Come comunicare la separazione ai figli

COMUNICARE LA SEPARAZIONE AI FIGLI Dall’affidamento condiviso alla bigenitorialità, passando per la mediazione familiare.
L’intervento clinico con famiglie in situazione di disagio (crisi coniugale e separazione) ci fa riflettere attorno al radicale cambiamento che negli ultimi anni ha trasformato i rapporti interpersonali, stravolgendo, a cascata, ogni configurazione relazionale che fino a ieri supportava una certa stabilità.
Le ragioni di questa trasformazione sono complesse, basti sapere che, se fino al 1989 (anno della Convenzione sui Diritti del bambino di New York) il concetto di bigenitorialità riferiva la sua declinazione di stampo biologico, poi si è diffuso nel campo del diritto: del bambino, a proteggere la necessità di un rapporto continuativo con entrambi i genitori; e dei genitori, a tutelare la possibilità di esercitare il ruolo di padre e di madre.
Il riconoscimento di una bigenitorialità ormai radicata nei riferimenti culturali delle famiglie e la sua conseguente tutela giuridica, non significano purtroppo la reale esistenza di quotidiane pratiche educative che la esemplifichino. Il contesto in cui si esplica il rapporto tra genitori e figli sembra essere al centro di un processo che si polarizza su due posizioni contraddittorie, spesso autoescludentisi e comunque, confusive: da una parte il richiamo alla bigenitorialità; dall’altra la progressiva riduzione e svalutazione delle “naturali” e millenarie pratiche educative bigenitorialmente distinte; sintesi che sembra aver finito di salvare un solo modus operandi: quello della madre.
In questo contesto così articolato, la bigenitorialità si attesta, al di là di qualsivoglia naturalità o diritto, come una conquista culturale che, paradossalmente, fatica ad attuarsi soprattutto nelle famiglie unite, dove cioè la “normale" configurazione post- moderna dei ruoli non obbliga ad una riflessione in questo senso.
Culturalmente abiurato, e per fortuna, il vetusto padre padrone, il maschile sembra faticare a ricavarsi un ruolo autentico e personale, che non sia sagomabile al femminile o non si esautori nel semplice cambiare il pannolino, andare al parco con i figli, cucinare o lavare i piatti; bensì capace di immaginarsi quale artefice di un cambiamento generativo in un mondo estremamente differente da quello che i maschi stessi hanno disegnato per millenni, svuotato nelle sue dinamiche tradizionali, alla ricerca di una nuova identità.
E infatti proprio laddove la crisi familiare irrompe poiché papà e mamma trovano l’occasione per mettere in discussione costruttiva e propositiva la loro genitorialità, conquistando un apogeo che la normale routine della vita familiare, rischia di negare. Il che non può essere uno sprono al divorzio, né significa che le famiglie separate siano “migliori”; dovrebbe invece farci riflettere rispetto alla mancanza di un’educazione alla genitorialità, che oggi pare diventare sempre più indispensabile e che solo nell’inciampo della crisi coniugale può trovare l’occasione di riscoprirsi.
Da qui l’importanza della Mediazione familiare nell’addentrarsi nel fondamentale campo della relazione con i figli e del come affrontare, con loro, il discorso della separazione; non solo nel minuto spazio della tragica rivelazione, ma tanto più in quel tempo potenzialmente esiziale che è il prosieguo della vita da separati trasformandolo, appunto, nell’opportunità di costruire o ritrovare una genitorialità perduta o mai rivelata, nell’attesa che tale necessità irrompa anche nelle famiglie unite.
La separazione
Decidere di separarsi: conseguenze psicologiche, sociali, giuridiche
Decidere di separarsi non è semplice. E’ bene essere consapevole quindi sin dall’inizio delle conseguenze che detta decisione implica e del fatto che dal modo in cui vengono gestiti i rapporti nella fase successiva alla separazione, dipende molto del futuro benessere nostro e dei nostri figli.
Ogni persona è inserita in un sistema fatto di rapporti che la rendono interconnessa alle altre. La coppia è interconnessa ad entrambe le famiglie d’origine, al gruppo dei pari (colleghi, amici) all’altro, inteso come estraneo, al compagno/a ideale.
Separarsi, dunque, non produce effetti solo sulla coppia, ma anche nell’area delle relazioni familiari e nei rapporti sociali (in particolare nell’ambiente di lavoro e nella comunità di appartenenza) . Separarsi implica la necessità di elaborazione della separazione che ci mette in contatto con noi stessi e con le nostre emozioni.
La separazione si può porre in stridente contrasto, con la rappresentazione che ognuno ha di se stesso e con la griglia di valori che abbiamo, nel tempo elaborato come figli, sia in rapporto con i nostri genitori, sia in rapporto al loro legame di coppia. Questo vale per tutti coloro che si separano: sia per le coppie sposate, sia per le coppie conviventi, sia nel caso in cui la separazione veda un sostanziale accordo della coppia, o, di contro, dia luogo ad un conflitto.
La prova che siamo chiamati ad affrontare è ancor più difficile quando l’evento separativo viene mal gestito, finendo per tradursi in un attacco, multiplo e trasversale, a tutte le aree relazionali poc’anzi indicate. Il pericolo che si cela dietro una separazione altamente conflittuale – dove finiscono per avere la meglio le diverse sfaccettature dell’odio (disprezzo, oppressione, intimidazione, manipolazione e menzogna) e dell’indifferenza (cinismo, insensibilità e distacco) – è la TRAUMATIZZAZIONE DI TUTTE LE AREE RELAZIONALI dell’individuo, essendo come già detto la separazione un evento storico, ma anche un processo intrapsichico, di coppia, familiare e sociale – comunitario. Vi sentirete dire che “fa parte della vita”, che succede anche nelle migliori famiglie… o che non siete più una coppia, ma restate pur sempre genitori di vostro figlio…In entrambi i casi, quello che è il vostro disagio – vissuto a 360 gradi nella complessa varietà dei ruoli, che siete chiamati ogni giorno ad assumere (come genitori, come membri di una coppia, nel lavoro) - non si cancellerà con un colpo di spugna.
Il conflitto, genericamente inteso, è neutro: non ha, contrariamente a quanto si potrebbe pensare, una connotazione di per sé negativa. La decisione su come gestire il conflitto che state vivendo in conseguenza dell’evento separativo (se in modo positivo e costruttivo, o, piuttosto, negativo e distruttivo) non spetta né ai vostri genitori, né ai vostri amici, né all’avvocato, né infine al vostro psicologo (se ne avete uno). Spetta solo a voi e al vostro partner.
Prima di iniziare una lunga e dispendiosa guerra giudiziaria, potete, quindi, fermarvi, respirare... Chiedervi se, pur a fronte della fine del vostro legame di coppia, da esso è venuto qualcosa di buono. E la risposta è assolutamente sì: è vostro figlio. E’ proprio in favore della generazione successiva e di quello che intendete lasciarle di voi, del vostro bagaglio umano e culturale che – nonostante le delusioni e i dolori che l’altro pure vi ha inferto – sentirete di potergli ancora dare la mano.
Il vostro legame di coppia potrà essere attaccato, lo potrete odiare, svilire, pervertire o abbandonare, ma non potrete mai spezzarlo o tagliarlo, perché non ne potete negare l’esistenza quale fatto storico. Vostro figlio è la testimonianza vivente del fatto che la vostra relazione di coppia è esistita, anche se la coppia formata da voi e l’altro partner ora non esiste più. Non solo. Vostro figlio è il frutto non solo della vostra relazione di coppia, ma anche della fusione delle vostre due famiglie d’origine.
Egli può differenziarsi da voi come singole persone, ma il vostro legame di coppia costituirà sempre un modello col quale dovrà necessariamente misurarsi quando sarà adulto, rifuggendolo, riproducendolo, o riparandolo.
In ogni caso, non se ne potrà distaccare, essendo il primo modello di rapporto di coppia presente nella sua storia di vita. Durante la separazione, i genitori sono generalmente convinti di avere a cuore l’interesse per il proprio figlio. Ciò che accade, a volte, è ben altra cosa. Abbiate subito ben chiaro che, se intendete mettere in atto una campagna di denigrazione e demonizzazione dell’altro genitore, per portare vostro figlio dalla vostra parte, fondendo la vostra posizione nel conflitto di coppia con la posizione di vostro figlio rispetto all’altro genitore, questo comporta un grosso rischio per il bambino. Vostro figlio potrebbe demonizzare non solo l’altro genitore, perdendo un riferimento fondamentale, ma allontanandosi da tutta la famiglia d’origine di quest’ultimo.
Questo potrà darvi una grande soddisfazione personale (l’insopportabile suocera, o cognata, finalmente fuori dalla vostra vita…), ma questo, allora, coincide con un vostro interesse, non con quello di vostro figlio, il quale, allontanandosi dall’altro genitore e dalla sua famiglia d’origine prenderà le distanze da una parte di sé. Che lo vogliate o no, siete, insieme all’altro genitore le due radici attraverso le quali vostro figlio affonda i propri passi su questa terra.
L‘altro rischio è quello per cui sia uno dei due genitori a demonizzare l’altro partner, annettendo il figlio a quest’ultimo (assimilazione del figlio all’altro), con conseguente “espulsione” del figlio dal clan familiare cui appartiene il genitore che si è sentito tradito.
In entrambi i casi (assimilazione del figlio a sé e assimilazione del figlio all’altro) per vostro figlio smetterà di esserci un genitore e tutta la sua famiglia di origine: niente più padre o madre, niente più nonni, cugini o zii. Annettere il figlio a sé o assimilarlo infonde nel primo caso tanta sicurezza, e nel secondo un senso di rivincita personale.
Ci troviamo all’interno di un conflitto negativo-distruttivo. Ma vediamo come ci siamo arrivati. Il patto di coppia o coniugale è costituito da due componenti: il patto “dichiarato” e il patto “segreto”. Il primo è la dichiarazione d’impegno che ogni membro della coppia fa – alla presenza di testimoni, o privatamente, a seconda che si tratti di una coppia coniugata o convivente – con riferimento alla relazione (fedeltà, sostegno al legame, nella gioia e nel dolore, nella salute e nella malattia).
Fino a qui ci troviamo nella dimensione consapevole del rapporto di coppia. Ben altra cosa è, invece il “patto segreto” che si nutre di bisogni, desideri e timori reciproci della coppia. Immaginate i due partner che entrano in una casa, freschi di matrimonio; ognuno ha con sé la propria valigia per il viaggio al quale si appresta: quella valigia è il bagaglio simbolico che ogni partner porta con sé nella relazione. Nessuno conosce fino in fondo il bagaglio dell’altro, nemmeno lo stesso proprietario ha la percezione assolutamente esatta e profonda di quelle che sono state le leve interiori che l’hanno spinto a scegliere proprio quella data persona come compagno di viaggio.
Dentro la nostra valigia, infatti, troviamo la rappresentazione del nostro rapporto con i genitori, la visione che abbiamo avuto come figli, del loro rapporto di coppia e del rapporto col corpo familiare nel suo complesso e con l’altro, inteso come estraneo. In questa valigia troviamo, infine, il compagno ideale, ovvero l’ideale di persona con cui vorremmo trascorrere la vita.
Dal contenuto della nostra valigia (che l’altro della coppia – lo si ribadisce – non conosce…) derivano bisogni e timori che alimentano le nostre aspettative rispetto al rapporto con l’altro.
La separazione rappresenta, dunque, una , sia a livello di patto dichiarato, sia a livello di patto segreto. Quindi occorrerà un “divorzio psichico” dall’altro.
Ciascun partner potrà andare avanti nella propria vita e dare luogo ad una nuova famiglia, avere un nuovo compagno e, magari altri figli. Si tratta del cosiddetto “legame disperante” che può assumere due forme:
1. Qualcuno, nella coppia, non può smettere di sperare in quella relazione e non accetta la fine di quel rapporto. Il meccanismo che scatta è quello di difesa di se stessi dall’angoscia della fine. La minima scintilla riaccende il conflitto che, trascorso un lungo tempo dalla separazione (di fatto o legale) o dal divorzio, si presupporrebbe cessato. In realtà, per quella coppia (o per uno dei partner) continuare a confliggere rappresenta l’unico modo per restare in contatto con l’altro: meglio un qualsiasi tipo di contatto, anche conflittuale, rispetto all’indifferenza o al nulla. Sperare che l’altro torni sui propri - mantenendo, intanto, un filo di contatto - appare, allora, come l’unica soluzione per difendersi dall’angoscia che ci procura l’attuale stato di cose.
2. Qualcuno nella coppia, dovendo dimostrare a se stesso, agli altri (soprattutto all’ex partner) di essere capace di instaurare nuovi legami, tenta di annullare la figura del precedente compagno, distruggendone la presenza, come se fosse contagioso e incarnasse il male assoluto.
In quest’ultimo caso, la fine del rapporto di coppia è chiara, ma la consapevolezza di ciò non è tanto il frutto di una elaborazione, bensì di uno sforzo, praticato con metodica costanza, finalizzato alla cancellazione dell’altro, fino al punto di arrivare alla negazione sia dell’esistenza della relazione (come fatto storico) sia della propria partecipazione alla stessa. Abbiamo una scissione dal passato e un salto a capofitto in una nuova relazione, il tutto senza una rielaborazione della precedente relazione, della quale non si parla, perché diventa argomento tabù. In entrambe le forme di legame disperante, troviamo un minimo comune denominatore: sebbene la relazione di coppia sia finita, l’altro continua a incombere su di noi, o per il continuo riemergere tra le pieghe dei nostri pensieri, o per il continuo sforzo di tenerlo fuori dalla nostra vita.
Le reazioni dei figli alla separazione
La decisione di separarsi e di porre fine all’unione, coniugale o di fatto, comporta notevoli conseguenze sotto molteplici aspetti. Sebbene la coppia rimanga la protagonista principale di tale scelta, essa si ripercuote anche nell’organizzazione dell’intero nucleo familiare e nella relazione con le varie figure di riferimento, interne ed esterne alla famiglia stessa.
Quando ci si separa, tutto il nucleo familiare viene coinvolto sul piano emotivo ed organizzativo, con risvolti e conseguenze che possono rappresentare un valido aiuto, ma anche un possibile ostacolo, a seconda di come la separazione viene recepita e accettata (o non accettata). Fra tutti, in particolare, chi vive maggiormente gli effetti dell’evento separativo, pur non avendo contribuito a tale decisione, sono sicuramente i figli.
Sono loro, infatti, che nei mesi successivi alla separazione, sperimentano numerosi cambiamenti: non staranno più contemporaneamente con papà e mamma, e, pur continuando a vedere entrambi, non vivranno più sotto lo stesso tetto; ci saranno due case, due camerette, a volte due quartieri o persino due città, amici diversi, nuovi orari e abitudini da assimilare e rispettare. Le reazioni alla separazione possono variare, a seconda di come si vive emotivamente tale evento. Non esiste, infatti, un unico modo per lasciarsi (così come non esiste un’unica ragione per mettersi insieme) pertanto la modalità attuata dalla coppia ha il potere di amplificare o di attenuare lo stressor legato alla separazione, non solo per gli adulti ma anche e soprattutto per i figli. Spiegare che mamma e papà non si amano più, che da separati litigheranno di meno e che vorranno sempre bene ai loro bambini, è un messaggio profondo che richiede una grande forza, una reale convinzione e una particolare sensibilità, sia in chi lo enuncia che in chi lo ascolta.
Presuppone, inoltre, che alle parole seguano i fatti. E’ proprio questo il motivo che ha portato alla luce questo articolo: fornire una traccia e un supporto alle coppie separate/divorziate o in fase di separazione, per affrontare insieme il delicato passaggio tra il prima e il dopo, fra la famiglia che è stata (e che, così come era, non esiste più) e una nuova forma di famiglia, ancora tutta da scoprire e da collaudare. Affronteremo nelle prossime righe il tema centrale di come comunicare la separazione ai figli.
E’ doveroso premettere che, nella maggior parte dei casi, la decisione di separarsi avviene alla fine di un percorso di crisi più o meno lungo, più o meno palese, ma che generalmente ha già cominciato a manifestare le prime avvisaglie molto tempo prima della decisione ufficiale di separarsi. Il periodo che precede questo momento può essere più o meno intenso, più o meno turbolento , ma qualche sentore e manifestazione di cambiamento probabilmente c’è già stato: in famiglia si parla poco, il clima è più distaccato, a volte un coniuge dorme sul divano, ci si saluta a malapena, si cerca di vedersi il meno possibile, oppure, al contrario si litiga, si urla, ci si accusa, ci si offende, possono talvolta volare piatti e insulti, fino ad arrivare alle mani, in una degenerazione graduale fatta di soprusi e di episodi di violenza di vario genere ed intensità.
In un simile contesto, difficilmente la separazione arriva come un evento inaspettato per il bambino, che volente o nolente ha già percepito l’instaurarsi e il manifestarsi della crisi fra i genitori. Tale scelta, pertanto, soprattutto in presenza di figli “grandicelli” non rappresenta un evento totalmente inaspettato e non è raro per un genitore di figli adolescenti sentirsi dire, dopo aver annunciato la decisione di separarsi, che loro (i figli) lo sapevano già.
Ciò nonostante in questa fase separativa gli adulti della coppia sono fortemente concentrati su se stessi, su ciò che provano, che desiderano o che pretendono, sulla propria rabbia, sul proprio rancore, sul proprio dolore: il conflitto diventa protagonista della relazione e catalizza l’energia e l’attenzione degli adulti, mentre l’interesse per i figli passa in secondo piano (anche se i litigi vengono spesso portati avanti in funzione di un presunto loro bene).
A volte i genitori semplicemente sottovalutano l’effetto che la conflittualità ha sui bambini, o forse pensano e sperano che i figli siano troppo piccoli per accorgersi che qualcosa non va. Inoltre pensare di poter causare loro sofferenza, è così doloroso per un genitore, che preferisce credere che non se ne accorgano, che non stiano soffrendo. In questa fase gli adulti discutono fra loro, scelgono se confidarsi con amici e parenti o con una figura professionale esterna, per dare voce alle proprie emozioni.
I figli invece, percepiscono che qualcosa non va, che le cose stanno cambiando, ma non dispongono di spiegazioni chiare e semplici per capire cosa stia succedendo ai loro genitori, alla loro famiglia. I bambini osservano, ascoltano, anche se sembrano impegnati o assorti in tutt’altra cosa, ma cosa sentono? Cosa percepiscono? E soprattutto, sono in grado di capire cosa sta succedendo se nessuno lo spiega loro? Hanno la possibilità di confidarsi e di parlarne con qualcuno? Dare voce ai figli significa non solo ascoltarli, ma anche fornire loro gli strumenti necessari per capire cosa sta succedendo e offrire loro un supporto valido per affrontare il cambiamento.
E’ un paradosso, chiedere a un genitore che si separa un impegno grande in termini di affetto e serenità, ma è proprio per questo motivo che diventa fondamentale capire che è dal partner che ci si divide, non dal proprio figlio. Questo è un punto focale da tenere presente quando ci si lascia: finisce l’unione di coppia, ma non il rapporto con i figli, i quali hanno il diritto di mantenere una relazione profonda con entrambi i genitori, i quali saranno a loro volta per sempre uniti per il semplice e ineluttabile fatto di essere genitori dello stesso figlio.
Anche se la storia d’amore è finita e l’unione coniugale è terminata, c’è un altro tipo di unione, quella genitoriale, che proseguirà per sempre; è questa, se vogliamo la grande sfida (e grande opportunità) della separazione: lasciarsi come partner continuando a essere genitori e garantire ai propri figli un continuum fatto di amore, sicurezza emotiva, di cura e di rispetto. Pur essendo la separazione un evento impegnativo per gli adulti e per i bambini, può essere organizzata e gestita in maniera adeguata e rivelarsi funzionale ad una crescita sana ed armonica dei figli: è infatti ampiamente dimostrato che non è la separazione, in quanto tale, a rappresentare un ostacolo alla crescita dei figli, bensì il modo in cui viene gestita. In altre parole se la coppia continua a confliggere e a mancarsi di rispetto anche dopo la separazione, questa conflittualità prolungata potrebbe avere conseguenze profonde sui figli; al contrario, una separazione ben gestita può rivelarsi nel tempo migliore di un’unione duratura ma perennemente conflittuale (il famoso stre insieme per i figli).
Certo non si possono ignorare, o sottovalutare, la portata emotiva e lo stress al quale i figli sono sottoposti per il fatti di amare un padre e una madre che però, fra di loro, non si amano più. Il benessere dei figli risulterà, pertanto, maggiore, quanto minore sarà il grado di conflittualità dei genitori e quanto più profonda sarà la relazione che ognuno di essi saprà sviluppare e mantenere nei confronti dei figli e dell’ex partner, in quanto genitore.
Riconoscere all’altro di essere un bravo padre e una brava madre, anche se non ci si ama più, costituisce pertanto il primo passo verso una relazione genitoriale basata sul rispetto reciproco e sul bene dei figli, anche se i due coniugi hanno scelto, individualmente, strade separate. Il manifestarsi di eventuali problemi di adattamento, pertanto, non è strettamente correlato alla separazione in quanto tale, anche se essa richiede un notevole sforzo adattivo, ma ad una sua cattiva gestione, cioè alla permanenza, anche dopo la separazione, di un rapporto fra ex coniugi fatto di ripicche, offese, screzi e incomunicabilità.
Le reazioni dei figli in base alle diverse fasce di età
Le reazioni dei figli alla separazione sono strettamente connesse alle caratteristiche della situazione nella quale essi sono coinvolti e variano, inoltre, da bambino a bambino.
I figli, infatti, reagiscono in modi diversi alla separazione dei genitori: mentre alcuni riescono fin da subito ad affrontare il cambiamento, altri possono manifestare un periodo più o meno lungo di difficoltà, prima di riacquistare gradualmente il proprio equilibrio; altri ancora, infine, possono non accettare la nuova situazione anche dopo molto tempo.
I fattori principali che possono influire sulle reazioni dei figli alla separazione sono:
- l’età,
- il temperamento,
- la resilienza,
- le qualità del rapporto del figlio con ciascun genitore,
- la qualità del rapporto fra i genitori,
- il sostegno degli altri membri della famiglia, della scuola, degli amici ecc.
Fra questi fattori tutti estremamente importanti, l’età gioca un ruolo fondamentale nell’affrontare l’evento della separazione, poiché in ogni m fase dello sviluppo i problemi vengono vissuti ed elaborati in modo diverso. Possiamo, quindi, tracciare alcuni tratti che contraddistinguono le varie fasce d’età, considerando che le tappe evolutive dei bambini presentano caratteristiche e peculiarità specifiche, a seconda dell’età di riferimento.
Infanzia ed età prescolare (0-5 anni)
I bambini in questa fascia d’età, soprattutto quelli molto piccoli, non possiedono modelli di pensiero strutturati o strumenti verbali appropriati per capire ed esprimere il proprio dolore. Questo non significa che non lo provino o che le loro emozioni non abbiano importanza; anzi, proprio perché sono così piccoli e privi dei supporti necessari per comprendere ed elaborare il cambiamento, è fondamentale porre grande attenzione a tutti i segnali che ci mandano, per capire ed accogliere i sintomi del loro disagio.
Sono comuni reazioni di tipo regressivo, come, ad esempio, mostrare un incolmabile bisogno di affetto e protezione, succhiarsi continuamente il pollice, presentare problemi legati al sonno e all’addormentamento, o disturbi nel comportamento alimentare e nel controllo sfinterico.
Comincia, inoltre, ad essere presente la paura dell’abbandono e il bambino può percepire il distacco e la perdita, che può avvenire non solo nei confronti di una figura primaria (ad esempio la perdita di contatto con un genitore) ma anche nei confronti di ritmi e abitudini (chi lo accompagna all’asilo, il lettino in cui riposa, il rito dell’addormentamento ecc.).
I bambini possono affrontare il trauma della separazione con rabbia, che si può manifestare e riversare verso gli oggetti (giocattoli, tavoli, sedie, ecc.) ma anche verso i compagni di asilo, gli insetti, ecc. In questo periodo sono ricorrenti manifestazioni di ansia: si tratta di preoccupazione data dalla mancanza di sicurezza che percepiscono; è, pertanto, importante capire che tali comportamenti regressivi rappresentano un tentativo, da parte dei bambini, di gestire la paura che provano.
Di conseguenza è fondamentale che le richieste di rassicurazione vengano accolte e ascoltate, evitando quindi cambiamenti drastici e repentini (ad esempio che un genitore scompaia improvvisamente) e mantenendo il più possibile i riti (come la favola della buonanotte o la ninna nanna) e i ritmi ai quali il bambino (quali ad esempio andare tutte le mattine all’asilo),favorendo i contatti, anche a distanza, con l’altro genitore (incontri, filmini, fotografie, telefonate, collegamenti skype).
Età scolare (6-12 anni)
In questa fascia di età cresce la comprensione della situazione e i bambini possono sentirsi molto spaventati dalla decisione dei genitori di separarsi. Fra le principali conseguenze, troviamo il tentativo di placare l’ansia cercando di negare l’accaduto (“non è vero che i miei genitori si stanno separando”) o sviluppando fantasie di riconciliazione, che portano a sperare in una riunione dei genitori, chiedendo loro ripetutamente di rimettersi assieme (per questo motivo sarebbe consigliabile evitare atteggiamenti ambigui fra adulti, in quanto potrebbero falsamente illuderli, prolungandone la sofferenza).
L’ansia nasce dalla perdita della sicurezza e può trasformarsi in angoscia che si manifesta nelle tipiche domande su quando rivedranno l’altro genitore, dove andranno a vivere, se potranno rivedere gli amici, festeggiare ancora il compleanno e così via. Pertanto a questa età è fondamentale rassicurarli sul fatto che, anche se alcune cose cambieranno, mamma e papà ci saranno sempre per loro. Il senso di disorientamento può portare ad aggrapparsi al controllo ed alla razionalità, in modo da dominare l’ansia che provano.
Difficilmente, pertanto, lasciano emergere la rabbia, mentre possono manifestarsi sintomi psicosomatici, di intensità variabile, come mal di testa o di stomaco, asma, disordini alimentari, talvolta il vomito dopo l’incontro con un genitore, spesso vissuti quali tentativi, più o meno consci, di riportare insieme i genitori (i quali si trovano accomunati dalla condivisa preoccupazione per il malessere del figlio).
Da non sottovalutare, inoltre, il senso di colpa, che porta i bambini di questa età a ritenersi responsabili dell’accaduto e a credere che i genitori si siano divisi in seguito a qualche marachella, autogiudicandosi come “bambini cattivi” e di conseguenza non degni di essere amati (ed è quindi fondamentale spiegare ai bambini che la colpa non è loro). Può essere presente il conflitto di lealtà, ossia il timore che provare e manifestare affetto per un genitore significhi fare un torto all’altro. In questa fase la dimensione scolastica e il gruppo dei pari assumono un ruolo di maggiore rilievo e possono fungere tanto da fattori protettivi quanto da stress o, a seconda dei legami che riuscirà a costruire. Il bambino deve sentire con certezza di avere dei punti fermi, degli appigli solidi su cui contare, di sapere che si può sfidare.
Deve, inoltre, poter esprimere le proprie emozioni e sensazioni, anche quelle dolorose, anche quelle che un genitore non vorrebbe mai sentire perché sono troppo dure da accettare. Lo deve fare senza sentirsi in colpa per il suo star male, pena il rivolgere la colpa a se stesso e non esprimere quello che sente (o non capire più quello che prova) situazione a rischio da non sottovalutare.
Adolescenza (12- 18 ANNI)
Quando si separano i genitori di adolescenti, raramente la notizia arriva come qualcosa di improvviso e inaspettato, in quanto i ragazzi di questa età si rendono generalmente già conto di quanto sta accadendo. Questo non significa, però, che fare fronte ad una separazione a quest’età sia più facile o indolore. Gli adolescenti attraversano già una condizione psicologica complessa, che li porta a vivere con forte emotività questa delicata fase di passaggio che intercorre tra l’essere “piccoli” e l’essere “grandi”.
Spesso, invece, i genitori sono concentrati su loro stessi e sulle proprie preoccupazioni e si comportano come se i figli fossero già abbastanza grandi per capire i loro problemi e magari anche per aiutarli nell’affrontare la situazione. I figli si sentono, pertanto, obbligati a comportarsi come adulti, sostenendo i genitori, che, a loro volta, si comportano come adolescenti e occupano la scena, privandoli del ruolo di protagonisti, che per loro è così fondamentale a quest’età.
Fra le reazioni possibili, spesso troviamo il rifiuto (corrispondente alla negazione del bambino) di vedere uno dei genitori o la richiesta di vivere con il genitore “non prevalente” (non affidatario) anche per metterlo alla prova e per testare la sua capacità di investire nella relazione figlio – genitore.
E’ altrettanto frequente la presenza di comportamenti devianti, come l’uso di sostanze vietate, o l’abbandono della scuola. Queste manifestazioni sono simili alla rabbia dei bambini piccoli e vengono attuate come provocazione e come protesta nei confronti di ciò che sta accadendo nella loro vita. Oltre alle reazioni più istintive e caratterizzate dalla rabbia, possiamo trovare anche reazioni più depressive, di isolamento e chiusura, in se stessi. Possono verificarsi delle difficoltà di apprendimento e il rifiuto di andare a scuola, oltre ai vari sintomi somatici: anche in questo caso l’attenzione degli adulti nei loro confronti è fondamentale.
I vari messaggi che i figli ci mandano, compresi i comportamenti devianti, altro non sono che un tentativo di richiamare l’attenzione su di sé, distogliendo i genitori dal conflitto, anche se sarebbe riduttivo collegare l’origine di tutti questi comportamenti alla separazione, in quanto essi fanno parte integrante dell’adolescenza; questo, d’altra parte, non può nemmeno essere un alibi per non prenderli sul serio e non considerare quanto una coppia genitoriale conflittuale possa contribuire ad amplificarli o esacerbarli.
Il processo di crescita cognitiva ed emotiva di un figlio adolescente diventa più difficile quando si confronta con figure adulte in difficoltà: può sentirsi superato da un genitore che mette in atto atteggiamenti tipici dell’adolescenza, quali l’opposizione e la trasgressione, e trovarsi proiettato in una posizione precocemente adultizzata, magari sviluppando un rapporto di dipendenza e di supporto all’altro genitore.
La separazione, pertanto, può portare ad un aumento di senso di responsabilità oppure, viceversa, ad una sorta di blocco dell’autostima. In entrambi i casi è fondamentale mantenere l’attenzione focalizzata sul figlio e sulle sue reazioni, in un periodo tanto difficile e tumultuoso come l’adolescenza. Dopo questa breve panoramica sulle maggiori reazioni che i figli possono avere nelle diverse fasce d’età, è doveroso sottolineare che numerosi studi svolti sull’argomento, hanno dimostrato che, dopo circa un anno e mezzo la maggior parte dei bambini ritrova un buon equilibrio e riesce a superare i problemi emersi nel primo periodo.
La ricerca scientifica degli ultimi decenni ha stabilito che non vi sono grandi differenze tra figli di genitori uniti o separati per quanto riguarda la capacità di instaurare relazioni affettive stabili, la fiducia nell’altro sesso e il grado di soddisfazione nella vita. Inoltre i figli di genitori separati cominciano a contribuire al proprio mantenimento, escono prima di casa e frequentano un maggior numero di amici.
E’ stato dimostrato che l’incidenza di disturbi significativi è bassa e che il 70- 80% dei bambini con genitori separati non manifesta problemi durevoli; al contrario, quando questi persistono è generalmente da ricercare in una problematica irrisolta a carico della coppia. Avere come riferimento due genitori perennemente in conflitto offre ai figli un modello conflittuale di relazione di coppia, che il figlio una volta adulto potrebbe riprodurre con il proprio compagno /a, perpetrando nelle proprie relazioni una trasmissione intergenerazionale del disagio familiare. In generale, a prescindere dall’ età dei figli coinvolti, ci sono alcuni elementi fondamentali che possono aiutare i figli a riconoscere la rottura e ad affrontare la perdita, rappresentando un valido supporto al cambiamento. I fattori più importanti sono :
- ricevere spiegazioni appropriate alla loro età su quanto sta avvenendo;
- poter esprimere liberamente i propri pensieri ed emozioni;
- essere rassicurati sul fatto di non essere responsabili della rottura;
- sentirsi liberi di amare e frequentare ognuno dei genitori;
-mantenere, nei limiti del possibile, la propria routine legata ad ambienti, abitudini, orari e figure di riferimento;
- avere dei genitori che con l’esempio dimostrino di saper collaborare, di sapersi ascoltare, di rispettarsi e sostenersi a vicenda. Un lavoro di riorganizzazione delle relazioni familiari diventa necessario e indispensabile al fine di negoziare le regole che definiscono i rapporti, in modo da raggiungere un nuovo equilibrio all’interno del nuovo sistema familiare.
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