Corte di Cassazione, a Lei l'ardua sentenza


La Suprema Corte dovrà decidere sulla sussistenza, o meno, di un rapporto di lavoro dipendente
Corte di Cassazione, a Lei l'ardua sentenza
La Corte d'Appello di Genova ha pronunciato sentenza con cui ha ritenuto che gli appelli proposti dalla Società fossero fondati. Gli appelli sono fondati, ritiene infatti la Corte che l’appellato non abbia mai provato, come era suo onere, la sussistenza del dedotto rapporto di lavoro subordinato con la Società.
Occorre innanzitutto considerare che il cantiere avente ad oggetto la variante in provincia di La Spezia, presso cui ha lavorato l'appellato, ha formato oggetto di un contratto di affitto di ramo di azienda del 10.12.2013 tra l'azienda che all'epoca svolgeva l'attività di esecuzione dell'opera, concedente e datrice di lavoro dell’appellato e l'odierna appellante, affittuaria e che tale contratto di affitto era sottoposto alla condizione sospensiva della approvazione delle Stazioni appaltanti.
Rileva poi che il 31 gennaio 2014 venne siglato un accordo tra le due Società e le Organizzazioni sindacali in forza del quale il personale dipendente del precedente datore di lavoro, impegnato nei lavori oggetto del ramo d’azienda ceduto, sarebbe passato alle dipendenze dell'odierna appellante.
Va inoltre sottolineato che la validità e l’efficacia di tale accordo (prodotto anch’esso dal ricorrente) dovevano intendersi sospensivamente condizionate all’avveramento di tutte le condizioni sospensive previste dal contratto d’affitto di azienda, tra cui l’approvazione delle stazioni appaltanti.
Infine va rilevato che nel contratto di affitto del 10.12.2013 era anche stabilito che la consegna del ramo d’azienda sarebbe avvenuta entro un certo termine dall’avveramento della condizione sospensiva, con modalità tali da garantire la continuità dell’attività aziendale e che i costi, pagamenti, ricavi e incassi del ramo d’azienda sarebbero rimasti in capo alla concedente sino alla data di efficacia del contratto di affitto.
E’ pacifico tra le parti che la condizione sospensiva non ebbe mai ad avverarsi, che conseguentemente il contratto di affitto di ramo di azienda non è mai divenuto efficace e così non si è neppure attuato il trasferimento del personale previsto nell’accordo sindacale del 31.1.2014.
Ciò nonostante il lavoratore, che per sua stessa ammissione era dipendente dell precedente datore di lavoro e responsabile della contabilità del cantiere oggetto del contratto di affitto e che è stato poi assunto dalla società che è subentrata nella gestione del cantiere al posto dell'appellante, pretende di imputare alla stessa a titolo di prestazioni di lavoro subordinato con diritto al ripristino del rapporto, l’attività da lui resa nel periodo che va dalla stipula del contratto di affitto di azienda in poi.
Benché sia innegabile che egli abbia svolto in detto periodo l’attività risultante dalla copiosa documentazione in atti e riferita dai testi, che abbia ricevuto dall'appellante dei rimborsi in denaro e che l’attività sia stata da lui resa nell’interesse anche dell'appellante appunto, ciò nondimeno non può dirsi costituito nessun rapporto di lavoro tra il lavoratore e l'appellante che mai è diventata titolare dell’appalto e del cantiere presso cui ha lavorato il ricorrente.
I compiti svolti dal ricorrente rientravano infatti, in parte tra quelli per la realizzazione dei quali il soggetto era obbligato era il precedente datore di lavoro in vista del trasferimento dell’appalto all'appellante.
La situazione non muta per il fatto che il lavoratore abbia ricevuto istruzioni e direttive da parte dei funzionari dell'appellante in quanto ciò è avvenuto con il consenso del precedente datore di lavoro a cui, secondo quanto riferito dai testi, l'appellante si era rivolta per avere qualcuno che l’affiancasse per la verifica contabile dei lavori.
Ritiene in definitiva la Corte che nella fattispecie si sia venuta creando una situazione (per nulla anomala e assimilabile a un distacco) per cui al lavoratore è stato assegnato dal proprio datore di lavoro, che ne aveva interesse, il compito di collaborare con l'appellante ) che ha pertanto esercitato nei suoi confronti i poteri direttivi funzionali a quella collaborazione, poteri direttivi che peraltro non risultano essere stati particolarmente pregnanti, senza per questo assumere egli stesso la qualità di suo datore di lavoro.
Il fatto che il lavoratore si trovasse in quel periodo in cassa integrazione non ha poi particolarmente rilevanza nel presente giudizio in quanto della incompatibilità a prestare attività lavorativa che conseguiva a tale situazione non può trarsi nessuna conclusione in ordine alla risoluzione della controversia che deve essere decisa sulla base di elementi oggettivi quali la titolarità in capo al precedente datore di lavoro del rapporto di lavoro sospeso, l’appartenenza al precedente datore di lavoro del cantiere in cui tale rapporto si è svolto e la riferibilità dell’attività svolta dal ricorrente in detto periodo a quella che gli era propria nell’ambito del rapporto di lavoro con il precedente datore di lavoro, rapporto formalmente sospeso per l’intervento della Cassa integrazione, ma di fatto ancora in essere.
(L’incompatibilità di cui si è detto avrebbe potuto determinare la perdita del diritto del ricorrente al trattamento di Cassa integrazione ex art. 8, comma 5, del d.l. 86 del 1988, convertito con l. 160 del 1988, ma non può valere per escludere la prosecuzione di fatto del rapporto di lavoro formalmente sospeso).
Sulla base degli accordi contrattuali prima citati e delle disposizioni dei testi, può affermarsi che il lavoratore era titolare di una mera aspettativa rispetto alla sua futura assunzione da parte dell'appellante.
Tale aspettativa non può essere tutelata neppure sotto il profilo del risarcimento del danno per perdita di chance, come richiesto in via subordinata dal ricorrente, in quanto la sua mancata assunzione non è certo dipesa da un comportamento colpevole della appellante ma dal mancato avverarsi della condizione sospensiva a cui era del tutto legittimante subordinata l’assunzione stessa e la sua esistenza era ben nota al ricorrente sicché deve anche escludersi che egli abbia potuto nutrire un legittimo e incondizionato affidamento nella sua assunzione.
In considerazione della riforma delle sentenze appellate il lavoratore deve essere condannato a restituire all’appellante le somme ricevute in esecuzione delle sentenze stesse.
La predetta sentenza è stata impugnata presso la Corte di Cassazione... ne vedremo delle belle.

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di Avv. Stefano Barillari

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