Cessioni ramo d’azienda art 2112
Influenza nella giurisprudenza Italiana della sentenza della Corte di Giustizia Europea in tema di cessione di ramo d’azienda (6.3.14 causa C 458/12)

Trasferimento d'azienda, la sentenza della Corte di Giustizia riaccende il dibattito, tanto appassionato, quanto secondario, della preesistenza.
Avv. Ernesto Maria Cirillo e dott.ssa Lidia Undiemi
20 marzo 2014
Nel dibattito italiano, la sentenza della Corte di Giustizia Europea (Cgue - Sentenza 6 marzo 2014 - Causa C 458/12) – stimolata da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trento in merito ad un caso di cessione di ramo di azienda, ex art. 2112 c.c., tra una società controllante ed una sua controllata – rischia di essere percepita in modo errato, e quindi è bene chiarire sin da subito che questa pronuncia non mette in discussione i principi cardine della normativa nazionale (e comunitaria), ossia l'autonomia funzionale e il requisito della preesistenza della parte di azienda
ceduta.
Nello specifico, la richiesta che il Tribunale di Trento ha rivolto ai giudici di Bruxelles verte sulla possibilità di potere introdurre una normativa interna “quale quella dettata dall’articolo 2112, comma 5, del codice civile, che consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento” (punto 19, sentenza), nonché se la disciplina della UE osti ad una legge interna che nelle medesime circostanze consenta all'impresa cedente di esercitare, dopo il trasferimento, “un intenso potere di supremazia nei confronti della cessionaria che si manifesti attraverso uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa” (punto 19, sentenza).
La decisione dei giudici è stata, da qualche parte, erroneamente interpretata come possibilità di potere applicare la disciplina contenuta nell'art. 2112 c.c., come novellata dalla cd. “Legge Biagi” –
di attuazione della direttiva 2001/23 che introduce una tutela specifica per i lavoratori nei casi di trasferimenti di imprese o di parti di imprese – anche nei casi di trasferimenti di parti di azienda non
dotati del requisito dell’autonomia funzionale preesistente al negozio traslativo. In realtà, la Corte sostiene, molto chiaramente, che qualora vengano attuate cessioni di rami di azienda prive dell’indispensabile requisito dell’autonomia funzionale preesistente, esse non rientrano nell’ambito
di applicazione della direttiva, e dunque dell'art. 2112.
Si legge nella motivazione della sentenza della Corte Europea:
“3 La direttiva 2001/23 ha abrogato e sostituito la direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.
32 Ne consegue che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente...”.
“34 Infatti, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine «conservi» implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento”.
Ciò premesso e chiarito, la Corte Europea aggiunge:
“35 Pertanto, qualora risultasse, nel procedimento principale, che l’entità trasferita di cui trattasi non disponeva, anteriormente al trasferimento, di un’autonomia funzionale sufficiente – circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare –, tale trasferimento non ricadrebbe sotto la direttiva 2001/23...”.
- A questo punto, la Corte Europea, escludendo che nel caso prospettatogli dal Tribunale di Trento, si ricada nella ipotesi disciplinata dalla direttiva 2001/23 (e, quindi, dell’art. 2112 c.c. che ha recepito detta direttiva) afferma semplicemente come non ne sia in contrasto, una normativa nazionale che, nelle ipotesi di cambiamento, da parte dei lavoratori, del datore di lavoro, ne garantisca comunque il mantenimento dei diritti introducendo, magari, anche condizioni più favorevoli.
Orbene, andando a perlustrare nel nostro ordinamento, esclusa l’ipotesi dell’art. 2112 c.c. in quanto recepisce integralmente la direttiva 2001/23 e, quindi, il requisito, non solo dell’autonomia funzionale (da sempre prescritto, anche prima della riforma del 2003), ma, a questo punto, della preesistenza anche nell’ipotesi di cessione di articolazioni dell’azienda, l’unica norma che residua, è l’articolo 1406 c.c. che disciplina l’ipotesi delle cessioni dei singoli contratti (di lavoro), ma solo previo consenso dei lavoratori trasferiti.
D’altro canto, va qui ricordato come l''art. 2112 c.c. rappresenta una deroga rispetto al principio generale contenuto nell'art. 1406 c.c., in base al quale la cessione del contratto richiede il consenso del contraente ceduto. O l'una o l'altra, insomma. La cessione del rapporto di lavoro senza il consenso dei dipendenti è, in altre parole, possibile soltanto se il ramo di azienda presenta i requisiti stabiliti dall’ 2112 c.c. che ha recepito la direttiva 2001/23, e cioè che rappresenti una “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata preesistente, e che conserva nel trasferimento, la propria identità “. Questo, tuttavia, non preclude, secondo quanto si desume dalla sentenza in esame, che il legislatore nazionale possa prevedere anche l’ipotesi di cessione ad altro imprenditore, di un’articolazione di azienda “funzionalmente autonoma solo all’atto della cessione” nonché dei singoli rapporti di lavoro, con mantenimento dei diritti dei lavoratori, ma in tal caso si è fuori dall'ambito di applicazione della direttiva e dell'art. 2112 c.c., e quindi occorre il consenso del lavoratore/contraente con cui si intende sciogliere il vincolo contrattuale.
- La lettura appena fornita della pronunzia della Corte Europea, d’altronde, è perfettamente in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione secondo cui:
“…Ora, in particolare dalle citate direttive CE 98/50 e 2001/23, si desume che la relativa disciplina presuppone che l'oggetto del trasferimento sia costituito da un'entità economica con propria identità funzionalmente autonoma che resti conservata anche dopo il trasferimento. Del resto, l'art. 1, lett. b), della direttiva 2001/23, stabilisce che: "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria".7.2.- Ne consegue che, nonostante talune difformi opinioni basate sul dato letterale della non menzione, nelle direttive comunitarie, del concetto di preesistenza, l'entità economica trasferita deve in realtà ritenersi preesistente al trasferimento, visto che le stesse direttive fanno espresso riferimento alla conservazione dell'identità ed è evidente come non possa conservarsi quel che non c'è (vedi, fra le altre: Cass. 21 novembre 2012, n. 20422; n. 21711/2012; Cass. 4 dicembre 2012, n. 21710; Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697). 7.3.- Il concetto di preesistenza deve poi ritenersi necessariamente riferito ad una articolazione funzionalmente autonoma dell'azienda, posto che qualunque lavorazione aziendale, per poter essere ceduta, non potrebbe che preesistere al negozio traslativo, essendone il necessario oggetto contrattuale.” (Cassazione s. n. 21917/2013 – G.R. Dr.ssa Tria).
Sempre la Suprema Corte, in altra recente pronunzia: “…in virtù dell'art. 2112 c.c., deve intendersi per ramo autonomo d'azienda, come tale suscettibile di trasferimento, ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in occasione del trasferimento, conservi la propria identità. Ciò suppone – come questa S.C. ha più volte statuito (v., ex aliis, Cass. 13.10.2009 n. 21697; Cass. 9.10.2009 n. 21481; Cass. 1°.2.2008 n. 2489; Cass. 6.6.2007 n. 13270) – una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma (il requisito della preesistenza al trasferimento è espressamente previsto nel co. 5° dell'art. 2112 c.c., come sostituito dall'art. 32 co. 1° d.lg.s. n. 276/03) e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento.” (sentenza n. 20422/2012 – G.R. Manna, la Consulta; v.re anche Corte di Appello di Roma – GR Cocchia s. n. 7693/2013).
- Concludendo sul tema della preesistenza, chi scrive non può far altro che ribadire quanto ripetutamente espresso anche nelle aule di Tribunale ovvero che “l’appassionato” dibattito sulla collocazione temporale della verifica, ad opera del Giudicante, dell’autonomia funzionale del ramo, del se essa si possa fermare all’atto della cessione ovvero se debba retroagire ad epoca antecedente, sia certamente secondario posto che, pur nell’avvicendarsi delle formule, criterio immutabile per misurare l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. è, sempre e comunque, l’autonomia funzionale del ramo d’azienda trasferito. L’esame di detto pre-requisito è assorbente su ogni altra questione.
- Il Tribunale di Trento chiede inoltre alla Corte se la disciplina dell'Unione Europea “osti ad una norma interna, quale quella dettata dall’articolo 2112, comma 5, del codice civile, che consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora l’impresa cedente eserciti, dopo il trasferimento, un intenso potere di supremazia nei confronti della cessionaria che si manifesti attraverso uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa”.
Evidenziata l’estrema genericità del termine “supremazia” utilizzato dalla Corte Europea, ad avviso di chi scrive la questione non può che essere letta alla luce del caso di specie sottoposto a valutazione, ossia che la cessione del ramo di azienda “IT Operations” da parte di Telecom Italia è stata effettuata in favore di una sua controllata al 100%, la TIIT e che con questa abbia stipulato un successivo contratto di appalto.
La “supremazia”, dunque, non attiene alla fattispecie di trasferimento di parte di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., per cui resta valida l'indagine del giudice incentrata sul requisito della “articolazione funzionalmente autonoma di una preesistente attività economica organizzata“ a seconda del caso concreto.
Essa riguarda, invece, da un lato la condivisione del rischio derivante dallo stretto rapporto societario fra le due entità, che nel nostro ordinamento assume la forma di “attività di direzione e di coordinamento di società” (art. 2497 c.c.). Dall'altro ci si riferisce al rapporto di committenza, vale a dire alla successiva stipulazione, dopo la cessione, del contratto di appalto di servizi fra cedente-committente e cessionario-appaltatore.
In entrambi i casi, il nostro ordinamento concede già una certa ingerenza, purché non sfoci in una violazione, in riferimento al diritto del lavoro rispettivamente costituzione fittizia di società in occasione del trasferimento di ramo d'azienda al fine di eludere la normativa posta a tutela dei lavoratori e appalto illecito di manodopera.
Avv. Ernesto Maria Cirillo e dott.ssa Lidia Undiemi
20 marzo 2014
Nel dibattito italiano, la sentenza della Corte di Giustizia Europea (Cgue - Sentenza 6 marzo 2014 - Causa C 458/12) – stimolata da un rinvio pregiudiziale del Tribunale di Trento in merito ad un caso di cessione di ramo di azienda, ex art. 2112 c.c., tra una società controllante ed una sua controllata – rischia di essere percepita in modo errato, e quindi è bene chiarire sin da subito che questa pronuncia non mette in discussione i principi cardine della normativa nazionale (e comunitaria), ossia l'autonomia funzionale e il requisito della preesistenza della parte di azienda
ceduta.
Nello specifico, la richiesta che il Tribunale di Trento ha rivolto ai giudici di Bruxelles verte sulla possibilità di potere introdurre una normativa interna “quale quella dettata dall’articolo 2112, comma 5, del codice civile, che consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora la parte di azienda oggetto del trasferimento non costituisca un’entità economica funzionalmente autonoma già preesistente al trasferimento, tanto da poter essere identificata come tale dal cedente e dal cessionario al momento del suo trasferimento” (punto 19, sentenza), nonché se la disciplina della UE osti ad una legge interna che nelle medesime circostanze consenta all'impresa cedente di esercitare, dopo il trasferimento, “un intenso potere di supremazia nei confronti della cessionaria che si manifesti attraverso uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa” (punto 19, sentenza).
La decisione dei giudici è stata, da qualche parte, erroneamente interpretata come possibilità di potere applicare la disciplina contenuta nell'art. 2112 c.c., come novellata dalla cd. “Legge Biagi” –
di attuazione della direttiva 2001/23 che introduce una tutela specifica per i lavoratori nei casi di trasferimenti di imprese o di parti di imprese – anche nei casi di trasferimenti di parti di azienda non
dotati del requisito dell’autonomia funzionale preesistente al negozio traslativo. In realtà, la Corte sostiene, molto chiaramente, che qualora vengano attuate cessioni di rami di azienda prive dell’indispensabile requisito dell’autonomia funzionale preesistente, esse non rientrano nell’ambito
di applicazione della direttiva, e dunque dell'art. 2112.
Si legge nella motivazione della sentenza della Corte Europea:
“3 La direttiva 2001/23 ha abrogato e sostituito la direttiva 77/187/CEE del Consiglio, del 14 febbraio 1977, concernente il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri relative al mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimenti di imprese, di stabilimenti o di parti di imprese o di stabilimenti.
32 Ne consegue che, ai fini dell’applicazione di detta direttiva, l’entità economica in questione deve in particolare, anteriormente al trasferimento, godere di un’autonomia funzionale sufficiente...”.
“34 Infatti, l’impiego, al citato articolo 6, paragrafo 1, primo e quarto comma, del termine «conservi» implica che l’autonomia dell’entità ceduta deve, in ogni caso, preesistere al trasferimento”.
Ciò premesso e chiarito, la Corte Europea aggiunge:
“35 Pertanto, qualora risultasse, nel procedimento principale, che l’entità trasferita di cui trattasi non disponeva, anteriormente al trasferimento, di un’autonomia funzionale sufficiente – circostanza questa che spetta al giudice del rinvio verificare –, tale trasferimento non ricadrebbe sotto la direttiva 2001/23...”.
- A questo punto, la Corte Europea, escludendo che nel caso prospettatogli dal Tribunale di Trento, si ricada nella ipotesi disciplinata dalla direttiva 2001/23 (e, quindi, dell’art. 2112 c.c. che ha recepito detta direttiva) afferma semplicemente come non ne sia in contrasto, una normativa nazionale che, nelle ipotesi di cambiamento, da parte dei lavoratori, del datore di lavoro, ne garantisca comunque il mantenimento dei diritti introducendo, magari, anche condizioni più favorevoli.
Orbene, andando a perlustrare nel nostro ordinamento, esclusa l’ipotesi dell’art. 2112 c.c. in quanto recepisce integralmente la direttiva 2001/23 e, quindi, il requisito, non solo dell’autonomia funzionale (da sempre prescritto, anche prima della riforma del 2003), ma, a questo punto, della preesistenza anche nell’ipotesi di cessione di articolazioni dell’azienda, l’unica norma che residua, è l’articolo 1406 c.c. che disciplina l’ipotesi delle cessioni dei singoli contratti (di lavoro), ma solo previo consenso dei lavoratori trasferiti.
D’altro canto, va qui ricordato come l''art. 2112 c.c. rappresenta una deroga rispetto al principio generale contenuto nell'art. 1406 c.c., in base al quale la cessione del contratto richiede il consenso del contraente ceduto. O l'una o l'altra, insomma. La cessione del rapporto di lavoro senza il consenso dei dipendenti è, in altre parole, possibile soltanto se il ramo di azienda presenta i requisiti stabiliti dall’ 2112 c.c. che ha recepito la direttiva 2001/23, e cioè che rappresenti una “articolazione funzionalmente autonoma di un’attività economica organizzata preesistente, e che conserva nel trasferimento, la propria identità “. Questo, tuttavia, non preclude, secondo quanto si desume dalla sentenza in esame, che il legislatore nazionale possa prevedere anche l’ipotesi di cessione ad altro imprenditore, di un’articolazione di azienda “funzionalmente autonoma solo all’atto della cessione” nonché dei singoli rapporti di lavoro, con mantenimento dei diritti dei lavoratori, ma in tal caso si è fuori dall'ambito di applicazione della direttiva e dell'art. 2112 c.c., e quindi occorre il consenso del lavoratore/contraente con cui si intende sciogliere il vincolo contrattuale.
- La lettura appena fornita della pronunzia della Corte Europea, d’altronde, è perfettamente in linea con i più recenti arresti giurisprudenziali della Suprema Corte di Cassazione secondo cui:
“…Ora, in particolare dalle citate direttive CE 98/50 e 2001/23, si desume che la relativa disciplina presuppone che l'oggetto del trasferimento sia costituito da un'entità economica con propria identità funzionalmente autonoma che resti conservata anche dopo il trasferimento. Del resto, l'art. 1, lett. b), della direttiva 2001/23, stabilisce che: "è considerato come trasferimento ai sensi della presente direttiva quello di un'entità economica che conserva la propria identità, intesa come insieme di mezzi organizzati al fine di svolgere un'attività economica, sia essa essenziale o accessoria".7.2.- Ne consegue che, nonostante talune difformi opinioni basate sul dato letterale della non menzione, nelle direttive comunitarie, del concetto di preesistenza, l'entità economica trasferita deve in realtà ritenersi preesistente al trasferimento, visto che le stesse direttive fanno espresso riferimento alla conservazione dell'identità ed è evidente come non possa conservarsi quel che non c'è (vedi, fra le altre: Cass. 21 novembre 2012, n. 20422; n. 21711/2012; Cass. 4 dicembre 2012, n. 21710; Cass. 13 ottobre 2009 n. 21697). 7.3.- Il concetto di preesistenza deve poi ritenersi necessariamente riferito ad una articolazione funzionalmente autonoma dell'azienda, posto che qualunque lavorazione aziendale, per poter essere ceduta, non potrebbe che preesistere al negozio traslativo, essendone il necessario oggetto contrattuale.” (Cassazione s. n. 21917/2013 – G.R. Dr.ssa Tria).
Sempre la Suprema Corte, in altra recente pronunzia: “…in virtù dell'art. 2112 c.c., deve intendersi per ramo autonomo d'azienda, come tale suscettibile di trasferimento, ogni entità economica organizzata in maniera stabile che, in occasione del trasferimento, conservi la propria identità. Ciò suppone – come questa S.C. ha più volte statuito (v., ex aliis, Cass. 13.10.2009 n. 21697; Cass. 9.10.2009 n. 21481; Cass. 1°.2.2008 n. 2489; Cass. 6.6.2007 n. 13270) – una preesistente realtà produttiva funzionalmente autonoma (il requisito della preesistenza al trasferimento è espressamente previsto nel co. 5° dell'art. 2112 c.c., come sostituito dall'art. 32 co. 1° d.lg.s. n. 276/03) e non anche una struttura produttiva creata ad hoc in occasione del trasferimento.” (sentenza n. 20422/2012 – G.R. Manna, la Consulta; v.re anche Corte di Appello di Roma – GR Cocchia s. n. 7693/2013).
- Concludendo sul tema della preesistenza, chi scrive non può far altro che ribadire quanto ripetutamente espresso anche nelle aule di Tribunale ovvero che “l’appassionato” dibattito sulla collocazione temporale della verifica, ad opera del Giudicante, dell’autonomia funzionale del ramo, del se essa si possa fermare all’atto della cessione ovvero se debba retroagire ad epoca antecedente, sia certamente secondario posto che, pur nell’avvicendarsi delle formule, criterio immutabile per misurare l’applicabilità dell’art. 2112 c.c. è, sempre e comunque, l’autonomia funzionale del ramo d’azienda trasferito. L’esame di detto pre-requisito è assorbente su ogni altra questione.
- Il Tribunale di Trento chiede inoltre alla Corte se la disciplina dell'Unione Europea “osti ad una norma interna, quale quella dettata dall’articolo 2112, comma 5, del codice civile, che consente la successione del cessionario nei rapporti di lavoro del cedente, senza necessità del consenso dei lavoratori ceduti, anche qualora l’impresa cedente eserciti, dopo il trasferimento, un intenso potere di supremazia nei confronti della cessionaria che si manifesti attraverso uno stretto vincolo di committenza ed una commistione del rischio di impresa”.
Evidenziata l’estrema genericità del termine “supremazia” utilizzato dalla Corte Europea, ad avviso di chi scrive la questione non può che essere letta alla luce del caso di specie sottoposto a valutazione, ossia che la cessione del ramo di azienda “IT Operations” da parte di Telecom Italia è stata effettuata in favore di una sua controllata al 100%, la TIIT e che con questa abbia stipulato un successivo contratto di appalto.
La “supremazia”, dunque, non attiene alla fattispecie di trasferimento di parte di azienda ai sensi dell'art. 2112 c.c., per cui resta valida l'indagine del giudice incentrata sul requisito della “articolazione funzionalmente autonoma di una preesistente attività economica organizzata“ a seconda del caso concreto.
Essa riguarda, invece, da un lato la condivisione del rischio derivante dallo stretto rapporto societario fra le due entità, che nel nostro ordinamento assume la forma di “attività di direzione e di coordinamento di società” (art. 2497 c.c.). Dall'altro ci si riferisce al rapporto di committenza, vale a dire alla successiva stipulazione, dopo la cessione, del contratto di appalto di servizi fra cedente-committente e cessionario-appaltatore.
In entrambi i casi, il nostro ordinamento concede già una certa ingerenza, purché non sfoci in una violazione, in riferimento al diritto del lavoro rispettivamente costituzione fittizia di società in occasione del trasferimento di ramo d'azienda al fine di eludere la normativa posta a tutela dei lavoratori e appalto illecito di manodopera.
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