Demansionamento, quando ci si può opporre?
Se ingiustamente demansionato, il lavoratore può richiedere il risarcimento del danno
Con il Decreto Legislativo n. 81/2015 ("Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183"), pubblicato il 24 giugno 2015 sulla Gazzetta Ufficiale, è stata rivista e ridisegnata la materia della modifica delle mansioni in ambito lavorativo.
Complici il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale a partire dal 2006 e, soprattutto, il Job Act e il Decreto Legislativo n. 81/2015, il demansionamento, o il downgrading del lavoratore è sempre più possibile, seppur con alcuni specifici vincoli.
Innanzitutto, va precisato che il demansionamento è la modifica in peius delle mansioni nel lavoro subordinato del dipendente, che vede variare la sua attività lavorativa in base alle direttive unilaterali del datore di lavoro.
Ma come possono variare le mansioni lavorative?
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 81 del 2015 è stato modificato l’art. 2103 del codice civile che, prima del suddetto decreto legislativo, disponeva che il datore di lavoro potesse modificare le mansioni svolte dal lavoratore purché venisse rispettato il requisito della equivalenza. Tale requisito consisteva nell’assegnare al lavoratore nuove attività che presupponessero, però, almeno il medesimo impiego di capacità professionali acquisite nel corso della carriera lavorativa.
Il nuovo articolo 2103 del codice civile, così come novellato dal d.lgs. 81/2015, non contiene più il requisito della equivalenza, ma quello dell’uguaglianza del livello di inquadramento. Il primo comma della norma, infatti, recita: "Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte".
La modifica non è solo formale, ma sostanziale, in linea con l’orientamento più consolidato da parte della giurisprudenza a partire dal 2006. Lo "stesso livello di inquadramento" presuppone che il lavoratore possa effettuare mansioni anche di molto differenti da quelle precedentemente svolte, ma in grado di essere comunque effettuate grazie alle capacità professionali. Concetto ben diverso dal "requisito dell’equivalenza" in cui era predominante l’utilizzo delle competenze già maturate e da sfruttare anche nella nuova mansione.
Ad aggravare la posizione del lavoratore con il novellato articolo 2103 del codice civile, è anche il secondo comma della norma che sancisce: "In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore". In aggiunta il comma quattro recita: "Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale".
Quindi, è stata inserita la possibilità di un demansionamento del lavoratore a determinate condizioni.
Ferma restando la conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento prima del downgrading, il lavoratore si potrebbe trovare a svolgere, nei fatti, un lavoro di livello inferiore rispetto al passato, con possibili conseguenze sul piano psico-fisico e un indubbio danno alla sua professionalità.
Cosa può fare, dunque, il lavoratore ingiustamente demansionato?
Il lavoratore ingiustamente demansionato può richiedere il risarcimento del danno qualora non sussistano le condizioni previste nel secondo e quarto comma dell’art. 2103 del codice civile, oltre a dimostrare di aver subito una lesione alla professionalità, all’integrità psico-fiscica e alla propria dignità.
Il nostro Studio offre consulenza e assistenza ai lavoratori che hanno necessità di tutelarsi in caso di demansionamenti illegittimi.
Complici il mutamento dell’orientamento giurisprudenziale a partire dal 2006 e, soprattutto, il Job Act e il Decreto Legislativo n. 81/2015, il demansionamento, o il downgrading del lavoratore è sempre più possibile, seppur con alcuni specifici vincoli.
Innanzitutto, va precisato che il demansionamento è la modifica in peius delle mansioni nel lavoro subordinato del dipendente, che vede variare la sua attività lavorativa in base alle direttive unilaterali del datore di lavoro.
Ma come possono variare le mansioni lavorative?
Con l’entrata in vigore del d.lgs. 81 del 2015 è stato modificato l’art. 2103 del codice civile che, prima del suddetto decreto legislativo, disponeva che il datore di lavoro potesse modificare le mansioni svolte dal lavoratore purché venisse rispettato il requisito della equivalenza. Tale requisito consisteva nell’assegnare al lavoratore nuove attività che presupponessero, però, almeno il medesimo impiego di capacità professionali acquisite nel corso della carriera lavorativa.
Il nuovo articolo 2103 del codice civile, così come novellato dal d.lgs. 81/2015, non contiene più il requisito della equivalenza, ma quello dell’uguaglianza del livello di inquadramento. Il primo comma della norma, infatti, recita: "Il lavoratore deve essere adibito alle mansioni per le quali è stato assunto o a quelle corrispondenti all’inquadramento superiore che abbia successivamente acquisito ovvero a mansioni riconducibili allo stesso livello di inquadramento delle ultime effettivamente svolte".
La modifica non è solo formale, ma sostanziale, in linea con l’orientamento più consolidato da parte della giurisprudenza a partire dal 2006. Lo "stesso livello di inquadramento" presuppone che il lavoratore possa effettuare mansioni anche di molto differenti da quelle precedentemente svolte, ma in grado di essere comunque effettuate grazie alle capacità professionali. Concetto ben diverso dal "requisito dell’equivalenza" in cui era predominante l’utilizzo delle competenze già maturate e da sfruttare anche nella nuova mansione.
Ad aggravare la posizione del lavoratore con il novellato articolo 2103 del codice civile, è anche il secondo comma della norma che sancisce: "In caso di modifica degli assetti organizzativi aziendali che incidono sulla posizione del lavoratore, lo stesso può essere assegnato a mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore". In aggiunta il comma quattro recita: "Ulteriori ipotesi di assegnazione di mansioni appartenenti al livello di inquadramento inferiore possono essere previste da contratti collettivi, anche aziendali, stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale".
Quindi, è stata inserita la possibilità di un demansionamento del lavoratore a determinate condizioni.
Ferma restando la conservazione del livello di inquadramento e del trattamento retributivo in godimento prima del downgrading, il lavoratore si potrebbe trovare a svolgere, nei fatti, un lavoro di livello inferiore rispetto al passato, con possibili conseguenze sul piano psico-fisico e un indubbio danno alla sua professionalità.
Cosa può fare, dunque, il lavoratore ingiustamente demansionato?
Il lavoratore ingiustamente demansionato può richiedere il risarcimento del danno qualora non sussistano le condizioni previste nel secondo e quarto comma dell’art. 2103 del codice civile, oltre a dimostrare di aver subito una lesione alla professionalità, all’integrità psico-fiscica e alla propria dignità.
Il nostro Studio offre consulenza e assistenza ai lavoratori che hanno necessità di tutelarsi in caso di demansionamenti illegittimi.
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