Diritto penale alimentare


Impresa agroalimentare, adozione del modello 231, il nuovo articolo 6 bis, il reato agroalimentare e di caporalato
Diritto penale alimentare
In questi giorni è al vaglio parlamentare, il disegno di legge numero 2231, elaborato dalla commissione presieduta da Giancarlo Caselli, recante "Nuove norme in materia di reati agroalimentari", sollecitato altresì dall’introduzione del recente reato di "caporalato", il quale estende la condanna, non più soltanto al caporale, intermediario tra azienda e bracciante, bensì anche al datore di lavoro stesso (anche persona giuridica), il quale impiega personale reclutato dai caporali; tale fattispecie non rappresenta un novum, visto che era stata inserita nel codice penale già nel 2011, punendo l’intermediazione con la reclusione da 5 ad 8 anni e con multe da 1.000 a 2.000 euro per ogni lavoratore reclutato, senza tuttavia determinare, in modo chiaro, il concetto stesso di "intermediazione", prevedendo, altresì, elementi specifici per stabilire lo sfruttamento, si pensi alla presenza di comportamenti violenti, minacciosi, intimidatori, ora non più previsti. Nella nuova formulazione infatti, tali comportamenti stanno in rapporto di genus a species, rispetto al reato base, di caporalato.

Con il nuovo testo di legge, se approvato, verrà inserita una specifica responsabilità amministrativa delle persone giuridiche in materia agroalimentare, che comprenderà anche la suindicata fattispecie penale. Invero il titolo terzo del disegno in analisi, in particolare l’articolo 31, introduce, il nuovo articolo 6 bis, all’interno del Decreto legislativo numero 231 del 2001, rubricato "modelli di organizzazione dell’ente qualificato come impresa alimentare", il quale delinea quelli che sono gli obblighi giuridici, nazionali e sovranazionali, che devono essere perseguiti, attraverso l’adozione di un idoneo modello di organizzazione e gestione. Tale previsione è accompagnata dalla necessità di una predisposizione che preveda altresì: idonei sistemi di registrazione delle attività, un’articolazione di funzioni capace di garantire sufficienti competenze tecniche, un adeguato sistema disciplinare e soprattutto un sistema di vigilanza e controllo sull’attuazione del modello e sul mantenimento nel tempo delle condizioni di idoneità delle misure adottate.
Il progetto punta forte alla semplificazione, un esempio è rappresentato dalla possibilità per le piccole e medie imprese agroalimentari, di assegnare il compito di vigilanza ad un solo soggetto, naturalmente dotato di adeguata professionalità e specifica competenza nel settore alimentare, sulla stessa falsariga, è inoltre prevista la facoltà per il titolare di imprese alimentari aventi meno di 10 dipendenti ed un volume d’affari annuo inferiore a 2 milioni di euro, di svolgere direttamente i compiti di prevenzione e tutela della sicurezza degli alimenti o mangimi e della lealtà commerciale. In termini pratici, viene riconosciuta una sorta di presunzione di idoneità del modello organizzativo, con la conseguente riduzione del margine di discrezionalità sull’applicazione della normativa, infatti grazie alla dettagliata ed analitica indicazione contenuta nell’articolo 6 bis, il giudice vedrà semplificati i propri compiti, dal momento che dovrà valutare l’idoneità del modello su parametri determinati e precisi. Qualcuno ha già criticato tale scelta di campo, contestando il relativo aumento dei costi gestionali e degli oneri burocratici gravanti sulle imprese, tuttavia, intelligentemente, tali spese, dovrebbero essere viste, più come un investimento, dal momento che da un lato la garanzia rispetto ai rischi penali, sarebbe sicuramente, di gran lunga maggiore, dall’altro si andrebbe ad implementare, ulteriormente, il sistema organizzativo interno delle imprese stesse.

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di Avv. Gianluca Iaione- Dott. P. G. Caputo

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