Come affronti le tue battaglie?


L’atteggiamento giusto per tirar fuori risorse e soluzioni
Come affronti le tue battaglie?
C’è un vocabolo inglese che indica le modalità con cui le persone affrontano le proprie personali battaglie: coping.
Gli studi sull’argomento hanno preso il via da eventi particolarmente traumatici come le guerre, per poi focalizzarsi sul contesto lavorativo e familiare. Oggi siamo consapevoli che le reazioni alle sfide non dipendono solo da fattori legati all’individuo ma anche all’ambiente.
In un’azienda nella quale l’errore è visto come un peccato mortale e la cultura diffusa scoraggia la creatività, molti saranno restii a proporre soluzioni fantasiose: l’autocensura regnerà sovrana!
La cultura organizzativa, o di quella specifica relazione tra due o più persone, conta molto. In generale, però, dinanzi a richieste particolarmente gravose (Lazarus 1991) vi sono quattro macrocategorie di risposte:

- Ruminazione: consiste nel tenere a mente i pensieri come gli erbivori tengono il cibo in bocca. Blocca la ricerca della soluzione, sollecita auto afflizione per ogni genere di colpa e può essere contagiosa: distribuirsi nel gruppo di lavoro.

- Procrastinazione o evitamento: è la strategia di chi attende che le cose si sistemino da sole o che qualcuno possa metterci mano. Il che non vuol dire prendersi una pausa e allontanarsi dal problema per recuperare ossigeno, ma ignorare la tematica con la speranza che quest’ultima ignori noi.

- Supporto sociale: è il sostegno dato dai legami con le altre persone per confidarsi, avere un consiglio, ottenere informazioni, sollecitare un’altra lettura dell’evento. Può aiutare a metterci nel giusto stato d’animo e sollecitare alternative.

- Problem solving: è la ricerca attiva di soluzioni, un processo strutturato che diviene naturale con l’allenamento. Implica un buon controllo della situazione, la capacità di ristrutturare l’evento, raccogliere ed organizzare le risorse.


Non si tratta solo di cercare un diverso punto di vista ma una visione differente: vuol dire riuscire a scorgere o attribuire un significato ulteriore a ciò che sta accadendo. Tale alternativa è facilitata dalla convinzione che "c’è sempre un altro modo per affrontare la questione".
Al di là delle singole strategie di problem solving conta l’atteggiamento verso il problema, la volontà di alzare l’asticella delle competenze, il modo in cui guardiamo agli errori, la capacità di usare le domande. Ne suggerisco solo due. La più stramba ma particolarmente efficace è di Sir John Whitmore: "se conoscessi già la soluzione, quale sarebbe?". Tolto l’imbarazzo iniziale per l’apparente banalità del quesito, possiamo trovare mille circostanze in cui sapevamo benissimo come risolvere il dilemma ma non volevamo vedere o prendere la via d’uscita.
L’altra offre la possibilità di costruire un contesto favorevole alla ricerca di nuove opzioni rispetto alla tentazione naturale di considerare ogni sfida come una guerra: "se potessi vederla in modo diverso da una battaglia, cosa sarebbe?"
Tutta la vita è allenamento.

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di Armando Floris

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