Cibo, Gratificazione, Craving
Il cibo è grandemente legato al piacere. Fame e piacere del cibo sono fenomeni diversi. Mangiare sano significa anche rieducare al piacere del cibo

Provare piacere nel mangiare ("gratificazione") è un meccanismo fisiologico legato ad un istinto primario, che, assieme ad altre forme di piacere, ha garantito per centinaia di migliaia di anni la sopravvivenza della specie umana. Ma gli sviluppi culturali e sociali avvenuti in epoca storica hanno fatto si che esso non sia più un fenomeno unitario. Indubbiamente il livello di base è quello fisiologico legato al piacere di far cessare la fame, ma a questo si sono sovrapposti livelli via via più elevati. Innanzitutto la consapevolezza del piacere che si prova nel mangiare cibi che ci piacciono può indurre a ripeterne l’assunzione anche in assenza di fame. Meccanismo abilmente sfruttato dalla pubblicità (ad esempio: "Non è proprio fame, è voglia di qualcosa di buono"). A questo proposito va citata un’interessante ricerca (1) che evidenzia come il seguire una "dieta" o la vera e propria "limitazione" di un cibo che ci piace fa aumentare il "craving" (desiderio incontrollabile) per quel cibo, invece il digiuno e la fame vera e propria lo fanno diminuire. Segno che fame e "craving" per un cibo che ci piace, sono due cose diverse. Il concetto di "craving" è familiare a chi studia la dipendenza da alcool o da droghe, e in quel caso si ritiene che esso sia legato anche alle caratteristiche chimiche della sostanza in questione - è il caso di quella che chiamiamo "dipendenza fisica" -, ma nel caso del cibo, in questa ricerca si sostiene che nessun cibo produca dipendenza fisica (cioè legata alle caratteristiche chimiche del cibo) ma che possa produrre solo un "craving psicologico", cioè legato alla "struttura mentale della persona".
Che cosa intendiamo per "struttura mentale della persona"?
Un’interessante teoria, la "Theory of Planned Behaviour" o "TPB" (Teoria del Comportamento Pianificato) (2), rifacendosi ad un concetto caro alla psicologia "cognitivo-comportamentale", e cioè che i nostri comportamenti sono determinati da "credenze" soggettive più che da valutazioni obiettive, indica tre tipi di "credenze" (beliefs) a cui ricorriamo quando dobbiamo fare qualcosa:
1. le Credenze Comportamentali (Attitudes): cioè quanto uno "crede" di poter o non poter attuare un dato comportamento con successo. L’insieme di queste credenze costituisce l’atteggiamento.
2. Le Credenze Normative (Subjective Norms SN): cioè quanto uno percepisce che un dato comportamento sia "approvato" o "non approvato" dai suoi cari e dal contesto sociale e quanto sia disposto a comportarsi di conseguenza.
3. Le credenze sul Controllo (Perceived Behavioural Control PBC): cioè quanto uno crede di poter avere la situazione sotto controllo attuando un dato comportamento.
Va ricordato che le "credenze" non corrispondono necessariamente alla realtà oggettiva, ma nel determinare il nostro comportamento possono essere molto più importanti di essa.
Ora, se trasferiamo questi concetti all’alimentazione, vediamo che quest’insieme di credenze può condizionare pesantemente le nostre abitudini alimentari e l’appetibilità del cibo.
L’atteggiamento (credenze comportamentali) può anche essere fortemente "aprioristico", fino a rappresentare un vero e proprio "pregiudizio" sia in favore che contro determinati cibi o abitudini alimentari.
L’influenza degli altri (credenze normative) produce forti emozioni sia positive che negative, specie nell’infanzia, e stabilisce ricordi molto duraturi, rispetto all’accettabilità e appetibilità o meno di un cibo o di una condotta alimentare. Può inoltre alimentare forti "sensi di colpa" verso condotte in cui c’è una "dissonanza cognitiva", ovvero in cui coesistono due pensieri egualmente importanti e fortemente discordanti tra loro (la marmellata mi piaceva da morire, ma la mamma mi sgridava se la mangiavo, perché mi faceva male).
La percezione della propria capacità di controllare gli eventi (credenze sul controllo) infine può produrre forti insicurezze e molte "manovre di evitamento", come ad esempio la classica paura di ingrassare, oppure di stare male, o più semplicemente la paura di non riuscire a fermarsi dopo aver iniziato (proverbiale con le ciliegie, ma accade più spesso con le patatine, i biscotti, o la cioccolata, ecc.)
Nella scelta dei cibi che piacciono (ma anche di quelli che non piacciono) gioca spesso quindi un ruolo il ricordo di passate emozioni positive (o negative). Infine giocano un ruolo, talvolta importante, sia la presenza di relazioni positive (o negative) con persone significative, specialmente se si tratta di figure parentali nell’infanzia o adolescenza, sia le consuetudini consolidate (la "tradizione").
Questi fattori generalmente non sono coscienti, e i "gusti" di una persona vengono perlopiù giustificati con il "carattere" dell’individuo assegnandovi così una causa "genetica". In realtà l’influenza genetica in queste scelte, pur presente, è molto più ridotta di quanto non si creda.
Più complicato (e indiretto) è quel meccanismo di gratificazione, che potremmo chiamare con una certa approssimazione, "ideologico". Una persona può anche provare piacere ad uniformarsi ad una propria concezione teorica, ad un’idea ritenuta giusta, o necessaria, anche quando questa entra in conflitto con una più immediata esperienza di piacere. Su questo meccanismo si basa il cosiddetto "piacere della rinuncia", che spesso è alla base di taluni comportamenti definiti "anoressici", talvolta legati ad un elevato livello di perfezionismo e di competizione per lo "status" sociale, (3). Certamente è alla base di quel fenomeno che chiamiamo "ascetismo". Questo meccanismo può però anche essere utilizzato positivamente nel perseguire comportamenti di "alimentazione sana". Ma di questo parleremo più in dettaglio in eBook successivi.
David J. Linden nel suo libro omonimo (4), parla della "bussola del piacere", che ha sede in un insieme di neuroni e di connessioni cerebrali chiamato "reward system" (sistema della ricompensa).
"...Condividiamo questa bussola anche con altre specie, ma solo la nostra riesce a ricavare piacere da attività non collegate in modo diretto alla propria sopravvivenza. Questa peculiarità porta la neurobiologia del piacere a invadere prepotentemente la sfera sociale..."
Cioè il piacere, da istinto primario per la sopravvivenza, può trasformarsi in un’esperienza complessa, un insieme di comportamenti idealizzati, una situazione strutturata, rinforzata da ricordi di precedenti esperienze positive, evocata dall’essere in relazione con altre persone, al limite può diventare un’esperienza del tutto astratta.
Ne sono esempi il sesso che si fa erotismo, il cibo che si fa banchetto, il bere sociale, il desiderio incoercibile (craving) della droga quando ci si trova nel gruppo dei pari, fino al già citato "piacere della rinuncia al piacere" in nome di un’idea superiore, di una convinzione più forte, come ad esempio un anomalo ideale di magrezza, nel caso dell’anoressia.
L’assunzione di cibo può infine diventare, e spesso accade, una gratificazione compulsiva e irrazionale per compensare uno stato di frustrazione dovuto a cause non alimentari. Quella che la gente chiama "fame nervosa".
1. A. J. Hill, Symposium on ‘Molecular mechanisms and psychology of food intake’ The psychology of food craving. Proc Nutr Soc, 2007; 66: 277-285
2. S. K. Riebl , P. A. Estabrooks, J. C. Dunsmore, J. Savla, M. I. Frisard, A. M. Dietrich, Y. Peng , X. Zhang, B. M. Davy, A systematic literature review and meta-analysis: The Theory of Planned Behavior's application to understand and predict nutrition-related behaviors in youth. Eat Behav , 2015; 18: 160-178
3. L.M. Faer, A. Hendriks, R.T. Abed, A.J. Figueredo, The evolutionary psychology of eating disorders: female competition for mates or for status? Psychol Psychother, 2005; 78: 397-417.
4. D. J. Linden, La bussola del piacere. Codice Ed. 2012
Che cosa intendiamo per "struttura mentale della persona"?
Un’interessante teoria, la "Theory of Planned Behaviour" o "TPB" (Teoria del Comportamento Pianificato) (2), rifacendosi ad un concetto caro alla psicologia "cognitivo-comportamentale", e cioè che i nostri comportamenti sono determinati da "credenze" soggettive più che da valutazioni obiettive, indica tre tipi di "credenze" (beliefs) a cui ricorriamo quando dobbiamo fare qualcosa:
1. le Credenze Comportamentali (Attitudes): cioè quanto uno "crede" di poter o non poter attuare un dato comportamento con successo. L’insieme di queste credenze costituisce l’atteggiamento.
2. Le Credenze Normative (Subjective Norms SN): cioè quanto uno percepisce che un dato comportamento sia "approvato" o "non approvato" dai suoi cari e dal contesto sociale e quanto sia disposto a comportarsi di conseguenza.
3. Le credenze sul Controllo (Perceived Behavioural Control PBC): cioè quanto uno crede di poter avere la situazione sotto controllo attuando un dato comportamento.
Va ricordato che le "credenze" non corrispondono necessariamente alla realtà oggettiva, ma nel determinare il nostro comportamento possono essere molto più importanti di essa.
Ora, se trasferiamo questi concetti all’alimentazione, vediamo che quest’insieme di credenze può condizionare pesantemente le nostre abitudini alimentari e l’appetibilità del cibo.
L’atteggiamento (credenze comportamentali) può anche essere fortemente "aprioristico", fino a rappresentare un vero e proprio "pregiudizio" sia in favore che contro determinati cibi o abitudini alimentari.
L’influenza degli altri (credenze normative) produce forti emozioni sia positive che negative, specie nell’infanzia, e stabilisce ricordi molto duraturi, rispetto all’accettabilità e appetibilità o meno di un cibo o di una condotta alimentare. Può inoltre alimentare forti "sensi di colpa" verso condotte in cui c’è una "dissonanza cognitiva", ovvero in cui coesistono due pensieri egualmente importanti e fortemente discordanti tra loro (la marmellata mi piaceva da morire, ma la mamma mi sgridava se la mangiavo, perché mi faceva male).
La percezione della propria capacità di controllare gli eventi (credenze sul controllo) infine può produrre forti insicurezze e molte "manovre di evitamento", come ad esempio la classica paura di ingrassare, oppure di stare male, o più semplicemente la paura di non riuscire a fermarsi dopo aver iniziato (proverbiale con le ciliegie, ma accade più spesso con le patatine, i biscotti, o la cioccolata, ecc.)
Nella scelta dei cibi che piacciono (ma anche di quelli che non piacciono) gioca spesso quindi un ruolo il ricordo di passate emozioni positive (o negative). Infine giocano un ruolo, talvolta importante, sia la presenza di relazioni positive (o negative) con persone significative, specialmente se si tratta di figure parentali nell’infanzia o adolescenza, sia le consuetudini consolidate (la "tradizione").
Questi fattori generalmente non sono coscienti, e i "gusti" di una persona vengono perlopiù giustificati con il "carattere" dell’individuo assegnandovi così una causa "genetica". In realtà l’influenza genetica in queste scelte, pur presente, è molto più ridotta di quanto non si creda.
Più complicato (e indiretto) è quel meccanismo di gratificazione, che potremmo chiamare con una certa approssimazione, "ideologico". Una persona può anche provare piacere ad uniformarsi ad una propria concezione teorica, ad un’idea ritenuta giusta, o necessaria, anche quando questa entra in conflitto con una più immediata esperienza di piacere. Su questo meccanismo si basa il cosiddetto "piacere della rinuncia", che spesso è alla base di taluni comportamenti definiti "anoressici", talvolta legati ad un elevato livello di perfezionismo e di competizione per lo "status" sociale, (3). Certamente è alla base di quel fenomeno che chiamiamo "ascetismo". Questo meccanismo può però anche essere utilizzato positivamente nel perseguire comportamenti di "alimentazione sana". Ma di questo parleremo più in dettaglio in eBook successivi.
David J. Linden nel suo libro omonimo (4), parla della "bussola del piacere", che ha sede in un insieme di neuroni e di connessioni cerebrali chiamato "reward system" (sistema della ricompensa).
"...Condividiamo questa bussola anche con altre specie, ma solo la nostra riesce a ricavare piacere da attività non collegate in modo diretto alla propria sopravvivenza. Questa peculiarità porta la neurobiologia del piacere a invadere prepotentemente la sfera sociale..."
Cioè il piacere, da istinto primario per la sopravvivenza, può trasformarsi in un’esperienza complessa, un insieme di comportamenti idealizzati, una situazione strutturata, rinforzata da ricordi di precedenti esperienze positive, evocata dall’essere in relazione con altre persone, al limite può diventare un’esperienza del tutto astratta.
Ne sono esempi il sesso che si fa erotismo, il cibo che si fa banchetto, il bere sociale, il desiderio incoercibile (craving) della droga quando ci si trova nel gruppo dei pari, fino al già citato "piacere della rinuncia al piacere" in nome di un’idea superiore, di una convinzione più forte, come ad esempio un anomalo ideale di magrezza, nel caso dell’anoressia.
L’assunzione di cibo può infine diventare, e spesso accade, una gratificazione compulsiva e irrazionale per compensare uno stato di frustrazione dovuto a cause non alimentari. Quella che la gente chiama "fame nervosa".
1. A. J. Hill, Symposium on ‘Molecular mechanisms and psychology of food intake’ The psychology of food craving. Proc Nutr Soc, 2007; 66: 277-285
2. S. K. Riebl , P. A. Estabrooks, J. C. Dunsmore, J. Savla, M. I. Frisard, A. M. Dietrich, Y. Peng , X. Zhang, B. M. Davy, A systematic literature review and meta-analysis: The Theory of Planned Behavior's application to understand and predict nutrition-related behaviors in youth. Eat Behav , 2015; 18: 160-178
3. L.M. Faer, A. Hendriks, R.T. Abed, A.J. Figueredo, The evolutionary psychology of eating disorders: female competition for mates or for status? Psychol Psychother, 2005; 78: 397-417.
4. D. J. Linden, La bussola del piacere. Codice Ed. 2012
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