Collazione per imputazione delle donazioni e atti di divisione

La Risoluzione n. 250249 del 12.5.1987 della Direzione Generale Tasse e Imposte Indirette sugli Affari specificava che “l’istituto della collazione non rileva in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell’asse ereditario e nel calcolo delle quote su cui verranno applicate le aliquote d’imposta” con la conseguenza che le quote di diritto dei condividenti vanno calcolate sulla base del valore dell’asse ereditario netto senza tener conto delle donazioni precedenti fatte in vita dal de cuius.
Considerato che negli ultimi tempi si verifica spesso l'ipotesi di divisione di comunioni ereditarie con la contestuale presenza di donazioni precedenti oggetto di collazione per imputazione, si ritiene utile esaminare tale fattispecie, proponendo diverse ipotesi risolutive.
Prima di entrare nel merito della disamina del problema è opportuno richiamare le disposizioni del codice civile che si occupano della collazione di donazione ed i relativi riflessi nel campo fiscale.
In realtà la collazione trova la sua ragion d’essere nell’obbligo di rispettare le quote di legittima che competono agli eredi cosiddetti legittimari: il coniuge, gli ascendenti ed i figli, secondo quanto previsto dall’art. 536 c.c. nella sua versione modificata dal D.lgs. 154 del 28.12.2013 con decorrenza 7.2.2014 (in precedenza l’art.536 usava i termini di figli legittimi e figli naturali). Le quote di legittima riservate dalla legge differiscono a seconda del concorso con altri eredi legittimari, secondo la seguente tabella riassuntiva:
Parenti del defunto alla data di apertura della successione |
Quota di riserva (legittima) |
Quota Disponibile |
UN SOLO FIGLIO |
1/ 2 |
1/2 |
PIÙ FIGLI |
2/3 |
1/3 |
SOLO ASCENDENTI |
1/3 |
2/3 |
CONIUGE E 1 FIGLIO |
1/3 al coniuge 1/3 al figlio |
1/3 |
CONIUGE E PIÙ FIGLI |
1/4 al coniuge 1/2 ai figli |
1/4 |
CONIUGE E ASCENDENTI |
1/ 2 al coniuge 1/ 4 agli ascendenti |
1/4 |
CONIUGE |
1/ 2 |
1/ 2 |
Fatta questa premessa, va detto che l’istituto della collazione trova ingresso solo per verificare l’eventuale violazione, dopo l’apertura della successione, delle suddette quote di riserva, sia nell’ipotesi di successione testamentaria che di successione legittima, in presenza di donazioni precedenti.
Infatti, l’art. 737 c.c. obbliga i legittimari a conferire (fittiziamente) nella massa ereditaria tutto ciò che è stato ricevuto dal defunto per donazione diretta o indiretta, salvo che via sia stata dispensa dalla collazione, con valore limitato alla quota disponibile.
Gli articoli successivi si occupano di situazioni particolari, quali l’esclusione da collazione di donazioni di modico valore fatte al coniuge o quelle fatte al coniuge o ai discendenti degli eredi o le spese di mantenimento ed educazione o le liberalità remuneratorie per compensare particolari meriti del donatario o per riconoscenza.
Particolare rilievo assumono le collazioni di donazioni aventi ad oggetto beni immobili. Infatti, l’art. 746 prevede che in tali casi la collazione si fa o col rendere il bene in natura o con l’imputarne il valore della propria porzione avendo riguardo al valore dell’immobile alla data di apertura della successione (art. 747).
In realtà proprio la donazione di beni immobili appare di assoluto rilievo allorché i comproprietari di beni ereditari decidano di porre fine allo stato di comunione e di procedere alla divisione, individuando i singoli beni da assegnare ad essi condividenti.
Infatti, secondo l'art. 34 del D.P,R, 131/86 “La divisione con la quale ad un condividente sono assegnati beni per un valore complessivo eccedente quello a lui spettante sulla massa comune, è considerata vendita limitatamente alla parte eccedente” con l'applicazione delle imposte proprie dei trasferimenti immobiliari per questa parte eccedente invece della sola aliquota dell'1% sulla massa prevista per gli atti di natura dichiarativa come vengono considerate le divisioni senza conguaglio.
E', pertanto, evidente che risulterà particolarmente importante determinare il valore della massa da dividere per individuare le singole quote di fatto e quelle di diritto. In proposito il citato art. 34 del D.P.R. 131/86 prevede al comma 1 che “la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore, riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione...”. In sostanza per applicare l'imposta di registro si deve fare riferimento alla base imponibile prevista per l'imposta di successione, secondo quanto previsto dall'art. 8 del D.lgs. 346/90. Il primo comma di tale articolo prevede che “il valore globale netto dell'asse ereditario è costituito dalla differenza tra il valore complessivo, alla data di apertura della successione, dei beni e diritti che compongono l'attivo ereditario ...e l'ammontare complessivo delle passività deducibili”.
Il successivo quarto comma poi specifica che “il valore globale dell'asse ereditario è maggiorato, ai soli fini della determinazione delle aliquote applicabili...di un importo pari al valore attuale complessivo di tutte le donazioni fatte dal defunto agli eredi e legatari...”.
Non rientrando, pertanto, nella base imponibile per l'imposta di successione, le donazioni precedenti non vengono considerate nella determinazione della massa comune da dividere.
A tale proposito si presentano alcune obiezioni.
In primo luogo una siffatta interpretazione contrasta con il codice civile che, come visto innanzi, obbliga i soggetti destinatari di donazioni fatte in vita dal de cuius ad inserire, con riunione fittizia, i beni donati, tenendo conto del loro valore alla data di apertura della successione, per verificare la sussistenza o meno della lesione di legittima. Non solo, tali beni, anche se non tassati nuovamente come imposta di successione, incidono nella determinazione delle aliquote e, dopo le modifiche operate dalla legge 342 del 2000, nella individuazione delle franchigie. In sostanza, oltre a costituire una necessaria inclusione tra i condividenti del valore complessivo da dividere, comportano, sia pure indirettamente, una diversa tassazione, rispetto all'ipotesi in cui non sussistano donazioni precedenti.
Del resto la Risoluzione sopra riportata è stata emessa proprio in risposta ad una interpretazione data da un Ispettorato Compartimentale delle Tasse il quale riteneva che il riferimento fatto dall'art. 34 del D.P.R. 131/86 ai “beni esistenti alla data di apertura della successione” avrebbe dovuto essere interpretato “ alla luce della disciplina civilistica in materia di divisioni ereditarie con donazioni soggette a collazione”. A conferma di tale tesi veniva riportato l'esempio di due condividenti a seguito di successione ove veniva considerata la donazione di L. 10.000.000 a favore di uno dei due, con un asse ereditario di L. 20.000.000. Nell'atto di divisione venivano formate due quote di L 15.000.000 ciascuno, senza alcun conguaglio divisionale, posto che al condividente che non aveva ricevuto la donazione venivano assegnati beni per il valore di L. 15.000.000 mentre all'altro il residuo di L. 5.000.000 che, sommato alla precedente donazione, corrispondeva alla quota di diritto.
La Direzione Generale Tasse e Imposte Indirette sugli Affari non condivideva la tesi dell'Ispettorato con una interpretazione letterale della norma che, come detto innanzi, faceva riferimento al “valore determinato a norma dell'imposta di successione”.
Sulla stessa linea anche la pronunzia della Corte di Cassazione con la sentenza n. 8335 del 10.4.2006 con la quale si ribadisce che, poiché il valore delle donazioni veniva aggiunto al valore dell'asse ereditario globale netto ai soli fini della determinazione delle aliquote, l'istituto della collazione non rilevava in alcun modo nella determinazione del valore imponibile dell'asse ereditario, con la conseguenza che “gli stessi principi debbono essere applicati, in base al rinvio operato dall'art. 34 del D.P.R. 131/86 anche per la individuazione della massa comune ereditaria sulla quale verranno calcolate le quote di diritto”.
Come già detto innanzi le due pronunzie, amministrative e giudiziarie, derivano da una interpretazione strettamente letterale della norma fiscale, non tenendo in alcun conto il contrasto esistente tra questa e quella civilistica. Per meglio comprendere tale situazione è sufficiente riprendere l'esempio riportato nella risoluzione sopra citata, dove due fratelli si dividono un patrimonio relitto di L 20.000.000, considerando L.10.000.000 di donazione precedente ed ottenendo uno il valore di L 15.000.000 e l'altro di L.5.000.000 che sommato alla donazione fa rispettare la quota di diritto di L. 15.000.000.
Non considerando la donazione, la divisione dovrebbe riferirsi a due quote di L 10.000.000 ciascuno, in maniera tale da non far scaturire conguagli. Tuttavia in tal modo, se pure non vi sarebbe lesione di legittima, considerando il valore della donazione come quota disponibile, uno dei due fratelli prenderebbe il doppio dell'altro con notevoli ripercussioni nei rapporti familiari, mentre con l'imputazione della collazione ognuno dei due condividenti prenderebbe esattamente il 50% del patrimonio paterno.
In tale contesto si possono prospettare due soluzioni:
a) Con un intervento legislativo si modifichi il primo comma dell'art. 34 del D.P.R. 131/1986 nel seguente modo: “...la massa comune è costituita nelle comunioni ereditarie dal valore. Riferito alla data della divisione, dell'asse ereditario netto determinato a norma dell'imposta di successione, comprese le donazioni soggette a collazione...”.
b) Con una specifica circolare l'Agenzia delle Entrate autorizzi a tener conto, negli atti di divisione provenienti da comunione ereditaria, anche del valore delle donazioni precedenti nelle ipotesi in cui vengano imputate da condividenti.
Tanto nel rispetto della conciliazione tra norme civilistiche e fiscali e per una corretta equità fiscale, tale da non onerare maggiormente i contribuenti che si trovano nelle condizioni sopra riportate.
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