Creditore ipotecario e fallimento
Divieto di azione esecutiva individuale; creditore ipotecario e tutela dei creditori, revocatoria ordinaria o fallimentare, rimedi esperibili.

L’art. 51 L.F. sancisce il divieto di iniziare e proseguire qualsiasi azione esecutiva o cautelare individuale una volta intervenuta la sentenza dichiarativa di fallimento del debitore. La norma, letta in coordinato con gli artt. 42 e 44 L.F., che stabiliscono l’indisponibilità dei beni per il fallito e l’inefficacia relativa degli atti effettuati e ricevuti dopo la pronuncia giudiziale, è finalizzata alla cristallizzazione del patrimonio del debitore, affinché questo possa essere destinato al soddisfacimento delle pretese creditorie. La disciplina in commento è applicabile esclusivamente ai beni rientranti nel patrimonio del fallito.
Ci si può chiedere, allora, quali tutele abbiano i creditori sui beni usciti dal patrimonio prima del fallimento. In particolare, come si dovrebbe agire nel caso in cui il fallito abbia alienato a titolo oneroso a terzi un immobile, già oggetto di azione esecutiva da parte di un istituto di credito che su questo vanta un’ipoteca. Come è noto, il diritto di sequela, effetto della costituzione d’ipoteca, fa sì che il creditore ipotecario possa sottoporre il bene a esecuzione forzata, indipendentemente dalle vicende dominicali dello stesso. L’eventuale somma eccedente, ricavata dalla vendita dell’immobile, deve essere assegnata al proprietario: nel caso di specie, dovrebbe essere consegnata al terzo acquirente del fallito che, in accordo con quest’ultimo, potrebbe occultare la stessa nelle more del giudizio di revocatoria, ordinaria o fallimentare, con evidente danno per i creditori del fallimento.
Un primo dato certo è che il curatore non può intervenire nella procedura esecutiva per paralizzare l’azione dell’istituto di credito, facendo valere la preclusione di cui all’art. 51 L.F. Infatti, l’improcedibilità del giudizio può essere pronunciata solo in relazione ad azioni individuali contro i beni rientranti nel patrimonio del fallito, non dunque aventi a oggetto i beni acquistati da terzi: questo sarebbe possibile solo all’esito vittorioso della revocatoria.
Ci si potrebbe domandare, allora, se sia possibile la formulazione della richiesta di sospensione del giudizio d’esecuzione in base alla mera trascrizione della domanda di revocazione (ex art. 2652 co.1 n.5 c.c.). In particolare, se i gravi motivi di cui all’art. 624 c.p.c. possano essere integrati anche dalla pendenza dell’azione revocatoria e dalle conseguenze di un suo eventuale accoglimento. È indubbio l’interesse del fallimento a tale pronuncia: infatti, l’accoglimento della revocatoria comporterebbe innanzitutto, sul piano sostanziale, l’inopponibilità della cessione a titolo oneroso; sul piano processuale, l’arresto della stessa azione esecutiva individuale e, infine, su un piano meramente pratico, eviterebbe che l’eccedenza tra il valore dell’immobile e il debito garantito da ipoteca sia restituita al terzo acquirente e, quindi, facilmente distraibile dalle ragioni del fallimento. Come afferma la S.C.[i], la sospensione dell’esecuzione può invocarsi sulla base della presumibile caducazione della pretesa del creditore procedente (per fatti impeditivi, modificativi, estintivi della stessa successivamente al formarsi del titolo esecutivo), ovvero in relazione a questioni di puro diritto. Bisogna aggiungere che rimane ancora controversa la sorte degli atti esecutivi compiuti in violazione dell’art. 51 L.F.: alcune pronunce ne dichiarano l’inopponibilità nei confronti del fallimento, altre la più radicale nullità.
La Cassazione non si è ancora espressa puntualmente sull’ammissibilità della sospensione, tuttavia due decisioni di merito sembrano far propendere per la soluzione positiva. La prima del Tribunale di Modena[ii] ammette la ricorrenza dei gravi motivi di cui all’art.624 c.p.c., in base a un’attenta analisi degli effetti della sentenza che accoglie la domanda di revocatoria ordinaria o fallimentare. La seconda del Tribunale di Vicenza[iii] accorda la sospensione del procedimento d’esecuzione fondata sulla sola trascrizione della domanda giudiziale di cui agli artt. 2652 n.4 e 2932 c.c. Quest’ultima decisione non riguarda esattamente il caso de quo, ma è interessante notare che il Tribunale concede la sospensione, facendo prevalere il diritto del terzo che, sebbene sia solo eventuale, ha un potenziale tale da giustificare uno spostamento dell’an e del quando del soddisfacimento del creditore ipotecario. Il Tribunale specifica, inoltre, che i gravi motivi non possono che coincidere con l’elevata probabilità che la domanda sia accolta, come risulta da un’indagine sommaria degli atti della causa. È pertanto legittimo che il terzo non ancora vittorioso chieda la sospensione del procedimento esecutivo in attesa della definizione del procedimento di cognizione di cui alla domanda trascritta prima del pignoramento. Nel caso qui in analisi, lo spostamento sarebbe solo relativo al momento del soddisfacimento del creditore ipotecario, non venendo in dubbio il suo diritto. Di contro, il rigetto della sospensione potrebbe comportare la violazione dell’art. 51 L.F. e, soprattutto, frustrare il buon esito della procedura fallimentare.
Nel caso fosse negata la sospensione dell’azione esecutiva o anche in assenza di tale opposizione, nelle more del giudizio revocatorio, il curatore potrebbe richiedere il sequestro del bene o eventualmente, se già venduto, delle somme eccedenti il credito garantito da ipoteca.
Il sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c., è ammesso sia nel caso di revocatoria ordinaria, sia fallimentare e può avere a oggetto non solo l’immobile, ma anche le somme dovute. L’ammissibilità del sequestro giudiziario invece non è pacifica. In particolare, si ritiene inammissibile se correlato a una revocatoria ordinaria, perché, a stretto diritto, quest’azione non implica alcuna controversia diretta o indiretta circa la proprietà o il possesso del bene, tendendo solo a ottenere una pronuncia d’inefficacia relativa del trasferimento del bene che, comunque, rimane valido. Quanto all’ammissibilità del sequestro giudiziario correlato alla domanda revocatoria fallimentare, qui la giurisprudenza non è costante. Per i sostenitori dell’inammissibilità di tale strumento cautelare valgono i medesimi rilievi appena visti: in particolare, lo scopo della revocatoria fallimentare consisterebbe nella reintegrazione della garanzia patrimoniale, tramite l’assoggettabilità a esecuzione di un certo bene, rilevante per il suo valore, non per la sua individualità. Secondo la tesi opposta, invece, qualora sia presentata anche domanda di restituzione del bene, pur se ai soli fini dell’esecuzione concorsuale, il sequestro giudiziario sarebbe ammissibile. Infine, secondo una pronuncia[iv], sarebbe da ammettere il sequestro giudiziario di un bene oggetto di cessione, impugnata con revocatoria ordinaria in sede fallimentare in base a una asserita equivalenza di effetti tra la revocatoria fallimentare e quella ordinaria, se esperita in una procedura fallimentare: "mentre l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria...implica una mera declaratoria di inefficacia dell’atto nei suoi confronti, così da aggredire il bene con esecuzione individuale; l’accoglimento della revocatoria fallimentare comporta la restituzione del bene all’amministrazione del fallimento...la revocatoria ordinaria esperita dal fallimento - nell’ambito di una procedura caratterizzata dall’acquisizione di tutti i bene del fallito - non differisce, sotto tale profilo da una revocatoria fallimentare".
Per concludere, nel caso di bene ceduto a terzi e oggetto d’esecuzione da parte del creditore ipotecario, nelle more del giudizio di revocatoria, il curatore potrebbe tutelare le ragioni del fallimento chiedendo innanzitutto la sospensione del procedimento esecutivo e, allo stesso tempo, il sequestro del bene al giudice del fallimento. Queste azioni hanno il preciso scopo di evitare, che il terzo acquirente s’impossessi della somma risultante dalla differenza tra il ricavato dalla vendita dell’immobile e il credito garantito con ipoteca a scapito dei creditori del fallimento.
[i] Cass. Civ., sez. III, 09/07/2008, n. 18856
[ii] Trib. Modena 1 Febbraio 2001, in G.It., 01, p. 997
[iii] Trib. Vicenza 23 Marzo 2010
[iv] Trib. Genova 22 Settembre 1997, in Foro it., 1998, I, pp. 1997 e ss.
Ci si può chiedere, allora, quali tutele abbiano i creditori sui beni usciti dal patrimonio prima del fallimento. In particolare, come si dovrebbe agire nel caso in cui il fallito abbia alienato a titolo oneroso a terzi un immobile, già oggetto di azione esecutiva da parte di un istituto di credito che su questo vanta un’ipoteca. Come è noto, il diritto di sequela, effetto della costituzione d’ipoteca, fa sì che il creditore ipotecario possa sottoporre il bene a esecuzione forzata, indipendentemente dalle vicende dominicali dello stesso. L’eventuale somma eccedente, ricavata dalla vendita dell’immobile, deve essere assegnata al proprietario: nel caso di specie, dovrebbe essere consegnata al terzo acquirente del fallito che, in accordo con quest’ultimo, potrebbe occultare la stessa nelle more del giudizio di revocatoria, ordinaria o fallimentare, con evidente danno per i creditori del fallimento.
Un primo dato certo è che il curatore non può intervenire nella procedura esecutiva per paralizzare l’azione dell’istituto di credito, facendo valere la preclusione di cui all’art. 51 L.F. Infatti, l’improcedibilità del giudizio può essere pronunciata solo in relazione ad azioni individuali contro i beni rientranti nel patrimonio del fallito, non dunque aventi a oggetto i beni acquistati da terzi: questo sarebbe possibile solo all’esito vittorioso della revocatoria.
Ci si potrebbe domandare, allora, se sia possibile la formulazione della richiesta di sospensione del giudizio d’esecuzione in base alla mera trascrizione della domanda di revocazione (ex art. 2652 co.1 n.5 c.c.). In particolare, se i gravi motivi di cui all’art. 624 c.p.c. possano essere integrati anche dalla pendenza dell’azione revocatoria e dalle conseguenze di un suo eventuale accoglimento. È indubbio l’interesse del fallimento a tale pronuncia: infatti, l’accoglimento della revocatoria comporterebbe innanzitutto, sul piano sostanziale, l’inopponibilità della cessione a titolo oneroso; sul piano processuale, l’arresto della stessa azione esecutiva individuale e, infine, su un piano meramente pratico, eviterebbe che l’eccedenza tra il valore dell’immobile e il debito garantito da ipoteca sia restituita al terzo acquirente e, quindi, facilmente distraibile dalle ragioni del fallimento. Come afferma la S.C.[i], la sospensione dell’esecuzione può invocarsi sulla base della presumibile caducazione della pretesa del creditore procedente (per fatti impeditivi, modificativi, estintivi della stessa successivamente al formarsi del titolo esecutivo), ovvero in relazione a questioni di puro diritto. Bisogna aggiungere che rimane ancora controversa la sorte degli atti esecutivi compiuti in violazione dell’art. 51 L.F.: alcune pronunce ne dichiarano l’inopponibilità nei confronti del fallimento, altre la più radicale nullità.
La Cassazione non si è ancora espressa puntualmente sull’ammissibilità della sospensione, tuttavia due decisioni di merito sembrano far propendere per la soluzione positiva. La prima del Tribunale di Modena[ii] ammette la ricorrenza dei gravi motivi di cui all’art.624 c.p.c., in base a un’attenta analisi degli effetti della sentenza che accoglie la domanda di revocatoria ordinaria o fallimentare. La seconda del Tribunale di Vicenza[iii] accorda la sospensione del procedimento d’esecuzione fondata sulla sola trascrizione della domanda giudiziale di cui agli artt. 2652 n.4 e 2932 c.c. Quest’ultima decisione non riguarda esattamente il caso de quo, ma è interessante notare che il Tribunale concede la sospensione, facendo prevalere il diritto del terzo che, sebbene sia solo eventuale, ha un potenziale tale da giustificare uno spostamento dell’an e del quando del soddisfacimento del creditore ipotecario. Il Tribunale specifica, inoltre, che i gravi motivi non possono che coincidere con l’elevata probabilità che la domanda sia accolta, come risulta da un’indagine sommaria degli atti della causa. È pertanto legittimo che il terzo non ancora vittorioso chieda la sospensione del procedimento esecutivo in attesa della definizione del procedimento di cognizione di cui alla domanda trascritta prima del pignoramento. Nel caso qui in analisi, lo spostamento sarebbe solo relativo al momento del soddisfacimento del creditore ipotecario, non venendo in dubbio il suo diritto. Di contro, il rigetto della sospensione potrebbe comportare la violazione dell’art. 51 L.F. e, soprattutto, frustrare il buon esito della procedura fallimentare.
Nel caso fosse negata la sospensione dell’azione esecutiva o anche in assenza di tale opposizione, nelle more del giudizio revocatorio, il curatore potrebbe richiedere il sequestro del bene o eventualmente, se già venduto, delle somme eccedenti il credito garantito da ipoteca.
Il sequestro conservativo, ex art. 671 c.p.c., è ammesso sia nel caso di revocatoria ordinaria, sia fallimentare e può avere a oggetto non solo l’immobile, ma anche le somme dovute. L’ammissibilità del sequestro giudiziario invece non è pacifica. In particolare, si ritiene inammissibile se correlato a una revocatoria ordinaria, perché, a stretto diritto, quest’azione non implica alcuna controversia diretta o indiretta circa la proprietà o il possesso del bene, tendendo solo a ottenere una pronuncia d’inefficacia relativa del trasferimento del bene che, comunque, rimane valido. Quanto all’ammissibilità del sequestro giudiziario correlato alla domanda revocatoria fallimentare, qui la giurisprudenza non è costante. Per i sostenitori dell’inammissibilità di tale strumento cautelare valgono i medesimi rilievi appena visti: in particolare, lo scopo della revocatoria fallimentare consisterebbe nella reintegrazione della garanzia patrimoniale, tramite l’assoggettabilità a esecuzione di un certo bene, rilevante per il suo valore, non per la sua individualità. Secondo la tesi opposta, invece, qualora sia presentata anche domanda di restituzione del bene, pur se ai soli fini dell’esecuzione concorsuale, il sequestro giudiziario sarebbe ammissibile. Infine, secondo una pronuncia[iv], sarebbe da ammettere il sequestro giudiziario di un bene oggetto di cessione, impugnata con revocatoria ordinaria in sede fallimentare in base a una asserita equivalenza di effetti tra la revocatoria fallimentare e quella ordinaria, se esperita in una procedura fallimentare: "mentre l’accoglimento dell’azione revocatoria ordinaria...implica una mera declaratoria di inefficacia dell’atto nei suoi confronti, così da aggredire il bene con esecuzione individuale; l’accoglimento della revocatoria fallimentare comporta la restituzione del bene all’amministrazione del fallimento...la revocatoria ordinaria esperita dal fallimento - nell’ambito di una procedura caratterizzata dall’acquisizione di tutti i bene del fallito - non differisce, sotto tale profilo da una revocatoria fallimentare".
Per concludere, nel caso di bene ceduto a terzi e oggetto d’esecuzione da parte del creditore ipotecario, nelle more del giudizio di revocatoria, il curatore potrebbe tutelare le ragioni del fallimento chiedendo innanzitutto la sospensione del procedimento esecutivo e, allo stesso tempo, il sequestro del bene al giudice del fallimento. Queste azioni hanno il preciso scopo di evitare, che il terzo acquirente s’impossessi della somma risultante dalla differenza tra il ricavato dalla vendita dell’immobile e il credito garantito con ipoteca a scapito dei creditori del fallimento.
[i] Cass. Civ., sez. III, 09/07/2008, n. 18856
[ii] Trib. Modena 1 Febbraio 2001, in G.It., 01, p. 997
[iii] Trib. Vicenza 23 Marzo 2010
[iv] Trib. Genova 22 Settembre 1997, in Foro it., 1998, I, pp. 1997 e ss.
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