Diffamazione online: il blogger risponde?


Il blogger non risponde della diffamazione realizzata dall'utente ma la Corte Europea dei Diritti dell'Uomo può fornire nuovi spunti di riflessione.
Diffamazione online: il blogger risponde?
Nell'era dell'informazione online, ci si trova sempre più spesso ad affrontare il tema della responsabilità penale del gestore del sito internet o del blogger per post diffamatori pubblicati da utenti, spesso non identificati.

La questione non trova risposta nella legge. Al contempo, la giurisprudenza italiana è arroccata su orientamenti antiquati che non tengono conto dell'evoluzione che ha interessato l'informazione, sempre più orientata al mondo virtuale. Forse un'interpretazione della tematica più realistica e moderna può rinvenirsi nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che il 09 marzo 2017 si è ancora una volta pronunciata sul punto, come si dirà in seguito.

In sintesi, il gestore del sito o del blog non risponde della diffamazione aggravata (art. 595 co. 3 c.p.) realizzata dall'utente che pubblichi un post offensivo, salvo il raro caso in cui è lo stesso gestore ad aver istigato o chiesto la pubblicazione del contenuto, in quanto:

- l'art. 57 c.p. che prevede una responsabilità a titolo di colpa del direttore del periodico per omesso controllo sui contenuti pubblicati è applicabile solo alla carta stampata e non anche ai siti internet che non soggiaciono alla legge sulla stampa (l. 47/48), per il divieto di analogia in malam partem;
- l'art. 40 co. 2 c.p. che punisce chi non ha impedito un evento che ha l'obbligo giuridico di impedire non è applicabile perché né la legge né un contratto stabiliscono in capo al gestore un obbligo impeditivo che non può derivare da una situazione di fatto, quale l'essere l'amministratore del sito o del blog;
- l'art. 110 c.p. che punisce il concorrente nel reato può essere applicato limitatamente ai casi in cui il blogger abbia volontariamente istigato o contribuito in maniera determinante alla pubblicazione del post.

Un approccio alla questione più concreto si trova nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell'Uomo che si è di recente pronunciata (Corte Europea, sez. III, 09.03.2017 n. 74742/14).

La Corte esamina il problema mettendo a confronto l'art. 8 CEDU, diritto alla vita privata comprendente anche la tutela della reputazione, con l'art. 10 CEDU, libertà di espressione.
Secondo la Corte, i diritti riconosciuti dalle due norme sono di pari grado e, nella legislazione statale, devono trovare un punto di bilanciamento valutato sulla base delle circostanze del caso concreto: il contesto in cui si inserisce il post, le misure di controllo preventivo del contenuto, le forme di avvertimento circa l'assenza di controlli preventivi, le misure applicate dal gestore per eliminare il contenuto diffamatorio e la dimensione e la diffusione del sito o del blog.

Applicando tali principi, la Corte ha respinto il ricorso di un cittadino svedese che lamentava la violazione dell'art. 8 CEDU a causa di un post che lo riconduceva a un partito nazista, poiché si trattava di un piccolo blog il cui gestore aveva inserito nel sito un avvertimento agli utenti che non ci sarebbe stato controllo preventivo dei post e che aveva provveduto a rimuovere il contenuto scusandosi pubblicamente con il destinatario.

Anche la Corte Europea alla fine esclude la responsabilità del blogger o del gestore del sito internet ma utilizza un approccio sicuramente più concreto e attento alle specificità del caso rispetto a quello astratto e teorico della giurisprudenza italiana che forse potrebbe iniziare ad affrontare la questione dal punto di vista adottato dalla Corte di Strasburgo, in attesa che il legislatore provveda ad estendere l'applicazione dell'art. 57 c.p. anche alle pubblicazioni online.

La valorizzazione degli aspetti concreti e del bilanciamento dei diritti alla vita privata e alla libertà di espressione potrebbe essere un valido aiuto per verificare se davvero non esista un dovere impeditivo riconducibile all'art. 40 co. 2 c.p..

Spotrebbe sostenere che il dovere di impedire la pubblicazione di post diffamatori sul proprio sito o blog possa fondarsi sullo stesso art. 8 CEDU, bilanciato con l'art. 10 CEDU sulla base degli aspetti considerati dalla giurisprudenza della Corte Europea.

Sebbene le norme CEDU siano rivolte allo Stato, trovano applicazione anche nei rapporti tra cittadini nell'ambito dei quali lo Stato deve favorire la concreta attuazione dei diritti riconosciuti dalla Convenzione e ciò verrebbe realizzato attraverso una lettura dell'art. 40 co. 2 c.p. alla luce degli artt. 8 e 10 CEDU.

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di Avv. Paolo Pollini

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