Cessione di ramo di azienda nel settore bancario
Cessione di ramo di azienda nel settore bancario: la Cassazione da ragione ai lavoratori

La Suprema Corte di Cassazione con la sentenza 17901 del 12 agosto 2014, decidendo su di una cessione del settore bancario, sovrapponibile al caso in esame, ha stabilito: "La giurisprudenza di questa Corte è oramai orientata nel ritenere operante, anche a seguito del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 32, il principio per cui per "ramo d'azienda", ai sensi dell'articolo 2112 c.c., deve intendersi ogni entità economica organizzata la quale, in occasione del trasferimento, conservi la sua identità - come del resto previsto dalla prima parte del Decreto Legislativo n. 276 del 2003, articolo 32- presupponendo ciò comunque una preesistente entità produttiva funzionalmente autonoma (potendo conservarsi solo qualcosa che già esiste), e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento o come tale unicamente identificata dalle parti del negozio traslativo, essendo preclusa l'esternalizzazione come forma incontrollata di espulsione di frazioni non coordinate fra loro, di semplici reparti o uffici, di articolazioni non autonome, unificate soltanto dalla volontà dell'imprenditore e non dall'inerenza del rapporto ad una entità economica dotata di autonoma ed obiettiva funzionalità (Cfr.Cass. 15 aprile 2014 n. 8757, Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 e nello stesso senso Cass. 8 giugno 2009 n. 1317 e Cass. 9 ottobre 2009 n. 21481).
Del resto, come pure affermato da questa Corte, non puo' ammettersi un trasferimento di ramo d'azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. Tanto, infatti contrasterebbe, e con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest'atto "un`entità economica che conservi la propria identità" ossia un assetto già formato, e con gli articoli 4 e 36 Cost. che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (sent. n. 115 del 1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l'assenza di riferimento oggettivi (Cfr. 15 aprile 2014 n. 8757 e Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 cit.).
Né a diverse conclusioni può indurre la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia resa nella causa Lorenzo Amatori e altri C-458/12, secondo la quale l'articolo 1, par. 1, lettera a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell'ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. La richiamata pronuncia, infatti, interviene su questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trento che muove dall'errato presupposto che la norma interna, quale quella dettata dall'articolo 2112 c.c. comma 5, consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Inoltre la sentenza comunitaria va letta, non nel senso che non occorre, ai fini di cui trattasi, il requisito della preesistenza, ma che è consentito agli stati membri prevedere una norma che estenda l'obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso di non preesistenza del ramo d'azienda.
D'altro canto la stessa Corte, nella citata sentenza, ribadisce che, ai fini dell'applicazione della richiamata direttiva 2001/23, l’entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un'autonomia funzionale sufficiente.
Alla stregua delle svolte considerazioni, pertanto, non è corretta in diritto la sentenza impugnata la quale ha ritenuto che ai sensi del novellato articolo 2112 c.c. le parti potessero al momento del trasferimento identificare il ramo d'azienda da cedere.
Il motivo in esame va, quindi, accolto rimanendo assorbita la seconda censura. La sentenza impugnata va, di conseguenza, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione che, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, farà applicazione del principio di diritto sopra enunciato."
Avv. Ernesto Maria Cirillo
Del resto, come pure affermato da questa Corte, non puo' ammettersi un trasferimento di ramo d'azienda con riferimento alla sola decisione, assunta dal soggetto cedente, di unificare alcuni beni e lavoratori, affidando a questi un’unica funzione al momento del trasferimento. Tanto, infatti contrasterebbe, e con le direttive comunitarie nn. 1998/50 e 2001/23 che richiedono già prima di quest'atto "un`entità economica che conservi la propria identità" ossia un assetto già formato, e con gli articoli 4 e 36 Cost. che impediscono di rimettere discipline inderogabili di tutela dei lavoratori (sent. n. 115 del 1994 della Corte Cost.) ad un mero atto di volontà del datore di lavoro, incontrollabile per l'assenza di riferimento oggettivi (Cfr. 15 aprile 2014 n. 8757 e Cass. 4 dicembre 2012 n. 21711 cit.).
Né a diverse conclusioni può indurre la sentenza 6 marzo 2014 della Corte di Giustizia resa nella causa Lorenzo Amatori e altri C-458/12, secondo la quale l'articolo 1, par. 1, lettera a) e b), della direttiva 2001/23/CE del Consiglio, del 12 marzo 2001, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti, deve essere interpretato nel senso che non osta ad una normativa nazionale, come quella oggetto del procedimento principale, la quale, in presenza di un trasferimento di una parte di impresa, consenta la successione del cessionario al cedente nei rapporti di lavoro nell'ipotesi in cui la parte di impresa in questione non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma preesistente al suo trasferimento. La richiamata pronuncia, infatti, interviene su questione pregiudiziale sollevata dal Tribunale di Trento che muove dall'errato presupposto che la norma interna, quale quella dettata dall'articolo 2112 c.c. comma 5, consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento. Inoltre la sentenza comunitaria va letta, non nel senso che non occorre, ai fini di cui trattasi, il requisito della preesistenza, ma che è consentito agli stati membri prevedere una norma che estenda l'obbligo di mantenimento dei diritti dei lavoratori trasferiti anche in caso di non preesistenza del ramo d'azienda.
D'altro canto la stessa Corte, nella citata sentenza, ribadisce che, ai fini dell'applicazione della richiamata direttiva 2001/23, l’entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un'autonomia funzionale sufficiente.
Alla stregua delle svolte considerazioni, pertanto, non è corretta in diritto la sentenza impugnata la quale ha ritenuto che ai sensi del novellato articolo 2112 c.c. le parti potessero al momento del trasferimento identificare il ramo d'azienda da cedere.
Il motivo in esame va, quindi, accolto rimanendo assorbita la seconda censura. La sentenza impugnata va, di conseguenza, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione che, provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità, farà applicazione del principio di diritto sopra enunciato."
Avv. Ernesto Maria Cirillo
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