Dirigente licenziato: i termini di impugnazione
Decade dall'impugnazione il dirigente licenziato che non deposita in tempo il ricorso ex legge Fornero, nonostante la domanda cautelare separata

La Sezione lavoro della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 19919 del 05 ottobre 2016, ha stabilito che il dirigente licenziato che abbia impugnato stragiudizialmente il licenziamento, deve presentare il ricorso previsto dalla c.d. "legge Fornero" (art. 1, comma 47 e ss., L. n. 92/2012), nel termine di 180 giorni previsto dall'art. 6 della L. n. 604/1966, pena la decadenza dall'impugnazione, anche se ha proposto ricorso cautelare per la reintegrazione urgente nel posto di lavoro, ai sensi dell'art. 700 cod. proc. civ.
I quesiti risolti dalla Suprema Corte ridefiniscono le regole sul licenziamento del dirigente, figura tradizionalmente non soggetta alla stessa disciplina delle altre categorie di lavoratori (operai, impiegati e quadri).
In particolare, secondo la Cassazione, la riforma portata dal c.d. "Collegato lavoro" (L. n. 183/2010) ha reso applicabile anche ai dirigenti le norme previste per il licenziamento dalla L. n. 604/1966 e, in special modo, l'art. 6 che impone al lavoratore licenziato di impugnare il licenziamento con comunicazione scritta, cui deve fare seguito, entro i successivi 180 giorni, il deposito del ricorso presso la Cancelleria del Giudice del lavoro, pena l'inefficacia dell'impugnazione.
Secondo il supremo Collegio lo scopo della riforma e di tale equiparazione è garantire il veloce consolidamento delle situazioni giuriche e degli eventuali processi, in conformità all'art. 111 Cost.
Nella vicenda esaminata dalla Corte, infatti, il ricorrente aveva proposto, in via di urgenza, un ricorso cautelare straordinario e, solo successivamente al decorso del termine di inefficacia dell'impugnativa del licenziamento, il ricorso specificamente previsto dalla legge Fornero per instaurare la fase giudiziale dell'impugnativa stessa.
Nel corso del giudizio, inoltre, il lavoratore licenziato sosteneva che il ricorso cautelare avesse lo stesso valore di quello speciale al fine di impedire la decadenza dall'impugnazione e che, infine, il datore di lavoro avesse fatto valere tale eccezione solo nella seconda fase del giudizio.
La Corte di Cassazione, posta di fronte agli stessi quesiti, ha precisato, con la sentenza in commento, che nella prima delle due fasi in cui si divide il c.d. "rito Fornero", previsto per i licenziamenti, non maturano preclusioni che impediscano di proporre al giudice della seconda eccezioni non sollevate nella prima e, altresì, che il ricorso cautelare non può essere assimilato a quello previsto per l'impugnativa di licenziamento, poiché differente sul piano della forma e dei contenuti da quest'ultimo.
I quesiti risolti dalla Suprema Corte ridefiniscono le regole sul licenziamento del dirigente, figura tradizionalmente non soggetta alla stessa disciplina delle altre categorie di lavoratori (operai, impiegati e quadri).
In particolare, secondo la Cassazione, la riforma portata dal c.d. "Collegato lavoro" (L. n. 183/2010) ha reso applicabile anche ai dirigenti le norme previste per il licenziamento dalla L. n. 604/1966 e, in special modo, l'art. 6 che impone al lavoratore licenziato di impugnare il licenziamento con comunicazione scritta, cui deve fare seguito, entro i successivi 180 giorni, il deposito del ricorso presso la Cancelleria del Giudice del lavoro, pena l'inefficacia dell'impugnazione.
Secondo il supremo Collegio lo scopo della riforma e di tale equiparazione è garantire il veloce consolidamento delle situazioni giuriche e degli eventuali processi, in conformità all'art. 111 Cost.
Nella vicenda esaminata dalla Corte, infatti, il ricorrente aveva proposto, in via di urgenza, un ricorso cautelare straordinario e, solo successivamente al decorso del termine di inefficacia dell'impugnativa del licenziamento, il ricorso specificamente previsto dalla legge Fornero per instaurare la fase giudiziale dell'impugnativa stessa.
Nel corso del giudizio, inoltre, il lavoratore licenziato sosteneva che il ricorso cautelare avesse lo stesso valore di quello speciale al fine di impedire la decadenza dall'impugnazione e che, infine, il datore di lavoro avesse fatto valere tale eccezione solo nella seconda fase del giudizio.
La Corte di Cassazione, posta di fronte agli stessi quesiti, ha precisato, con la sentenza in commento, che nella prima delle due fasi in cui si divide il c.d. "rito Fornero", previsto per i licenziamenti, non maturano preclusioni che impediscano di proporre al giudice della seconda eccezioni non sollevate nella prima e, altresì, che il ricorso cautelare non può essere assimilato a quello previsto per l'impugnativa di licenziamento, poiché differente sul piano della forma e dei contenuti da quest'ultimo.
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