Diritto di “scattare foto” e diritto alla privacy


Il ruolo “alto” della fotografia è quello di descrivere il mondo che ci circonda e come tale non può essere sepolto e fermato da censure
Diritto di “scattare foto” e diritto alla privacy
La fotografia italiana è dominata da un dogma: il "diritto alla propria immagine", come diritto personalissimo, assoluto, inattaccabile ed inaccessibile se non in casi particolari, compiutamente previsti e normati.
Dogma, il più delle volte, mal interpretato ed ampliato a dismisura, spesso per ignoranza delle norme fondamentali: così i fotografi (in Italia) sono terrorizzati dalla "privacy" (qualunque significato possa assumere questo termine anglofobo), dal consenso del soggetto ripreso, dalla necessità della liberatoria per poter esporre o pubblicare una fotografia.
Ma se tutto questo poteva esser giustificato negli anni ‘40 [l’art. 10 Codice Civile (1) è del 1942, mentre gli artt. 96 (2) e 97 della L. 633 sono del 1941 (3) e tutti esprimono il concetto dell’impossibilità di esporre, riprodurre e mettere in commercio il ritratto (le sembianze...) senza il consenso dell’interessato salvo eccezioni particolari , il progredire della società e le differenti esigenze informative e di comunicazione e, non ultime, le novità tecnologiche, devono far differentemente interpretare queste norme.
E non solo: il D. lgs. 196/2003 (la c.d. legge sulla privacy) ha inserito una fattispecie di esenzione dal consenso che incidono grandemente sul dogma enunciato in apertura.
Già un’interpretazione innovativa (ma coerente con il sistema) della funzione "culturale" dell’esenzione contenuta nell’art. 97 L. 633/1941 può dare buoni spunti: la fotografia è un media complesso, capace ed contemporaneamente incapace di trasmettere informazioni e valori, anche culturali. Facile con un’immagine descrivere qualcosa che riteniamo diverso da noi in quanto appartenente ad una differente area geografica o sociale, difficile far comprendere con un’immagine (se non con un testo a supporto) la complessità della realtà che ci sta davanti. Spesso la fotografia (sia per problemi di comunicazione che di lettura da parte del fruitore) non parla ma si vorrebbe che parlasse da sola. Ed anche per le sembianze di una persona, quanto detto non cambia: il ritratto di una persona può aver diverso significato (e il significato è l’uso che se ne fa) se esposto in mostra amatoriale (qui serve il consenso) piuttosto che invece in un’esposizione per documentare le mutazioni nel tessuto sociale di un quartiere o di una città (qui non serve il consenso). Per cui "culturale" significherebbe un uso informativo e nello stesso tempo rappresentazione all’interno di un contesto complesso, se non addirittura di un progetto preliminarmente precisato.
Se poi connettiamo insieme la disciplina specifica sull’attività giornalistica e le altre manifestazioni del pensiero [gli artt. 136 e 137 D. lgs. 196/2003 (4)], il dogma può ancora venir rimodellato e circostanziato ad una serie specifica di situazioni nelle quali sia realmente necessario il consenso per l’esposizione delle sembianze di una persona.
Così, grazie alle nostre macchinette digitali e ai telefonini dotati di camera (che portiamo sempre con noi), possiamo consideraci tutti "giornalisti" nel momento in cui tendiamo a "informare" e a "descrivere" realtà ed a trasmettere tutto questo a chiunque.
Purché questa informazione avvenga in modo preciso, sincero e globale: nessuna differenza tra il giornalista con la penna e quello con la macchina fotografica, nessuna necessità di chiedere consensi per descrivere il mondo che ruota intorno a noi, nei suoi aspetti positivi o negativi che siano.
Il ruolo del giornalista e del fotoreporter (dando al termine una valenza assolutamente non spregiativa) si fondono con un risultato unico: il reportage diventa arma di denuncia, le fotografie urlano tutta la contestazione della società civile contro chi usa (o ha usato) uomini e cose per scopi speculativi o illeciti ed ha ridotto tutto quanto a degrado ambientale ed umano. Questo è il ruolo "alto" della fotografia, che non può essere sepolta e fermata da censure preventive e successive, quali la necessità di un ipotetico consenso.
Avv. Massimo Stefanutti

Riferimenti normativi:
(1) Art. 10 Codice Civile
Abuso dell'immagine altrui
Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni.
(2) Art.96 L. 633/1941
Il ritratto di una persona non può essere esposto, riprodotto o messo in commercio senza il consenso di questa, salve le disposizioni dell'articolo seguente
(3) Art.97 L. 633/1941
Non occorre il consenso della persona ritrattata quando la riproduzione dell'immagine è giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l'esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritrattata.
(4) Art. 136 D. lgs. 196/2003:. Finalità giornalistiche e altre manifestazioni del pensiero
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Art. 137. Disposizioni applicabili
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2. Il trattamento dei dati di cui al comma 1 è effettuato anche senza il consenso dell'interessato previsto dagli articoli 23 e 26.
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di Avv. Massimo Stefanutti

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