per successione ereditaria o donazione (A.d.E., ris. 24.1.2001, n. 5/E). In tali casi manca il fine speculativo che implicitamente caratterizza l'attività commerciale. Analogamente può dirsi per le cessioni isolate di beni, avvenute a distanza di un notevole lasso di tempo rispetto al loro acquisto. E ciò anche se per la vendita ci si avvale di un intermediario professionale o di una casa d'asta. Tale circostanza non è idonea a configurare quella "attività di valorizzazione" di beni da alienare idonea, per impiego di capitali e mezzi produttivi, a realizzare un'attività commerciale, anche se svolta in relazione a un unico affare.
Al di fuori di tali casi, vi è tuttavia il rischio che si configuri un'attività commerciale. La giurisprudenza tributaria, procedendo a un esame "caso per caso" delle diverse fattispecie, ha individuato una serie di elementi indiziari al ricorrere dei quali è possibile ritenere, sulla base di una valutazione fondata su un criterio di ragionevolezza, la sussistenza di un’attività commerciale di compravendita di beni, quali ad esempio: - l’attività di compra-vendita ha carattere continuativo o prolungato; - l’obiettiva rilevanza del "giro d’affari" realizzato dalle vendite; - l’organizzazione e la rilevanza economica della singola cessione; - la mancanza di altre fonti di reddito da parte del soggetto che svolge l’attività di compra-vendita; - la comprovata esperienza nel settore dei beni oggetto di cessione; - il compimento di atti intermedi, tra l’acquisto e la rivendita, volti a incrementare in modo obiettivo e apprezzabile in valore del bene.
Avv. Giulio Chiarizia
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