Come tutelare le disabilità di tutti nelle strutture ricettive


Gli ospiti degli alberghi non sono mai gli stessi. Cambiano in continuazione. Per ognuno di loro occorrerà rendere immediatamente percepibili gli ambienti
Come tutelare le disabilità di tutti nelle strutture ricettive

La “disabilità” ovvero le “abilità limitate” sono termini ed espressioni che stanno diventando sempre più di comune conoscenza e, purtroppo, esperienza.

Si parla di “normale abilità” quando il soggetto è in grado di effettuare tutte le operazioni previste, in condizioni di normali attività da parte del comune cittadino.
Diversa è, invece, la situazione in cui un soggetto, avente limitata disponibilità del proprio movimento, si trovasse a dover superare situazioni difficili, non previste e non prevedibili.

Per quanto riguarda la tutela delle libertà di movimento delle persone con abilità limitata, sappiamo che la legislazione italiana e, in genere, di tutto il mondo, prevede regole e dà indicazioni per rendere meno grave la difficoltà soggettiva.

In Italia, a partire dal DM 236/89, si sono susseguite norme ed indicazioni sulle buone regole da seguire nelle progettazioni ed attuazioni, per ridurre il disagio per i portatori di disabilità.

Purtroppo, la loro applicazione è assai carente e fantasiosa. Molto spesso ci si imbatte in situazioni che hanno, di concreto, solo il simbolo sulla porte delle toilettes per i disabili, ma che non sono assolutamente rispettose delle esigenze degli utenti destinatari.

In questo non si può non vedere la malafede in quegli operatori che, avendo istallato un lavabo e un water a norma, vogliono far vedere di aver assolto all’obbligo ma, in effetti, non hanno posto in essere alcuna soluzione per agevolare il vero destinatario portatore di disabilità.

Non si può non pensare ad una volontà di bypassare la norma, con la complicità dei tecnici e dei controllori.

É da sperare che queste situazioni scompaiano del tutto, nell’interesse dell’intera comunità che, purtroppo, dimostra assoluta indifferenza rispetto a situazioni critiche di alcuni.

Guardando, però, il problema nella sua complessità, non si può non constatare la superficialità con cui il problema viene eticamente e socialmente affrontato.

Una particolare attenzione va posta al caso degli alberghi.

Perché, gli alberghi.

Le persone che frequentano questi luoghi non sono mai le stesse. Cambiano in continuazione e, per ognuno di loro, l’ambiente è nuovo.
Un esempio che serva a dare luce al problema: i bagni.

A casa, ognuno è abituato alla scivolosità della pavimentazione, alla presenza di una mensola sul lavabo, alla morfologia della rubinetteria, alle caratteristiche di scivolosità del piatto doccia o della vasca, alla posizione degli interruttori o altro.
Ognuna di queste caratteristiche, nel bagno dell’albergo, può costituire un’insidia.

Alcuni esempi:
•    la mensola del bagno, può costituire una insidia per la testa, nell’abbassarsi per lavare il viso:  a casa siamo abituati a una distanza sulla quale abbiamo imparato a calibrare i movimenti;
•    la rubinetteria spigolosa, oltre che sul lavabo, ma in particolare nella doccia o nella vasca, costituisce un punto al quale urtare con danni anche seri, in caso di caduta;
•    le porte stesse del box doccia;
•    la pavimentazione del piatto doccia, senza un adeguato tappetino antiscivolo, una pericolosa insidia.

 

In considerazione del continuo ricambio di persone che frequenteranno quei luoghi, occorrerà rendere immediatamente percepibili, dagli utenti, le situazioni.

Spesso gli alberghi sono costituiti da strutture, talvolta grandi, nelle quali la distribuzione delle camere non è lineare ed intuibile dai clienti non pratici dei luoghi. Strutture rivenienti dalla fusione di più edifici, ognuno con le sue caratteristiche di distribuzione originaria, se non delle quote dei piani di calpestio. In essi, talvolta, non è facile orientarsi tra corridoi stretti, tortuosi e frammentati.

La norma prevede che nei corridoi siano esposte planimetrie che indichino al lettore (ammesso che egli sia in grado di interpretare e memorizzare una planimetria di un luogo che non conosce) quale debba essere il percorso da effettuare, in caso di emergenza, per raggiungere il cosiddetto “luogo sicuro”.

Ma come si fa a pensare che, pur senza volerci riferire al cliente con abilità motorie ridotte, un normodotato, giunto in albergo a sera tardi, si sia soffermato, lungo il corridoio, a guardare, o meglio a studiare, la planimetria, per essere in grado, magari in piena notte in caso di emergenza, di raggiungere il “luogo sicuro”?
E’ evidente che il soddisfare a questa prescrizione di legge, non risolve il problema.

In questi casi, tutti i clienti diventano dei “disabili”, forse non nelle proprie caratteristiche fisiche locomotorie, ma certamente in quelle comportamentali.

Avete mai provato a scendere di corsa una scala di emergenza interna poco illuminata? E questo, non solo in albergo, ma anche in grandi ed alti condomini o palazzoni per uffici. Eppure, in questi ultimi due casi, non ci si trova di fronte a persone occasionalmente presenti nella struttura, com’ è il caso degli alberghi, ma di inquilini o impiegati che per anni hanno lavorato lì, senza che, però, mai si erano trovati a dover fuggire attraverso quella scala il cui accesso è spesso nascosto o si trova alla fine di un percorso mal indicato.

Vi è capitato mai di dover fuggire da una sala affollata attraverso una porta di sicurezza seminascosta, posta in lontananza e non facilmente individuabile? Non ve lo auguro!

In questo caso, siamo tutti dei “disabili”!

Indubbiamente è una questione di sensibilità al problema.

Ma chi deve acquisire questa sensibilità se non il progettista?

Deve essere lui che deve imparare a mettersi nelle condizioni in cui potrebbero trovarsi quelle persone, per capire, realmente, cos’è il panico che rende, anche le operazioni normalmente ovvie, difficilissime da pensare e adottare, in certe situazioni.

Quale, allora, può essere la soluzione progettuale per segnalare, in maniera immediatamente recepibile, il percorso da intraprendere per raggiungere il “luogo sicuro”?       

Segnali luminosi animati; onde di luci guidanti lungo il percorso, verso il “luogo sicuro”; pulsanti di richiesta di aiuto a posizione riconoscibile dalla centrale operativa; telefoni o meglio, videotelefoni in viva voce per tranquillizzare lo sventurato in preda al panico o al problema fisico, da attivare in caso di emergenza.

Innanzitutto, progettare con intelligenza. Con l’intelligenza dovuta all’oggetto sul quale si sta lavorando, al processo che deve conseguire all’emergenza, e al relativo panico, mettendosi nelle condizioni in cui potrebbe trovarsi un qualsiasi individuo. In tali situazioni, anche un “normodotato”, diventa un soggetto ad “abilità limitata”.

Occorre evitare di progettare “per standard”, preoccupandosi solo di assicurarsi che siano stati ripetuti gli schemi presenti nella norma, senza verificarne la congruità della soluzione adottata, al caso specifico.

Occorre rendere immediata e intuitiva la comunicazione che, in quei momenti di panico, si deve poter fare arrivare alla persona coinvolta.

 

Articolo del:


di Arch. Giandonato Disanto

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