Dal «Padre Padrone» al figlio manager


Le organizzazioni non devono subire colpi, ma fondarsi su una cultura di valori condivisa
Dal «Padre Padrone» al figlio manager

Le organizzazioni non devono subire colpi, ma fondarsi su una cultura di valori condivisa.

È il cambio generazionale. Dal padre padrone al figlio manager, una generazione di differenza.

Nella mia esperienza come HR Manager e Senior HR Consultant, noto spesso che le piccole aziende familiari lo patiscono. 

Il contraccolpo è spesso vigoroso, rischiano la crisi, se non addirittura il tracollo. 

 

Perché? Proviamo ad entrare nel merito e a darci una risposta.

Il cambio non dev’essere una rottura. A volte, prima del passaggio è meglio far entrare in azienda un esterno esperto e facilitatore con il compito di mediare tra passato e presente, tra l’autoritarismo del padrone-fondatore e l’auspicata autorevolezza manageriale del giovane imprenditore.

L’Istat dice: il 30% delle aziende italiane convive col rischio del cambio generazionale, oltre 60.000 imprenditori, tra vecchi e nuovi, sono coinvolti in questo dramma. 

L’economia polverizzata esaspera il pericolo e lo rende sempre più attuale. È capitato e capiterà ancora che aziende forti si sgretolino subito dopo il passaggio da una generazione all’altra. È accaduto che l’ingresso del computer o del marketing in imprese solide abbia stravolto gli equilibri fino a quel momento perfetti intorno alla figura mitica del fondatore. 

 

Che fare? Proviamo a dare una risposta.

Nei primi anni Ottanta, gli studiosi Tagiuri e Davis hanno apportato grandi contributi sul tema dell'interrelazione tra famiglia e impresa. Essi hanno ideato un modello di rappresentazione di tali relazioni, il cosiddetto “three circle model”. 

Il modello dei tre cerchi è formato, come si può vedere in figura, da tre sottosistemi: la famiglia, l'impresa (il business) e la proprietà. Questi tre insiemi sono indipendenti, ma allo stesso tempo interferiscono tra loro, condizionandosi vicendevolmente. 

 

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Nei primi studi, le aziende familiari erano viste come “sistemi dualistici”, in cui vi erano solamente famiglia e business (impresa). Ma i due studiosi hanno ritenuto opportuno l'inserimento del terzo sottosistema, la proprietà. I tre cerchi formano, intersecandosi tra loro, quattro ulteriori sottosistemi, quindi, nel complesso, sette settori. L'idea alla base del modello è che qualunque soggetto interagisca con l'azienda può collocarsi in uno di questi settori. 

Questo modello risulta molto efficace per comprendere la struttura di una family business e le dinamiche che si sviluppano al suo interno. 

Nell'intersezione tra famiglia-proprietà, si collocano i membri familiari che non lavorano in azienda, ma che possiedono quote di proprietà. Si tratta, nella maggior parte dei casi, di “proprietari passivi”, ovvero, nel caso di un'azienda che abbia già superato la prima generazione, sono coloro che fanno sì parte della famiglia, ma che non vengono coinvolti direttamente nel business.

Nell'intersezione famiglia-business, vi sono i familiari che lavorano in azienda: hanno quindi responsabilità verso di essa, ma non possiedono quote di partecipazione al capitale. Questi soggetti presentano similarità rispetto a quelli rientranti nell'area del solo business, con la differenza di avere uno stretto legame con la famiglia e, di conseguenza, con l'azienda familiare. I soggetti di queste due aree adottano più di una visione a lungo termine, hanno prospettive di carriera e sono propensi allo sviluppo aziendale. Qui emerge un primo conflitto tra i soggetti che operano in azienda, sia con quote partecipative che non, e i “soggetti inattivi”, poiché i primi mostrano l'intenzione di reinvestire la redditività ottenuta, mentre i secondi sono più interessati a percepire i dividendi. 

Nell’intersezione proprietà-business, dove non vi sono membri familiari, ma soggetti esterni alla famiglia che possiedono quote di capitale. Questi, solitamente, vengono inseriti nella compagine aziendale o per motivi di crisi, sperando quindi che un soggetto esterno possa risolvere la situazione in modo più oggettivo e meno coinvolto affettivamente, o perché i ricambi generazionali hanno fatto emergere segni di debolezza, risolvibili con l'intervento di soggetti terzi. Infine, i membri familiari che possiedono quote di partecipazione e svolgono un ruolo manageriale in azienda si trovano nell'area centrale, comune a tutti e tre i sottosistemi. Nonostante si trovino nella stessa area, possono avere aspettative diverse in base anche alle proprie prospettive future e alla propria indole personale. Vi saranno, per esempio, soggetti che preferiranno percepire dividendi, altri che reinvestiranno in azienda per puntare a posizioni migliori nel mercato, e altri ancora che mireranno a mantenere l'armonia in famiglia. 

Tagiuri e Davis, con il modello dei tre cerchi, hanno non solo evidenziato le caratteristiche dei vari attori all'interno del sistema azienda, a seconda se appartengano ad una, due o addirittura a tre aree contemporaneamente, ma hanno voluto anche dimostrare che la family business può vedere all'interno della sua struttura diversi conflitti, soprattutto quando vi è la sovrapposizione di più ruoli o quando gli attori hanno visioni e obiettivi diversi tra loro. 

 

La corporate governance per il superamento dei conflitti

Il modello qui in esame può essere ampliato ulteriormente con il sistema di corporate governance, il quale risulta funzionale al superamento di eventuali conflitti, ad una maggiore prospettiva di sviluppo e di continuità aziendale. 

La governance si pone come “elemento ordinatorio” della realtà aziendale, dato che rappresenta l'insieme di regole e di intenti familiari nello svolgere l'attività d'impresa, per cercare di creare un unicum tra i tre sottosistemi. Si definiscono meglio le responsabilità, la relazione impresa-famiglia, il funzionamento degli organi e le loro relazioni. 

La governance risulta fondamentale come supporto ai vari ostacoli che una family business può incontrare: infatti, a mano a mano che si susseguono i passaggi generazionali, la famiglia si allarga e l'azienda aumenta di dimensione e di complessità, perciò si necessita di una gestione dei mutamenti. 

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Per concludere le constatazioni circa i tre sottosistemi, vogliamo porre l'attenzione sul modo di interagire tra essi nel passaggio da una generazione all'altra. 

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La figura qui riportata esplicita come le tre aree si modifichino nel tempo. Infatti, nel momento in cui l'imprenditore fonda l'azienda, sicuramente ci troveremo nella fase in cui i tre cerchi sono sovrapposti, proprio perché vi è una sovrapposizione dei ruoli, spesso in un'unica figura, quella appunto dell'imprenditore. Egli, nei primi anni di attività, tenderà a ricoprire tutti i ruoli presenti nella piramide aziendale

Nel momento in cui all'imprenditore subentrano dapprima i figli, poi i nipoti, la situazione aziendale muta e con essa si ha l'allontanamento dei tre cerchi. Si parla di due fenomeni, l'uno conseguenza dell'altro: il “fenomeno della deriva generazionale” e il “raffreddamento dei soci”. 

Questi si verificano quando, con il passare del tempo, il nucleo familiare si amplia e l'aumento dei soggetti è legato alla diminuzione del livello di consanguineità tra gli stessi, comportando una maggiore complessità aziendale. 

L'ultima fase rappresentata in figura è quella in cui l'azienda ha fatto ricorso a soggetti esterni non familiari e non facenti parte della proprietà, si immagini ad un manager esterno o un amministratore delegato. 

E' evidente come, di fronte a tali mutamenti, dove la componente familiare e quella imprenditoriale si distaccano, risulti essenziale il ruolo degli organi di governo, i quali dovrebbero garantire, se sono adeguati alla struttura, la coesione tra impresa-business proprietà, sì da assicurare continuità all'azienda. 

 

La cultura: Un aspetto da tutelare e adattare nel tempo

Le persone passano, la cultura resta.

Coda (L’orientamento strategico dell’Azienzda Utet, 1988) afferma che un buon management è colui che, prima, comprende cosa sia bene e giusto per l'azienda e poi lo mette in atto. 

Sappiamo bene che l'azienda è “un sistema aperto in continua evoluzione”, pertanto nei passaggi generazionali, oltre a cambiare i soggetti guida, cambia anche la cultura perché le convinzioni si modellano, la struttura organizzativa diventa più complessa e cambiano sia le sfide che deve affrontare l'impresa, sia le condizioni ambientali macroeconomiche in cui l'impresa stessa opera. I nuovi valori non escludono i precedenti, ma si integrano con essi e il cambiamento culturale subisce un’evoluzione ad ogni fase aziendale, si aggiungono elementi, senza cancellare o sostituire bruscamente la cultura d'origine.

Voglio riportare una citazione di Henry Ford, che sembra riassuntiva di quanto detto finora riguardo al ricambio generazionale: “Trovarsi insieme è un inizio, restare insieme un progresso […] lavorare insieme un successo”.

La cultura aziendale è uno degli aspetti che distinguono maggiormente un'impresa da un'altra, e ogni generazione subentrante da lì deve partire e generare altre idee, svilupparsi e adeguarsi all'ambiente economico-sociale, senza dimenticare le prospettive del suo fondatore.

I valori culturali possono tendere al cambiamento durante il passaggio generazionale, ma un leader può presidiare tale mutamento, trasmettendo continuità e allargando la visione dei valori aziendali ad una leadership sempre più partecipativa e sempre meno autoritaria.

In che modo? Partendo dal basso, facendo un punto di quali sono realmente i valori che sono stati trasmessi dal fare organizzativo e soprattutto su quali saranno quelli che traghetteranno la nuova generazione nei nuovi piani a venire.

Sottolineo, i valori che davvero sono stati agiti nell’organizzazione e che trovano coerenza tra in detto e il fatto.

Spesso, infatti, mi capita di incontrare sui manuali etici, di qualità o varie carte dei valori intenzioni nobili, ma che di fatto non rispecchiano poi i comportamenti attuati.

Stringersi attorno a dei valori condivisi è un impegno e una responsabilità prima di tutto e può rappresentare una luce nelle criticità che emergono tra generazione e generazione.

Bisogna combattere la tendenza più comune insita nell'atteggiamento di ogni membro familiare presente in azienda: pensare all'interesse individuale. Una buona soluzione sarebbe quella di impegnarsi in progetti, obiettivi e finalità condivisi da tutti. 

Secondo Schein, la cultura non è una “filosofia dichiarata”, bensì è insita nelle convinzioni e nei valori condivisi, che determinano poi scelte, come, ad esempio, il layout degli uffici, i codici di abbigliamento, i modelli di comportamento, i rapporti con i fornitori, l'orario di lavoro, ecc… Nel momento in cui il fondatore getta le fondamenta della propria azienda, ha le idee molto chiare su quelli che dovranno essere la sua creazione, il suo percorso, le attività che porteranno l'impresa al successo, ma, purtroppo, non sempre tutto questo bagaglio viene trasmesso in toto ai successori, e sarà il gruppo subentrante ad elaborare un nuovo modello culturale. 

Ogni azienda deve creare un proprio modello di cultura: unico, nuovo, diverso al punto tale che la distingua e ne esalti le specificità strategiche. 

Citando Simon Sinek, scrittore e saggista inglese autore di diversi libri sui temi della comunicazione e della leadership, fra cui i best-seller Start With Why, resta fondamentale partire dal perchè.

Non conta cosa le organizzazioni facciano ma il perchè lo fanno, chi riesce a condividere tale concetto e a comunicarlo nel modo adeguato riuscirà a soddisfare al meglio il bisogno di appartenenza naturale di tutti gli individui all’interno di una organizzazione sopratutto in un passaggio generazionale.

Per concludere, nonostante sull’argomento ci sia ancora molto da dire e sicuramente lo affronterò nei prossimi articoli, bisogna pensare alle micro aziende come a una normale famiglia italiana: dove c’è il dialogo si cresce, mentre se la strada è quella del muro contro muro, lo scontro sarà traumatico da una parte e dall’altra.

Proprio per questo è utile la figura del consulente esterno che può risultare fondamentale all'interno dell'azienda, perché esercita un ruolo sostanziale per mitigare i conflitti d'interesse tra i proprietari, fungendo da moderatori nelle relazioni tra familiari o tra gruppi familiari. Inoltre, i consulenti esterni detengono una posizione distaccata, non essendo coinvolti dal punto di vista emotivo nelle relazioni “di sangue”. 

Ad un consulente esterno sono richieste competenze, esperienze professionali e capacità di fornire una prospettiva esterna nell'analisi delle criticità di gestione. Inoltre, egli funge da mentore nella formazione e nella pianificazione della carriera delle nuove generazioni.

Grazie a questa posizione, rimangono obiettivi e riescono a promuovere e a proteggere gli equilibri, consentendo la continuità e lo sviluppo dell'impresa.

Vogliamo conoscerci meglio?

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Articolo del:


di Mauro Dotta

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