Diritto di abitazione riconosciuto dal testatore in favore del figlio
Indice:
1. Successione testamentaria e successione legittima
La successione a causa di morte (mortis causa) è il fenomeno giuridico che determina il subentro di un soggetto nella titolarità di tutti i rapporti giuridici attivi e passivi facenti capo al defunto (successione a titolo universale) o di singoli specifici rapporti (successione a titolo particolare) che non si siano estinti con la morte.
Attraverso la successione ereditaria, infatti, vengono trasferiti i rapporti patrimoniali (beni, proprietà, crediti, debiti, diritti, obblighi, etc ...) del de cuius tranne alcuni diritti reali di godimento quali l’uso, l’usufrutto e l’abitazione, i rapporti personalissimi (diritto al nome, diritto alla libertà, etc…) e quelli familiari (matrimonio, potestà genitoriale, etc…) che, invece, si estinguono con la morte.
Il libro II del Codice civile, che disciplina tale fenomeno, all’art. 547 statuisce che, una volta apertasi la successione (art. 546 c.c.), l’eredità venga devoluta per testamento (art. 587 c.c.) o per legge (565 c.c.).
La successione legittima comporta che l’intera eredità venga suddivisa tra i coeredi (cioè tra il coniuge, i discendenti ovvero, in mancanza di questi, tra gli ascendenti o, infine, tra i collaterali del de cuius fino al sesto grado di parentela), in base a precise quote stabilite dal codice civile.
Tale successione per legge, tuttavia, ha luogo soltanto quando manchi, in tutto o in parte, quella testamentaria; ossia quando il de cuius nulla abbia disposto, tramite testamento, in merito alla sua eredità oppure quando le disposizioni testamentarie non siano complete (alcuni cespiti ereditari non siano stati conferiti) o qualora queste risultino nulle ed inefficaci. In questo caso, le disposizioni testamentarie valide sono integrate da quelle del Codice civile, di conseguenza, i due tipi di successione mortis causa, quella testamentaria e quella legittima, possono coesistere.
La particolarità che caratterizza la successione testamentaria è che, con il testamento, il testatore può liberamente manifestare le proprie volontà in merito alla devoluzione della sua eredità, pur dovendo rispettare, nell’attribuzione dei beni, i limiti imposti dalla legge a tutela dei c.d. legittimari. Il testamento può essere olografico (art. 602 c.c.), qualora sia scritto integralmente e sottoscritto di proprio pugno dal testatore, oppure notarile, ossia un atto sottoscritto dal de cuius alla presenza del notaio e di due testimoni; di quest’ultimo esistono poi due forme, quello pubblico (art. 603 c.c.) e quello segreto (art. 604 c.c.).
Inoltre, nella redazione del testamento, il de cuius può disporre liberamente di una quota (c.d. quota disponibile) di eredità, ovvero di una porzione dell’asse ereditario che può destinare liberamente sia agli eredi legittimi che ai legittimari, ed anche a terzi.
Contrapposta alla quota disponibile, vi è la quota di riserva, o legittima, ovvero quella parte di eredità che il testatore deve obbligatoriamente destinare ai c.d. legittimari.
2. Successione necessaria. Legittimari e quote di legittima
Come innanzi accennato, il Codice Civile prevede (art. 547, comma 3) che, in ogni caso, le disposizioni testamentarie non possono mai ledere i diritti che la legge riserva ai c.d. legittimari. Tali sono, secondo il disposto dell’art. 536 c.c., il coniuge, i figli, e in mancanza di questi ultimi, gli ascendenti del de cuius.
Le norme che regolano la successione dei legittimari (c.d. successione necessaria), hanno lo scopo di bilanciare, da un lato, la tutela della famiglia (art. 29 Cost.), dall’altro, la libertà di disporre del testatore per il tempo in cui avrà cessato di vivere (art. 587 c.c.).
E’ evidente l’interesse della legge affinché il testatore preferisca, almeno in parte, il “gruppo famiglia” e, in particolare, i più stretti congiunti, piuttosto che i semplici eredi legittimi o degli estranei.
Nella successione necessaria, fin dal momento dell’apertura della successione, i legittimari acquistano il diritto ad una quota del patrimonio del de cuius, patrimonio che si calcola aggiungendo al relictum, ovvero il lascito ereditario depurato dai debiti, il donatum, cioè i beni usciti dall’asse ereditario per effetto di donazione effettuate dal de cuius durante la sua vita.
Per quanto riguarda la quota spettante ai legittimari, nel caso in cui essi siano composti dai soli discendenti del de cuius, a questi spetta metà del patrimonio (relictum + donatum) se vi è un solo figlio i 2/3 dello stesso se vi sono più figli. Se i discendenti concorrono con il coniuge superstite bisogna tenere conto del numero dei discendenti: se vi è un solo figlio a quest’ultimo spetta 1/3 del patrimonio e al coniuge superstite 1/3; qualora, invece, vi siano più figli, a questi spetta metà del patrimonio, e al coniuge solo 1/4. Qualora, infine, non siano presenti discendenti del de cuius, al coniuge spetta, in ogni caso, metà del patrimonio anche qualora concorrano gli ascendenti, ai quali spetta solo ¼ dello stesso.
3. Diritto di abitazione in favore del coniuge superstite
In base al disposto dell’art. 540 del c.c., al coniuge superstite, anche qualora concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e d’uso dei mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla quota disponibile di cui gode, liberamente, il testatore, ma, qualora questa si rilevi insufficiente, per il rimanente gravano sulla quota di riserva dello stesso coniuge legittimario e, solo eventualmente, sulla quota riservata ai figli. Il valore di tali diritti deve essere scomputato dall'asse ereditario prima di procedere alla divisione dello stesso in quote.
Anche se nulla è previsto espressamente dal Codice Civile, in assenza di testamento, nel caso di successione legittima, non potendo trovare applicazione gli istituti della «riserva» e della «disponibile», i diritti di abitazione e di uso, pur spettando al coniuge superstite, concorrono a formare la sua quota ex lege. In questo caso, pertanto, i diritti in esame non si aggiungono, ma devono essere compresi nella quota di eredità di pertinenza del coniuge.
La ratio legis, come sostenuto anche dal giudice di legittimità, si fonda sul presupposto che la ricerca di un nuovo alloggio per il coniuge superstite potrebbe essere fonte di un grave danno psicologico e morale per la stabilità delle abitudini di vita della persona. Di conseguenza, è evidente che la finalità dell’istituto è valida per il coniuge superstite sia nella successione necessaria che in quella legittima, cosicché i diritti in questione trovano necessariamente applicazione anche in quest’ultima.
Poiché tale attribuzione si considera come un legato ex lege, il coniuge acquista tali diritti anche se rinunzia all’eredità (può, però, rinunciare, per iscritto, anche al diritto di abitazione).
4. Diritto di abitazione riconosciuto dal testatore ad uno dei figli. È configurabile la lesione della quota di legittima degli altri legittimari?
Come innanzi premesso, la legge prevede il diritto di abitazione esclusivamente a favore del coniuge superstite, poiché si vuole preservare la sfera dei suoi affetti personali consentendogli di continuare a vivere nella casa familiare e ad usare i mobili che la corredano.
Tale attribuzione, essendo prevista inderogabilmente dalla legge, non può essere contestata da eredi legittimi o dai legittimari (a patto che non leda la loro quota di legittima, salvo l’ipotesi innanzi prospettata), per cui, in presenza del coniuge superstite, il de cuius non potrebbe attribuire tale diritto di abitazione a favore di uno dei suoi figli. Una tale disposizione risulterebbe nulla ed inefficace.
La legge non prevede, in alcun caso, un diritto di abitazione a favore di uno dei figlio sulla casa del genitore deceduto, né il figlio convivente può accampare alcun diritto di abitazione, neanche se è titolare di una quota dell’eredità. Tutt’al più, il fatto che egli sia nel possesso dell’immobile e lo abbia utilizzato per gli anni anteriori al decesso del genitore proprietario, può costituire un motivo preferenziale per l’assegnazione del bene in sede giudiziale.
Chiarito questo primo passaggio, ci si chiede se, in mancanza del coniuge, il testatore possa costituire un diritto di abitazione, sulla casa adibita a residenza familiare, a favore di uno dei suoi figli.
Partendo dalla premessa che, rispettando le disposizioni di legge sulla ripartizione delle quote di riserva tra i legittimari, il testatore può disporre liberamente del proprio patrimonio, nel caso in cui questo debba essere devoluto solamente a favore dei figli, non v’è ragione per cui, con il testamento, il de cuius non possa prevedere un diritto di abitazione a favore di uno di essi.
Naturalmente, poiché tale attribuzione testamentaria non è parificabile a quella ex lege accordata al coniuge superstite, è necessario che il diritto di abitazione a favore di uno dei figli rientri esclusivamente nella quota disponibile di cui può disporre il testatore o, a limite nella quota di legittima riservata al figlio cui viene attribuito tale diritto.
Pertanto, tale onere, che grava sulla casa familiare, non deve determinare in alcun modo una lesione della quota di riserva per gli altri legittimari i quali, in caso contrario potrebbero ricorrere in giudizio con l’azione di riduzione.
Invero, il diritto ex art. 540 c.c., previsto a favore del coniuge superstite, grava sulla quota disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente anche sulla quota riservata ai figli, ma questo non può verificarsi, invece, nel caso in cui il diritto di abitazione venga riconosciuto, tramite disposizione testamentaria a favore di uno dei figli, in quanto fondandosi su una disposizione testamentaria, non può mai essere in contrasto con le disposizioni inderogabili di legge in materia.
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