Come sopravvivere allo spread e ai media


Il boom dello spread e i titoli allarmistici dei media
Come sopravvivere allo spread e ai media
Nell’ultimo mese abbiamo assistito ad crollo del valore nominale dei nostri titoli di Stato dovuto ad un improvviso innalzamento dei rendimenti sia di lungo che di breve periodo, una situazione già osservata, anche se in maniera molto più drammatica, nel 2011 anno in cui il differenziale dal bund tedesco arrivò a superare i 500 punti.
Questo improvviso "crollo" si è verificato in concomitanza con l’incertezza politica causata dal nuovo governo M5S/Lega e con la candidatura dei nuovi ministri, alcuni notoriamente avversi all’Euro. Insieme a questi movimenti di mercato sono prontamente riapparsi i titoli allarmistici e sensazionalistici dei giornali che parlavano di crisi del debito italiano, di collasso del sistema bancario e del "famigerato" SPREAD. In queste fasi si tende spesso ad abusare di questo termine associando una crisi del Paese appunto all’innalzamento di questo parametro che indica semplicemente il differenziale tra il rendimento dei titoli di Stato decennali italiani da quelli tedeschi, presi come riferimento per indicare i titoli privi di rischio.

Cerchiamo quindi di sfatare questi falsi miti e soprattutto di calmierare l’allarmismo creato dai media. Lo sprerad non impatta sui conti dello Stato nel breve termine. L’innalzamento dei rendimenti è vero che indica una minore fiducia nella capacità di ripagare i debiti del nostro Paese, ma è spesso dettato in larga parte dalla speculazione e dagli algoritmi di trading degli investitori istituzionali. Questi movimenti così forti si riassorbono spesso in pochi mesi non impattando minimamente sui conti pubblici appunto e andando ad interessare solamente le nuove emissioni di Bot e Btp. Spesso l’interesse di chi genera questi movimenti è proprio quello di creare un cosiddetto panic selling in modo da poter poi sfruttare queste occasioni di acquisto di breve periodo.

Se proviamo ad osservare la situazione a mente fredda e con occhi distaccati notiamo come, nonostante tutto, i conti pubblici siano in miglioramento ed il Paese stia da diversi mesi registrando una crescita lenta ma costante, con una diminuzione decisa della disoccupazione. Non ci sono quindi i fondamentali perché i nostri Btp debbano passare in poche settimane da un rendimento del 1,70% a quello del 3,40% se non appunto quello della speculazione dei grossi investitori istituzionali che muovono i mercati. Certo, i punti di preoccupazione esistono: la fine del QE da parte di Mario Draghi e il termine del suo mandato, la scelta della politica economica ed estera del nostro nuovo governo, nonché un possibile ritracciamento dei mercati statunitensi, ai massimi da diversi mesi, con un concomitante flight to quality, una ricerca cioè di titoli a basso rischio a discapito di quelli più volatili (appunto azioni e titoli di Stato periferici). Questi però, secondo il mio parere, non sono ostacoli che andranno a minare la crescita e la solidità del Paese nel medio periodo e quindi la nostra capacità di far fronte ai debiti contrati.
Se da un lato quindi lo spread non è un parametro che deve eccessivamente preoccupare, lo è in maniera molto maggiore l’indice d’inflazione in Usa e nell’area euro. Oltre infatti a possibili problematiche geo-politiche, dal punto di vista dei fondamentali economici, sarà appunto questo il fattore che a mio parere potrà maggiormente portare a brusche discese sia dei corsi azionari che di quelli obbligazionari. Un eventuale innalzamento di questo parametro porterà in maniera naturale ad un rialzo dei tassi d’interesse con immancabili conseguenza negative sia sui prezzi dei Bond di medio-lungo periodo che probabilmente anche sui prezzi azionari.

Fino a quando il rialzo dei tassi sarà ancora lontano a causa della bassa inflazione, ogni discesa azionaria o movimento inaspettato dei rendimenti obbligazionari non potranno essere a mio parere che occasioni di acquisto, poiché la logica conseguenza di questa crescita economica costante in regime di bassi tassi d’interesse e volatilità, non può che sfociare in continui acquisti sui mercati azionari da parte dei grandi investitori istituzionali a caccia di rendimenti.

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di Matteo Daolio

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