Criteri di calcolo del licenziamento illegittimo a seguito dell'incostituzionalità del Jobs act


Un commento alla recente sentenza del Tribunale di Taranto sui criteri per il licenziamento
Criteri di calcolo del licenziamento illegittimo a seguito dell'incostituzionalità del Jobs act

Con la sentenza in questione il giudice ha applicato di fatto in anticipo gli effetti della sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato l’incostituzionalità dell’articolo 3, comma 1, Dlgs 04 marzo 2015 n. 23 nella parte in cui determinava in maniera rigida l’indennità spettante al lavoratore illegittimamente licenziato.

Tuttavia il Giudice del Tribunale di Bari ha, invece, compiuto una valutazione di tipo equitativo, in riferimento al caso concreto, si da ritenere congrua un’indennità pari a dodici mensilità: “la predetta quantificazione dell’indennità è giustificata dalla considerevole gravità della violazione procedurale; tale profilo, concernente il comportamento tenuto dall’azienda, deve essere contemperato con le ridotte dimensioni dell’attività economica e il basso numero di lavoratori occupati, unitamente alla scarsa anzianità del ricorrente, sicchè induce a ritenere equa, fra il minimo di quattro e il massimo di ventiquattro, un’indennità pari a dodici mensilità.

In sostanza, il giudice ha compiuto un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma, disapplicando il criterio di calcolo automatico dell’indennità, basandosi di fatto sul comunicato della Corte Costituzionale del 26 settembre 2018 sopra evocato.

In tale documento, la Corte ha annunciato di aver dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 1, Dgls n.33/2015 sul contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, nella parte in cui “determina in modo rigido l’indennità spettante al lavoratore ingiustificatamente licenziato.

In particolare, la previsione di un’indennità crescente in ragione della sola anzianità di servizio, per violazione degli articoli 4 e 35 Cost..

Pena privata.

Questo è il concetto su cui, dopo la premessa soprastante, ad avviso di chi scrive, si dovrebbe discutere.

Nel parlare degli articoli 18 L 300/70, nel parlare di risarcimenti per licenziamenti illegittimi, i giuslavoristi, come il Prof. Matteo Dell’Olio, che ho avuto l’onore e il privilegio di seguire durante la specializzazione post lauream a Macerata, il concetto di pena privata dovrebbe essere sempre toccato.

E dunque, laddove la pena privata venga determinata solo con riferimento all’anzianità di servizio, civilisticamente parlando i criteri, oltre che ingiusti e discriminatori, sono anche insufficienti.

Come ha evidenziato il giudice tarantino, non solo va tenuto conto dell’anzianità di servizio, che, nel caso in questione era evidentemente poca, ma anche di altri pesi, quali il carico di famiglia del lavoratore, la possibilità di trovarsi un nuovo lavoro in breve o in lungo tempo: tutte questioni che, più o meno indirettamente possono e devono essere considerate nel liquidare il ristoro per il licenziamento illegittimo.

Criteri di stretta legalità, quindi, nell’ambito civile, non possono trovare agevole definizione.

Giusto quindi lasciare una certa flessibilità che, beninteso, abbia a riferimento un serio ristoro del lavoratore, ma, forse, da predeterminare unitariamente, laddove appunto si vogliano fissare minimi e massimi edittali.

Sebbene quindi si debba ancora attendere le motivazioni della Corte Costituzionale, dunque, si ragioni sul vero e proprio concetto della questione del licenziamento illegittimo: la pena privata.

E se pena privata debba essere, si ragioni, questo si, su come fissare bene i paletti per il ristoro del danno al lavoratore, senza tralasciare nulla, contributi previdenziali compresi.

 

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di Avv. Michele Vissani

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