Contagio da HIV: prescrizione del diritto al risarcimento dei danni


La Cassazione interviene in materia di prescrizione del risarcimento dei danni da emotrasfusioni
Contagio da HIV: prescrizione del diritto al risarcimento dei danni

Come noto, sono (purtroppo) numerosi i casi di “malasanità” che vedono coinvolti soggetti infettati in conseguenza di un’emotrasfusione.

Su tali ipotesi, la Suprema Corte di Cassazione è spesso intervenuta non soltanto per individuare le relative responsabilità in capo ai medici ed alle strutture sanitarie, ma anche per dirimere le profonde perplessità ed i molteplici dubbi insorti in ordine al termine di prescrizione delle domande di risarcimento dei danni proponibili dai pazienti infettati.

Orbene, occorre preliminarmente evidenziare che, secondo un orientamento ormai granitico e consolidato dei Giudici di Piazza Cavour, gli obblighi di controllo e di sorveglianza sull’attività concernente le trasfusioni di sangue e l’uso di emoderivati, gravano sul Ministero della Salute, il quale, in caso di violazione, risponde dei relativi danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., come nei casi di epatite e/o di infezione da HIV conseguenti ad emotrasfusioni infette.

In tal senso, esistono numerosissimi arresti giurisprudenziali (Cass., 31.10.2017, n. 25989; Cass., sez. un., 11.1.2008, n. 576; Cass., sez. un., 11.1.2008, n. 584 e altresì, conformemente, Cass., 27.4.2011, n. 9404; Cass., 29.8.2011, n. 17685; Cass., 23.1.2014, n. 1355) fondati su specifiche disposizioni normative: Legge n. 296 del 1958, art. 1; Legge n. 592 del 1967, artt. 1, 20, 21 e 22; D.P.R. n. 1256 del 1971; D.M. Sanità 7 febbraio 1972; D.M. Sanità 15 settembre 1972; Legge n. 519 del 1973; Legge 23 dicembre 1978, n. 833, specialmente l’art. 6, lett. b) e c) e l’art. 4, n. 6); D.L. n. 443 del 1987; Legge n. 107 del 1990; Legge n. 178 del 1991; D.M. Sanità 12 giugno 1991; D. Lgs. n. 502 del 1992; D. Lgs. n. 266 del 1993; D. Lgs. n. 267 del 1993; D. Lgs. n. 44 del 1997; D. Lgs. n. 449 del 1997, art. 32, comma 11; D. Lgs. n. 112 del 1998.

Da ultimo, sul medesimo argomento, si è espressa nuovamente la Cassazione con ordinanza n. 7814 del 29 marzo 2018, che ha pienamente confermato il suo precedente indirizzo come sopra riportato, precisando altresì, che l’obbligo di vigilanza in capo al Ministero sussisteva già negli anni 60 – 70 proprio in virtù di precise disposizioni normative, finalizzate ad evitare la trasmissione di malattie attraverso il sangue infetto.

In merito alla responsabilità per trasfusioni infette da imputare alla struttura sanitaria, la Cassazione ha stabilito che quest’ultima è direttamente responsabile allorquando l’evento dannoso risulti da ascriversi alla condotta colposa posta in essere – quand’anche a sua insaputa (cfr. Cass., 17/5/2001, n. 6756) – dal medico (cfr. Cass., 27/8/2014, n. 18304), della cui attività essa si è comunque avvalsa per l’adempimento della propria obbligazione contrattuale.

Gli Ermellini, inoltre, hanno evidenziato che anche in epoca antecedente l’entrata in vigore del D.L. n. 443 del 1987, art. 5, comma 7, (conv., con modif., nella L. n. 531 del 1987) – che ha posto l’obbligo per le Usl di compiere preventivi controlli del sangue da destinare alle trasfusioni al fine di accertare l’assenza del virus HIV – l’attività di trasfusione era connotata da obiettiva pericolosità, sicché l’inosservanza della normativa innanzi richiamata, del protocollo e delle linee guida delle leges artis, emanati allo scopo di evitare i rischi specifici che nella fattispecie si sono verificati e perciò prevedibili, configura grave inadempimento contrattuale del medico per condotta commissiva ed omissiva, imputabile anche alla struttura sanitaria ai sensi dell’art. 1228 c.c. (Cass., 20/4/2010, n. 9315), come nella fattispecie sottoposta all’attenzione dei Giudici relativa al caso di un soggetto che aveva contratto il virus HIV, in quanto se non fosse stata praticata la trasfusione o comunque se fosse stato testato il sangue del donatore, tale evento non si sarebbe verificato (Cass., Sez. Un., nn. 581 e 584 del 2008; Cass., 20/4/2010, n. 9315).

Ciò posto in relazione alle responsabilità cui sono chiamati i medici e le strutture sanitarie, va esaminata adesso l’altrettanto importante ed estremamente delicata questione del termine di prescrizione applicabile alle ipotesi di domande di risarcimento dei danni derivanti da trasfusioni di sangue infetto.

Anche su tale tema, la Suprema Corte ha confermato più volte un consolidato ed ormai stabile principio di diritto, che risulta riportato anche nella sentenza n. 4029 del 20 febbraio 2018.

Secondo tale orientamento, la responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemia colposa o lesioni colpose plurime) – in tal senso, Cass. 23/01/2014 n. 1355; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581; Cass., 14/7/2011, n. 15453; Cass., 18/12/2012, n. 23321.

Da ultimo con la suindicata sentenza n. 4029/2018, la Cassazione ha sostanzialmente ribadito il suesposto concetto, enunciando il seguente principio di diritto:

La responsabilità del Ministero della Salute per i danni conseguenti ad infezioni da virus HBV, HIV e HCV contratte da soggetti emotrasfusi è di natura extracontrattuale, né sono ipotizzabili, al riguardo, figure di reato tali da innalzare i termini di prescrizione (epidemie colpose o lesioni colpose plurime); ne consegue che il diritto al risarcimento nel danno da parte di chi assume di aver contratto tali patologie per fatto doloso o colposo di un terzo è soggetto al termine di prescrizione quinquennale che decorre, a norma dell’art. 2935 c.c., e art. 2947 c.c., comma 1, non dal giorno in cui il terzo determina la modificazione causativa del danno o dal momento in cui la malattia si manifesta all’esterno, bensì da quello in cui tale malattia viene percepita o può essere percepita quale danno ingiusto conseguente al comportamento del terzo, usando l’ordinaria diligenza e tenendo conto della diffusione delle conoscenze scientifiche, da ritenersi coincidente non con la comunicazione del responso della commissione medica ospedaliera di cui all’articolo quattro della L. 25 febbraio 1992, n. 210, ma con la proposizione della relativa domanda amministrativa, che attesta l’esistenza in capo all’interessato, di una sufficiente ed adeguata percezione della malattia (Cass. n. 6213/2017; Cass. n. 28464/2013; Cass. ord. 4996/2017).

Articolo del:


di Avv. Giulio Costanzo

L'autore dell'articolo non è nella tua città?

Cerca un professionista con le stesse caratteristiche a te più vicino.

Cerca nella tua città o in una città di tuo interesse