Concorrenza sleale: etichette irregolari
Sviamento della clientela mediante l'uso di etichette irregolari
Nel caso di commercializzazione di prodotti agro-alimentari, i quali devono essere necessariamente corredati di apposita etichetta prima di essere immessi sul mercato, il mancato rispetto delle norme relative all’etichettatura, unitamente ad altre circostanze idonee a comprovare il dolo dell’agente, può intendersi come occasione di sviamento della clientela ed integrare così, non solo la violazione degli art. 2 e 3, 1° c. - lett. f) del d.lgs n. 109/1992, ma anche (e soprattutto) ipotesi di concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., n. 3?
Il Tribunale di Catanzaro con sentenza n. 47/16 del 11.01.2016, rispetto alla controversia giudicata, ha dato risposta affermativa.
In particolare, nel caso esaminato dal Tribunale adito, una ditta di liquori artigianali calabrese citava in giudizio una ditta di liquori artigianali campana in quanto quest’ultima aveva immesso sul mercato (in Calabria) liquori tipici della tradizione calabrese prodotti, però, in Campania e senza indicare nell’etichettatura la sede dello stabilimento di produzione. Contemporaneamente, la stessa ditta convenuta, aveva immesso sul mercato calabrese anche liquori della tradizione campana le cui etichette, invece, recavano regolarmente la sede dello stabilimento di produzione.
Il Tribunale di Catanzaro accoglieva la domanda della ditta calabrese ritenendo senz’altro sussistente la violazione degli art. 2 e 3, 1° c. - lett. f) del d.lgs n. 109/1992 e che tale condotta integrava gli estremi della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., n. 3.
L’etichettatura è elemento fondamentale nella commercializzazione di prodotti alimentari essendo volta ad assicurare una corretta e trasparente informazione del prodotto al consumatore (art. 2 del D.Lgs. 1992/109). Mediante l’etichettatura si garantisce la rintracciabilità del prodotto ovvero la possibilità di ricostruire la storia dello stesso attraverso l’indicazione di specifiche informazioni essenziali fra cui "la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento" (art. 3, 1° c. lett. f, D.Lgs. cit.).
L’indirizzo completo dello stabilimento di produzione è obbligatorio e permette al consumatore di sapere, tra le varie cose, se il prodotto proviene da regioni o paesi rinomati per la bontà di una certa specialità.
Da quanto precede discende che l’indicazione della sola iscrizione alla Camera di Commercio a nulla rileva in quanto è insufficiente allo scopo appena citato.
E, pertanto, tenuto conto della ratio delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 109/1992 (in particolare dall’art. 2, in relazione agli art. 3, lett. f, e 11), sussiste la violazione amministrativa prevista dall’art. 18 di detto D.Lgs. allorché al consumatore non sia consentita una immediata e certa identificazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento (Cass. Civ., sez. I, sent. n. 6267/2001).
Il togato catanzarese riteneva, inoltre, che la condotta tenuta dalla ditta campana, in violazione delle disposizioni dal D.Lgs. n. 109/1992, integrava, altresì, gli estremi della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., n. 3.
Per parlarsi di concorrenza sleale - che di regola si configura come sviamento della clientela - è, pertanto, indispensabile che tra i soggetti economici sussista il cd rapporto di concorrenzialità. Si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori (comunanza di clientela, effettiva o potenziale) e che operano in una qualsiasi fase della produzione o del commercio destinata a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni (Cass. Civ., 4029/1985).
E’ necessario, inoltre, che la condotta tenuta da uno degli imprenditori sia idonea ad arrecare pregiudizio all’altro, pur in assenza di danno attuale (si vd Trib. Torino, 13/01/2006).
Ciò premesso, nel caso di cui trattasi, il comportamento denunciato dalla ditta calabrese è stato ritenuto idoneo a produrre quegli effetti di mercato dannosi per il concorrente che si riconducono allo sviamento della clientela essendo stata provata la malafede della ditta campana convenuta la cui condotta era evidentemente volta a conquistare slealmente una fascia di mercato attratta dai liquori della tradizione calabrese ma erroneamente indotta a ritenerli effettivamente prodotti in Calabria.
Il Tribunale di Catanzaro con sentenza n. 47/16 del 11.01.2016, rispetto alla controversia giudicata, ha dato risposta affermativa.
In particolare, nel caso esaminato dal Tribunale adito, una ditta di liquori artigianali calabrese citava in giudizio una ditta di liquori artigianali campana in quanto quest’ultima aveva immesso sul mercato (in Calabria) liquori tipici della tradizione calabrese prodotti, però, in Campania e senza indicare nell’etichettatura la sede dello stabilimento di produzione. Contemporaneamente, la stessa ditta convenuta, aveva immesso sul mercato calabrese anche liquori della tradizione campana le cui etichette, invece, recavano regolarmente la sede dello stabilimento di produzione.
Il Tribunale di Catanzaro accoglieva la domanda della ditta calabrese ritenendo senz’altro sussistente la violazione degli art. 2 e 3, 1° c. - lett. f) del d.lgs n. 109/1992 e che tale condotta integrava gli estremi della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., n. 3.
L’etichettatura è elemento fondamentale nella commercializzazione di prodotti alimentari essendo volta ad assicurare una corretta e trasparente informazione del prodotto al consumatore (art. 2 del D.Lgs. 1992/109). Mediante l’etichettatura si garantisce la rintracciabilità del prodotto ovvero la possibilità di ricostruire la storia dello stesso attraverso l’indicazione di specifiche informazioni essenziali fra cui "la sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento" (art. 3, 1° c. lett. f, D.Lgs. cit.).
L’indirizzo completo dello stabilimento di produzione è obbligatorio e permette al consumatore di sapere, tra le varie cose, se il prodotto proviene da regioni o paesi rinomati per la bontà di una certa specialità.
Da quanto precede discende che l’indicazione della sola iscrizione alla Camera di Commercio a nulla rileva in quanto è insufficiente allo scopo appena citato.
E, pertanto, tenuto conto della ratio delle disposizioni dettate dal D.Lgs. n. 109/1992 (in particolare dall’art. 2, in relazione agli art. 3, lett. f, e 11), sussiste la violazione amministrativa prevista dall’art. 18 di detto D.Lgs. allorché al consumatore non sia consentita una immediata e certa identificazione della sede dello stabilimento di produzione o di confezionamento (Cass. Civ., sez. I, sent. n. 6267/2001).
Il togato catanzarese riteneva, inoltre, che la condotta tenuta dalla ditta campana, in violazione delle disposizioni dal D.Lgs. n. 109/1992, integrava, altresì, gli estremi della concorrenza sleale di cui all’art. 2598 c.c., n. 3.
Per parlarsi di concorrenza sleale - che di regola si configura come sviamento della clientela - è, pertanto, indispensabile che tra i soggetti economici sussista il cd rapporto di concorrenzialità. Si trovano in situazione di concorrenza tutte le imprese i cui prodotti e servizi concernano la stessa categoria di consumatori (comunanza di clientela, effettiva o potenziale) e che operano in una qualsiasi fase della produzione o del commercio destinata a sfociare nella collocazione sul mercato di tali beni (Cass. Civ., 4029/1985).
E’ necessario, inoltre, che la condotta tenuta da uno degli imprenditori sia idonea ad arrecare pregiudizio all’altro, pur in assenza di danno attuale (si vd Trib. Torino, 13/01/2006).
Ciò premesso, nel caso di cui trattasi, il comportamento denunciato dalla ditta calabrese è stato ritenuto idoneo a produrre quegli effetti di mercato dannosi per il concorrente che si riconducono allo sviamento della clientela essendo stata provata la malafede della ditta campana convenuta la cui condotta era evidentemente volta a conquistare slealmente una fascia di mercato attratta dai liquori della tradizione calabrese ma erroneamente indotta a ritenerli effettivamente prodotti in Calabria.
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