Diritto del lavoratore alle ferie annuali ed indennità sostitutiva
Diritto del lavoratore alla fruizione di ferie annuali ed indennità sostitutiva di quelle non godute al momento della cessazione del rapporto
Il mancato godimento delle ferie annuali da parte del prestatore di lavoro comporta, laddove sia divenuto impossibile per il datore di lavoro adempiere alla obbligazione di consentire la fruizione di ferie, anche senza sua colpa, il diritto del lavoratore al pagamento della indennità sostitutiva delle ferie, quale corrispettivo, data la natura retributiva della indennità, del valore delle prestazioni non dovute e non retribuibili in forma specifica (artt. 1463, 2037 cc). Ne discende che l’esclusione del diritto del lavoratore alla indennità sostitutiva per ferie non godute si ha soltanto quando il datore di lavoro dimostri nel giudizio, intrapreso a suo carico, di avere offerto al lavoratore un adeguato lasso di temo per il godimento delle ferie, di cui lo stesso non abbia fruito, incorrendo nella mora credendi. Lo ha stabilito la Corte di Cassazione, Sez. Lav., con sentenza n. 7976/2020 depositata il 27/4/2020.
La questione al vaglio della Corte di Cassazione
La vicenda prende avvio da una controversia, intrapresa dagli eredi di un lavoratore deceduto, il quale (in costanza di rapporto di lavoro) aveva maturato ferie non godute, avente ad oggetto la rivendicazione della indennità sostitutiva delle ferie, spettante, a loro dire, al familiare deceduto.
Il Tribunale di Firenze aveva accolto la domanda degli eredi del lavoratore defunto, respingendo le doglianze della società datrice di lavoro.
Avverso la decisione, confermata dalla Corte di Appello di Firenze, la società proponeva ricorso in Cassazione, la quale si pronunciava con la sentenza in commento.
Riferimenti normativi
Il diritto del lavoratore ai periodo di riposo, settimanale ed annuale, trova la sua fonte nell’art. 36, comma 3 Costituzione, alla cui stregua: “il lavoratore ha diritto al riposo settimanale e a ferie retribuite e non può rinunciarvi”.
Inoltre, l’art. 2109 cc stabilisce che “il prestatore di lavoro ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuito, possibilmente continuativo, nel tempo che l’imprenditore stabilisce, tenuto conto delle esigenze dell’impresa e degli interessi del prestatore”.
Da ultimo, ai sensi dell’art. 10 del Dlgs n. 66/2003 ricettivo dei principi contenuti nelle Convenzioni OIL n. 14/1921, n. 106/1957 e nella Direttiva 2003/88/CE il lavoratore ha diritto ad un periodo annuale di ferie retribuite non inferiore a quattro settimane, che devono essere godute (salvo diversa previsione del CCNL) per due settimane consecutive nell’anno di maturazione, per le restanti settimane nei diciotto mesi successivi al termine dello stesso. Tale periodo minimo deve essere goduto e non può essere monetizzato, ad eccezione di risoluzione del rapporto di lavoro.
La soluzione giuridica adottata dalla Corte di Cassazione
La Suprema Cote, nel pronunciarsi con la sentenza in commento, ha ribadito il principio di legge, secondo cui le ferie non più fruibili debbono essere monetizzate, attesa la irrinunciabilità del diritto alle stesse, costituzionalmente sancita dall’art. 36 comma 3 Cost.
Da ciò, la Suprema Corte fa discendere che l’eccezione al divieto di monetizzazione operi unicamente nei limiti delle ferie non godute relative al periodo ancora pendente al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, fermo restando il divieto di monetizzazione di quelle riferibili agli anni antecedenti, dal momento che rispetto a queste ultime il datore di lavoro avrebbe dovuto assicurarne una effettiva fruizione. Il lavoratore, aggiunge la Corte, potrà sempre azionare la tutela civilistica, facendo valere l’inadempimento del datore di lavoro che abbia violato le norme inderogabili in tema di diritto alle ferie sopra citate, negando al prestatore di lavoro il recupero delle energie psicofisiche impiegate.
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