Diritto all'oblio e diffusione dati via web
Prima sentenza italiana di merito in tema di tutela dei dati personali via web
Il Tribunale di Roma , con la sentenza n. 23771 del 3 dicembre 2015, ha formalizzato per la prima volta in Italia il c.d. diritto all’oblio, quale espressione del diritto alla privacy nei dati e vicende personali diffusi via web .
La sentenza romana ha applicato i principi stabiliti con la decisione del 13 maggio 2015 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella vicenda promossa contro Google Spain, ove è stato riconosciuto il c.d. diritto all’oblio, stabilendo però che si debba verificare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome da un elenco di risultati visibili al pubblico a seguito di una ricerca avviata a partire dal suo nome.
La Corte di Giustizia, infatti, ha stabilito che - in base agli artt. 7-8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, questi diritti fondamentali debbono prevalere non solo sull’interesse economico del motore di ricerca (Google, nel caso specifico), ma anche sull’interesse pubblico, a meno che non esista una particolare giustificazione nell’ingerenza nella vita pubblica della persona (ad es. per cariche politiche e pubbliche che tale persona ricopre, professionisti, importanti uomini d’affari, etc.): in tali casi, a riguardo della specificità dei ruoli ricoperti, è l’interesse del pubblico a prevalere, consentendo l’ accesso alle informazioni sulla vita della persona.
La vicenda romana partiva dalla denuncia di un avvocato che chiedeva a Google di cancellare i risultati della ricerca che compariva digitando il proprio nominativo e che lo ricollegavano a vicende giudiziarie molto gravi accadute nel 2012/2013 in cui era rimasto coinvolto senza riportare alcuna condanna; il professionista chiedeva inoltre il risarcimento dei danni a lui derivanti dal trattamento dei suoi dati personali operato nel motore di ricerca.
Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta del Professionista eccependo che, stante il breve lasso di tempo trascorso dall’accadimento delle vicende giudiziarie, dette informazioni si possono definire ancora recenti, mantenendo una loro attualità anche in considerazione del ruolo del professionista, che esercita l’attività di avvocato in Svizzera; tali notizie quindi mantengono la caratteristica dell’attualità e sono ancora di interesse pubblico, per cui il diritto all’informazione tutela la loro divulgazione: se il motore di ricerca riporta notizie false, l’interessato potrà agire per tutelare la sua privacy e reputazione solo nei confronti dei siti terzi che hanno pubblicato le false informazioni, ma non contro il motore di ricerca che opera quale caching provider ai sensi dell’art. 15 del d. lgs. 70/2003.
Il Tribunale di Roma, nel definire la questione in oggetto, ha richiamato infatti la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass.civ. sez. III , n. 5525 del 5/4/2012), che ha sancito come il diritto all’oblio esiga "che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati" , affermando quindi che - nel caso particolare - il ruolo particolare dell’attore (ruolo pubblico, quale avvocato iscritto in albo professionale) richiede trasparenza nell’esercizio delle sue mansioni professionali e quindi prevale il diritto dell’opinione pubblica a conoscere le sue vicende professionali.
La sentenza romana ha applicato i principi stabiliti con la decisione del 13 maggio 2015 dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea nella vicenda promossa contro Google Spain, ove è stato riconosciuto il c.d. diritto all’oblio, stabilendo però che si debba verificare se l’interessato abbia diritto a che l’informazione riguardante la sua persona non venga più collegata al suo nome da un elenco di risultati visibili al pubblico a seguito di una ricerca avviata a partire dal suo nome.
La Corte di Giustizia, infatti, ha stabilito che - in base agli artt. 7-8 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea, questi diritti fondamentali debbono prevalere non solo sull’interesse economico del motore di ricerca (Google, nel caso specifico), ma anche sull’interesse pubblico, a meno che non esista una particolare giustificazione nell’ingerenza nella vita pubblica della persona (ad es. per cariche politiche e pubbliche che tale persona ricopre, professionisti, importanti uomini d’affari, etc.): in tali casi, a riguardo della specificità dei ruoli ricoperti, è l’interesse del pubblico a prevalere, consentendo l’ accesso alle informazioni sulla vita della persona.
La vicenda romana partiva dalla denuncia di un avvocato che chiedeva a Google di cancellare i risultati della ricerca che compariva digitando il proprio nominativo e che lo ricollegavano a vicende giudiziarie molto gravi accadute nel 2012/2013 in cui era rimasto coinvolto senza riportare alcuna condanna; il professionista chiedeva inoltre il risarcimento dei danni a lui derivanti dal trattamento dei suoi dati personali operato nel motore di ricerca.
Il Tribunale di Roma ha respinto la richiesta del Professionista eccependo che, stante il breve lasso di tempo trascorso dall’accadimento delle vicende giudiziarie, dette informazioni si possono definire ancora recenti, mantenendo una loro attualità anche in considerazione del ruolo del professionista, che esercita l’attività di avvocato in Svizzera; tali notizie quindi mantengono la caratteristica dell’attualità e sono ancora di interesse pubblico, per cui il diritto all’informazione tutela la loro divulgazione: se il motore di ricerca riporta notizie false, l’interessato potrà agire per tutelare la sua privacy e reputazione solo nei confronti dei siti terzi che hanno pubblicato le false informazioni, ma non contro il motore di ricerca che opera quale caching provider ai sensi dell’art. 15 del d. lgs. 70/2003.
Il Tribunale di Roma, nel definire la questione in oggetto, ha richiamato infatti la giurisprudenza della Suprema Corte (Cass.civ. sez. III , n. 5525 del 5/4/2012), che ha sancito come il diritto all’oblio esiga "che non vengano ulteriormente divulgate notizie che per il trascorrere del tempo risultino ormai dimenticate o ignote alla generalità dei consociati" , affermando quindi che - nel caso particolare - il ruolo particolare dell’attore (ruolo pubblico, quale avvocato iscritto in albo professionale) richiede trasparenza nell’esercizio delle sue mansioni professionali e quindi prevale il diritto dell’opinione pubblica a conoscere le sue vicende professionali.
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