Direttiva 2014/17/UE
Con l`attuazione della Direttiva 2014/17/UE, l`abrogazione del divieto di patto commissorio?
È recentemente giunto all’esame delle Commissioni competenti del Senato lo schema di decreto legislativo predisposto dal Governo e recante attuazione della direttiva 2014/17/UE, inerente i contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali, nonché significative modifiche al Testo Unico Bancario, d.lgs. 1 settembre 1993 n. 385, in tema di disciplina degli agenti in attività finanziaria e dei mediatori creditizi.
Come anche sottolinea la Relazione Illustrativa allo schema di decreto, il testo in esame è diretto a recepire nell’ordinamento interno la direttiva 2014/17/UE, denominata Mortgage Credit Directive, che detta disposizioni in materia di credito immobiliare offerto ai consumatori allo scopo come di "realizzare un mercato interno più trasparente, efficiente e competitivo, grazie a disposizioni uniformi, flessibili ed eque per i contratti di credito relativi a beni immobili, promuovendo sostenibilità nell’erogazione e assunzione dei prestiti e l’inclusione finanziaria e garantendo dunque ai consumatori un elevato livello di protezione" (Considerando n. 6).
Lo schema di decreto legislativo attuativo della Direttiva in esame prevede, in particolare, l’introduzione nel Testo Unico Bancario del Capo 1 bis, destinato a disciplinare il "Credito immobiliare ai consumatori".
Di particolare interesse, anche in considerazione delle significative ricadute che siffatta disposizione potrebbe avere sul mercato dell’erogazione ai consumatori di mutui per l’acquisto di beni immobili residenziali garantiti da ipoteca sul bene stesso, è l’art. 120 quinquiesdecies, attuativo dell’art. 28 della Direttiva e rubricato "Inadempimento del consumatore". Tale disposizione prevede, nello specifico, al comma 1 che, ferma restando la risoluzione del contratto di mutuo in caso di ritardato pagamento delle rate quando lo stesso si sia verificato per almeno sette volte, il finanziatore dovrà adottare procedure per gestire i rapporti con i consumatori in difficoltà nei pagamenti; il comma 2 prevede il divieto, per il finanziatore, di imporre al consumatore oneri derivanti dall’inadempimento superiori a quelli necessari a compensare i costi sostenuti a causa dell’inadempimento stesso.
Il comma 3, poi - ed è la disposizione che maggiormente preoccupa - stabilisce che le parti del contratto possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore la vendita del medesimo bene o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all’eccedenza. Il valore del bene immobile oggetto della garanzia dovrà essere stimato da un perito scelto dalle parti di comune accordo con una perizia successiva all’inadempimento.
E’ noto che la risoluzione del contratto di mutuo per inadempimento del debitore, allorché si verifichino le condizioni di cui all’art. 40 TUB, comporta la necessità, per la Banca, di recuperare il proprio credito per la restituzione del capitale e degli interessi con l’avvio il procedimento di esecuzione immobiliare, mediante il pignoramento dell’immobile rispetto al quale il debitore le ha concesso ipoteca all’atto della concessione del mutuo e la sua successiva vendita all’asta sotto la vigilanza del Giudice dell’esecuzione competente.
Se la disposizione oggi all’esame del Senato entrerà effettivamente in vigore, di fatto la Banca mutuataria - naturalmente in relazione ai contratti di mutuo stipulati successivamente alla sua entrata in vigore - non sarà più tenuta a procedere con la via esecutiva ordinaria, come noto particolarmente lunga e costosa, ma di fatto potrà ottenere direttamente dal debitore il trasferimento della proprietà del bene o dei proventi della vendita del medesimo bene.
Da un lato, è evidente che tale semplificazione, tesa a ridurre il rischio ed i costi dell’esecuzione coattiva giudiziale gravanti sul finanziatore, potrebbe portare al risultato - come’è nelle intenzioni del legislatore comunitario e nazionale - di ampliare la disponibilità del credito da parte delle banche, riducendo le relative sofferenze. Dall’altro lato, sebbene i primi commentatori siano maggiormente propensi a ricondurre la fattispecie in esame all’ipotesi del c.d. patto marciano, ammesso dalla giurisprudenza di legittimità in presenza di garanzie a tutela del debitore, v’è da chiedersi se in realtà non si stia assistendo all’abrogazione implicita del divieto di patto commissorio, previsto dall’art. 2744 c.c., per il quale è nullo il patto con il quale si prevede che il mancato pagamento del credito nel termine fissato comporta il passaggio della proprietà della cosa ipotecata o data in pegno al creditore.
Oltretutto, non possono neppure negarsi i profili di criticità che la disposizione in esame pone, sia per l’evidente squilibrio contrattuale esistente tra il consumatore che si accinge a stipulare un contratto di mutuo per finanziare l’acquisto della propria abitazione e gli Istituti di credito, sia per la necessità di garantire che il consumatore stesso sia pienamente informato e consapevole di quanto andrà a stipulare, sia, infine, per la possibile lesione della par condicio creditorum tra più creditori dello stesso debitore, che inevitabilmente non potranno più aggredire quello che di norma è il bene di maggior valore del debitore medesimo.
Come anche sottolinea la Relazione Illustrativa allo schema di decreto, il testo in esame è diretto a recepire nell’ordinamento interno la direttiva 2014/17/UE, denominata Mortgage Credit Directive, che detta disposizioni in materia di credito immobiliare offerto ai consumatori allo scopo come di "realizzare un mercato interno più trasparente, efficiente e competitivo, grazie a disposizioni uniformi, flessibili ed eque per i contratti di credito relativi a beni immobili, promuovendo sostenibilità nell’erogazione e assunzione dei prestiti e l’inclusione finanziaria e garantendo dunque ai consumatori un elevato livello di protezione" (Considerando n. 6).
Lo schema di decreto legislativo attuativo della Direttiva in esame prevede, in particolare, l’introduzione nel Testo Unico Bancario del Capo 1 bis, destinato a disciplinare il "Credito immobiliare ai consumatori".
Di particolare interesse, anche in considerazione delle significative ricadute che siffatta disposizione potrebbe avere sul mercato dell’erogazione ai consumatori di mutui per l’acquisto di beni immobili residenziali garantiti da ipoteca sul bene stesso, è l’art. 120 quinquiesdecies, attuativo dell’art. 28 della Direttiva e rubricato "Inadempimento del consumatore". Tale disposizione prevede, nello specifico, al comma 1 che, ferma restando la risoluzione del contratto di mutuo in caso di ritardato pagamento delle rate quando lo stesso si sia verificato per almeno sette volte, il finanziatore dovrà adottare procedure per gestire i rapporti con i consumatori in difficoltà nei pagamenti; il comma 2 prevede il divieto, per il finanziatore, di imporre al consumatore oneri derivanti dall’inadempimento superiori a quelli necessari a compensare i costi sostenuti a causa dell’inadempimento stesso.
Il comma 3, poi - ed è la disposizione che maggiormente preoccupa - stabilisce che le parti del contratto possono convenire espressamente, al momento della conclusione del contratto di credito o successivamente, che in caso di inadempimento del consumatore la vendita del medesimo bene o il trasferimento del bene immobile oggetto di garanzia reale o dei proventi della vendita del medesimo bene comporta l’estinzione del debito, fermo restando il diritto del consumatore all’eccedenza. Il valore del bene immobile oggetto della garanzia dovrà essere stimato da un perito scelto dalle parti di comune accordo con una perizia successiva all’inadempimento.
E’ noto che la risoluzione del contratto di mutuo per inadempimento del debitore, allorché si verifichino le condizioni di cui all’art. 40 TUB, comporta la necessità, per la Banca, di recuperare il proprio credito per la restituzione del capitale e degli interessi con l’avvio il procedimento di esecuzione immobiliare, mediante il pignoramento dell’immobile rispetto al quale il debitore le ha concesso ipoteca all’atto della concessione del mutuo e la sua successiva vendita all’asta sotto la vigilanza del Giudice dell’esecuzione competente.
Se la disposizione oggi all’esame del Senato entrerà effettivamente in vigore, di fatto la Banca mutuataria - naturalmente in relazione ai contratti di mutuo stipulati successivamente alla sua entrata in vigore - non sarà più tenuta a procedere con la via esecutiva ordinaria, come noto particolarmente lunga e costosa, ma di fatto potrà ottenere direttamente dal debitore il trasferimento della proprietà del bene o dei proventi della vendita del medesimo bene.
Da un lato, è evidente che tale semplificazione, tesa a ridurre il rischio ed i costi dell’esecuzione coattiva giudiziale gravanti sul finanziatore, potrebbe portare al risultato - come’è nelle intenzioni del legislatore comunitario e nazionale - di ampliare la disponibilità del credito da parte delle banche, riducendo le relative sofferenze. Dall’altro lato, sebbene i primi commentatori siano maggiormente propensi a ricondurre la fattispecie in esame all’ipotesi del c.d. patto marciano, ammesso dalla giurisprudenza di legittimità in presenza di garanzie a tutela del debitore, v’è da chiedersi se in realtà non si stia assistendo all’abrogazione implicita del divieto di patto commissorio, previsto dall’art. 2744 c.c., per il quale è nullo il patto con il quale si prevede che il mancato pagamento del credito nel termine fissato comporta il passaggio della proprietà della cosa ipotecata o data in pegno al creditore.
Oltretutto, non possono neppure negarsi i profili di criticità che la disposizione in esame pone, sia per l’evidente squilibrio contrattuale esistente tra il consumatore che si accinge a stipulare un contratto di mutuo per finanziare l’acquisto della propria abitazione e gli Istituti di credito, sia per la necessità di garantire che il consumatore stesso sia pienamente informato e consapevole di quanto andrà a stipulare, sia, infine, per la possibile lesione della par condicio creditorum tra più creditori dello stesso debitore, che inevitabilmente non potranno più aggredire quello che di norma è il bene di maggior valore del debitore medesimo.
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