Diritto di critica del lavoratore e licenziamento


Il dipendente che critica l’azienda a mezzo stampa può essere licenziato?
Diritto di critica del lavoratore e licenziamento

La Corte di Cassazione, con sentenza n. 31395/2019, ha affermato che non è possibile licenziare il dipendente che muove critiche, anche a mezzo stampa, nei confronti del datore di lavoro.

Secondo la Suprema Corte l’esercizio del diritto di critica da parte del lavoratore nei confronti del datore di lavoro può essere considerato comportamento idoneo a ledere definitivamente la fiducia che è alla base del rapporto di lavoro, e costituire giusta causa di licenziamento, quando avvenga con modalità tali che, superando i limiti della continenza formale, si traduca in una condotta gravemente lesiva della reputazione, con violazione dei doveri fondamentali alla base dell’ordinaria convivenza civile (fra le più recenti Cass. nn. 14527 e 18176 del 2018, Cass. n. 5523 del 2016).

La Corte ha aggiunto che, nell’ipotesi di critica espressa da lavoratore con funzioni di rappresentanza sindacale all’interno dell’azienda, il diritto di critica gode di un’ulteriore copertura costituzionale costituita dall’art. 39 Cost., nel momento in cui l’espressione di pensiero è finalizzata al perseguimento di un interesse collettivo, sicché si è affermato che il lavoratore sindacalista è titolare di due distinti rapporti con l’imprenditore: come lavoratore, in posizione subordinata con il datore di lavoro, e come sindacalista, invece in una posizione parificata a quella della controparte in virtù delle richiamate garanzie costituzionali (Cass. n. 11436 del 1995; Cass. n. 7091 del 2001; Cass. n. 19350 del 2003; Cass. n. 7471 del 2012; Cass. n. 18176 del 2018).

La critica manifestata dal lavoratore all’indirizzo del datore di lavoro può, dunque, trasformarsi da esercizio lecito di un diritto in una condotta astrattamente idonea a configurare un illecito disciplinare, laddove superi i limiti posti a presidio della dignità della persona umana, così come predeterminati dal diritto vivente, ossia i requisiti della corrispondenza a verità dei fatti narrati (c.d. continenza sostanziale) e delle modalità espressive che possano dirsi rispettose di canoni, generalmente condivisi, di correttezza, misura e civile rispetto della dignità altrui (c.d. continenza formale), anche considerando che le modalità espressive possono assumere una valenza diversa a seconda che la manifestazione del pensiero sia contenuta in un articolo di stampa o in un servizio televisivo, oppure in un’opera letteraria o cinematografica, o in un pezzo di satira, ovvero se la critica sia esercitata nell’ambito di un rapporto contrattuale di collaborazione e fiducia che lega lavoratore e datore di lavoro.

 

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di Avv. Innocenzo Megali

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