Comunione legale o separazione dei beni coniugali
quali sono i beni che rientrano nella comunione dei beni e quelli che sono di proprietà esclusiva di un solo coniuge
Spesso giovani copie di fidanzati mi chiedono quale regime patrimoniale sia più conveniente scegliere in sede di matrimonio.
Iniziamo col dire che in mancanza di diversa convenzione , il regime patrimoniale della famiglia è quello della comunione dei beni tra i coniugi.
Contrariamente a quanto previsto nel previdente regime, il legislatore del 1975 ha privilegiato il regime della comunione dei beni acquistati durante la durata del matrimonio. Solo nell'ipotesi in cui i coniugi optino per la separazione dei beni verrà data pubblicità alla propria scelta poiché in caso contrario si presume che vi sia il regime della comunione dei beni.
L'art. 177 del codice civile sancisce che entrano nella comunione gli acquisti fatti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio. È pertanto del tutto irrilevante la provenienza del denaro per l'acquisto, il bene acquistato anche da un solo coniuge entra a far parte della comunione senza ulteriore trasferimento di proprietà, quindi, non importa se il danaro sia stato prodotto da uno solo dei coniugi o da entrambi
Più delicato appare il problema degli acquisti dove manchi il titolo di acquisto. Caso tipico è quello della casa costruita sul terreno di uno dei coniugi. In base ai principi generali dell'accessione la costruzione apparterrebbe al proprietario del terreno su cui è stata realizzata. Ma nel caso di matrimonio, ci si chiede chi sia il titolare dell'immobile. La giurisprudenza ritiene che tale acquisto non rientri nella comunione e l'altro coniuge sia solo titolare di un diritto di credito per la somma impiegata nella costruzione, se l'apporto provenga dal suo patrimonio personale, ovvero, pari alla metà se derivi dalla comunione.
Altro problema piuttosto controverso è quello relativo ai diritti di credito. Si pensi all'acquisto della casa coniugale da una cooperativa che abbia già assegnato l'immobile ma il cui atto di assegnazione sia ancora da eseguire.
Anche in questo caso, la Suprema Corte ha affermato che ai fini dell'attribuzione alla comunione legale, rileva il momento dell'acquisto formale in quanto il diritto di credito rimarrebbe escluso dalla comunione a meno che non si tratti di casi particolari in cui solo un coniuge aveva ceduto obbligazioni societarie.
Ancora entrano a far parte della comunione anche i frutti dei beni propri ed i proventi dell'attività separata di ognun coniuge che ancora non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione.
Per quanto riguarda le aziende gestite da entrambi i coniugi, queste entreranno a far parte della comunione solo se costituite dopo il matrimonio, mentre se esistenti già prima, al coniuge spetteranno solo gli incrementi e gli utili.
Preso atto di quelli che sono i beni comuni, dovrà ora aversi riguardo anche ai beni che invece non entrano a far parte della comunione
Questi sono i beni che appartenevano al coniuge già prima del matrimonio, i beni acquisiti successivamente al matrimonio per successione e donazione, i beni di uso strettamente personali, i beni destinati all'esercizio della professione del coniuge, i beni o le somme ottenuti a titolo di risarcimento del danno e le pensioni per perdita della capacità lavorativa, i beni acquistati col prezzo della vendita di beni personali purchè dichiarato nell'atto di acquisto.
Preso atto di quanto sopra, dovrà ora vedersi quando la comunione cessa i suoi effetti.
Anche in questo caso è lo stesso legislatore che indica i casi in cui la comunione si scioglie: morte di un coniuge, annullamento, scioglimento cessazione degli effetti civili del matrimonio, separazione personale dei coniugi, separazione giudiziale dei beni, mutamento convenzionale del regime patrimoniale dei beni, fallimento del coniuge.
Deve subito precisarsi che lo scioglimento della comunione è cosa ben diversa dalla divisione. La prima si ha per legge nei casi sopra indicati, mentre la seconda è solo eventuale nell'ipotesi in cui i coniugi vogliano materialmente separare le rispettive proprietà.
Ovviamente appare evidente che se può sembrare facile dividere equamente fra i coniugi una somma di danaro, così non è per un bene immobile che in caso di mancato accordo fra le parti, dovrà essere venduto e solo il ricavato verrà diviso fra gli ex coniugi.
A questo punto si rende necessario vedere l'altra faccia della medaglia: il regime della separazione dei beni, caratterizzata dal fatto che ciascun coniuge conserva la titolarità dei beni anche se acquistati dopo il matrimonio.
Per optare questa scelta sarà sufficiente che entrambi i coniugi rendano detta dichiarazione all'atto della celebrazione del matrimonio.
Se non dovessero aver fatto detta dichiarazione potranno sempre farlo in seguito mediante apposita convenzione da stipularsi con atto pubblico.
I coniugi che sceglieranno detto regime patrimoniale manterranno sui beni acquistati dopo il matrimonio la piena titolarità.
Iniziamo col dire che in mancanza di diversa convenzione , il regime patrimoniale della famiglia è quello della comunione dei beni tra i coniugi.
Contrariamente a quanto previsto nel previdente regime, il legislatore del 1975 ha privilegiato il regime della comunione dei beni acquistati durante la durata del matrimonio. Solo nell'ipotesi in cui i coniugi optino per la separazione dei beni verrà data pubblicità alla propria scelta poiché in caso contrario si presume che vi sia il regime della comunione dei beni.
L'art. 177 del codice civile sancisce che entrano nella comunione gli acquisti fatti dai coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio. È pertanto del tutto irrilevante la provenienza del denaro per l'acquisto, il bene acquistato anche da un solo coniuge entra a far parte della comunione senza ulteriore trasferimento di proprietà, quindi, non importa se il danaro sia stato prodotto da uno solo dei coniugi o da entrambi
Più delicato appare il problema degli acquisti dove manchi il titolo di acquisto. Caso tipico è quello della casa costruita sul terreno di uno dei coniugi. In base ai principi generali dell'accessione la costruzione apparterrebbe al proprietario del terreno su cui è stata realizzata. Ma nel caso di matrimonio, ci si chiede chi sia il titolare dell'immobile. La giurisprudenza ritiene che tale acquisto non rientri nella comunione e l'altro coniuge sia solo titolare di un diritto di credito per la somma impiegata nella costruzione, se l'apporto provenga dal suo patrimonio personale, ovvero, pari alla metà se derivi dalla comunione.
Altro problema piuttosto controverso è quello relativo ai diritti di credito. Si pensi all'acquisto della casa coniugale da una cooperativa che abbia già assegnato l'immobile ma il cui atto di assegnazione sia ancora da eseguire.
Anche in questo caso, la Suprema Corte ha affermato che ai fini dell'attribuzione alla comunione legale, rileva il momento dell'acquisto formale in quanto il diritto di credito rimarrebbe escluso dalla comunione a meno che non si tratti di casi particolari in cui solo un coniuge aveva ceduto obbligazioni societarie.
Ancora entrano a far parte della comunione anche i frutti dei beni propri ed i proventi dell'attività separata di ognun coniuge che ancora non siano stati consumati al momento dello scioglimento della comunione.
Per quanto riguarda le aziende gestite da entrambi i coniugi, queste entreranno a far parte della comunione solo se costituite dopo il matrimonio, mentre se esistenti già prima, al coniuge spetteranno solo gli incrementi e gli utili.
Preso atto di quelli che sono i beni comuni, dovrà ora aversi riguardo anche ai beni che invece non entrano a far parte della comunione
Questi sono i beni che appartenevano al coniuge già prima del matrimonio, i beni acquisiti successivamente al matrimonio per successione e donazione, i beni di uso strettamente personali, i beni destinati all'esercizio della professione del coniuge, i beni o le somme ottenuti a titolo di risarcimento del danno e le pensioni per perdita della capacità lavorativa, i beni acquistati col prezzo della vendita di beni personali purchè dichiarato nell'atto di acquisto.
Preso atto di quanto sopra, dovrà ora vedersi quando la comunione cessa i suoi effetti.
Anche in questo caso è lo stesso legislatore che indica i casi in cui la comunione si scioglie: morte di un coniuge, annullamento, scioglimento cessazione degli effetti civili del matrimonio, separazione personale dei coniugi, separazione giudiziale dei beni, mutamento convenzionale del regime patrimoniale dei beni, fallimento del coniuge.
Deve subito precisarsi che lo scioglimento della comunione è cosa ben diversa dalla divisione. La prima si ha per legge nei casi sopra indicati, mentre la seconda è solo eventuale nell'ipotesi in cui i coniugi vogliano materialmente separare le rispettive proprietà.
Ovviamente appare evidente che se può sembrare facile dividere equamente fra i coniugi una somma di danaro, così non è per un bene immobile che in caso di mancato accordo fra le parti, dovrà essere venduto e solo il ricavato verrà diviso fra gli ex coniugi.
A questo punto si rende necessario vedere l'altra faccia della medaglia: il regime della separazione dei beni, caratterizzata dal fatto che ciascun coniuge conserva la titolarità dei beni anche se acquistati dopo il matrimonio.
Per optare questa scelta sarà sufficiente che entrambi i coniugi rendano detta dichiarazione all'atto della celebrazione del matrimonio.
Se non dovessero aver fatto detta dichiarazione potranno sempre farlo in seguito mediante apposita convenzione da stipularsi con atto pubblico.
I coniugi che sceglieranno detto regime patrimoniale manterranno sui beni acquistati dopo il matrimonio la piena titolarità.
Articolo del: