Discrimen tra furto aggravato e truffa
Manomissione del contatore dell`energia elettrica con il magnete

Preliminarmente è interessante interrogarsi circa l’inquadramento giuridico della condotta di chi, per mezzo di un magnete o altro, modifica il contatore, alterando il normale conto degli scatti.
Prima facie tale condotta potrebbe essere sussunta nella fattispecie astratta della truffa ex art. 640 cp[1]; tuttavia, una lettura più attenta e, soprattutto, sistemica, che tenga conto dei principi che orientano il sistema codicistico nonché dei relativi orientamenti giurisprudenziali, conduce ad inquadrare la fattispecie nell’alveo della ipotesi di furto aggravato.
Recita infatti l’art. 624 del c.p.: Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene (è questo il punto: l’ENEL da l’energia elettrica senza costrizione, ma l’utente con artifizi e raggiri fa apparire un consumo diverso), al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516.
Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
Per espressa previsione legislativa l'energia elettrica è da considerarsi cosa mobile a tutti gli effetti; pertanto l'utilizzo abusivo di energia elettrica attraverso la manomissione dei cavi conduttori o del contatore, può costituire reato punibile ai sensi dell'art. 624 c.p.
La giurisprudenza di legittimità ha affrontato in numerose occasioni il caso di utilizzo indebito di energia elettrica mediante alterazione del contatore oscillando tra diverse interpretazioni.
L'orientamento prevalente ed attuale è quello di considerare l'indebito utilizzo di energia elettrica, sia che avvenga tramite manomissione del contatore affinché faccia registrare un consumo minore, sia che risulti evitata qualsiasi registrazione di scatti, una fattispecie che integra gli estremi del delitto di furto, aggravato dal mezzo fraudolento ed eventualmente dalla violenza sulle cose, qualora vi sia materiale modificazione dei cavi conduttori o del contatore.
Il delitto di truffa si distingue infatti dal furto con mezzo fraudolento nella circostanza che nella truffa il consenso del soggetto passivo viene estrapolato attraverso gli artifizi e i raggiri e talvolta è accompagnato dalla collaborazione di quest'ultimo; nel furto, al contrario, l'impossessamento della cosa mobile avviene sempre invito domino, ovvero senza il consenso del titolare del diritto. Pertanto è radicalmente differente il modo in cui l'agente consegue il profitto. L’ipotesi delittuosa così inquadrata prevede una pena da uno a sei anni.
Ciò nonostante, ci si augura che il fatto venga qualificato come truffa, atteso che l’art. 640 cp, anche nell’ipotesi del secondo comma n. 1, prevede una pena inferiore rispetto all’ipotesi di furto aggravato.
Relativamente alla questione del rito, è evidente che la scelta tra rito ordinario e speciale comporta una diversa impostazione della linea difensiva nonché diverse conseguenze pratiche.
Nell’ambito del rito ordinario, per esempio, durante l’istruttoria dibattimentale occorrerà:
· accertare quando è stata eseguita la manomissione, poiché il semplice accertamento non può far ricadere la responsabilità penale sul padrone del tabacchi, se questi per esempio la disconosce.
· svolgere delle verifiche tecniche da parte della Società di erogazione del servizio pubblico per quantificare esattamente l’ammontare del danno economico subito dall’impiego dello strumento in argomento rispetto alla normale erogazione antecedente alla manomissione attraverso una ricostruzione dei consumi.
· verificare se il magnete è idoneo ad alterare il consumo di energia (servono magneti molto forti e devono avere anche forma opportuna affinché il suo effetto si senta fin dentro al contatore, dove c'è il trasformatore di corrente. Inoltre, in alcuni modelli di contatore a lettura remota sono installati sensori di campo magnetico che si accorgono se viene applicato un campo magnetico inusuale e identificano così il tentativo manomettere il contatore con un magnete. Così mandano la segnalazione di tentato sabotaggio del contatore all'azienda): è quindi necessario effettuare perizia sul magnete, verificando la concreta possibilità della manomissione e conseguente alterazione dei consumi;
Tuttavia, il discrimen tra la scelta del rito ordinario o di un patteggiamento presuppone un’analisi delle cause ostative alla licenza.
L’art. 6 della lg 1293/1957 (cause di esclusione dalla gestione dei magazzini di vendita) espressamente prevede che non può gestire un magazzino chi: "abbia riportato condanne: a) per offese alla persona del Presidente della Repubblica ed alle Assemblee legislative; b) per delitto punibile con la reclusione non inferiore nel minimo ad anni tre, ancorché, per effetto di circostanze attenuanti, sia stata inflitta una pena di minore durata ovvero per delitto per cui sia stata irrogata una pena che comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; c) per delitto contro il patrimonio, la moralità pubblica, il buon costume, la fede pubblica, la pubblica Amministrazione, l'industria ed il commercio, tanto se previsto dal Codice penale quanto da leggi speciali ove la pena inflitta sia superiore a trenta giorni di reclusione ovvero ad una multa commutabile, a norma del Codice penale, nella reclusione non inferiore a trenta giorni a meno che, in entrambi i casi, il condannato non goda della sospensione condizionale della pena.
In base a quanto disposto sembrerebbe che la sentenza di patteggiamento non sia ostativa alla gestione del magazzino. Ragionamento basato, inoltre, sulla circostanza che in altre sedi nelle quali si richiedono "requisiti di onorabilità", per esempio concorsi pubblici, rilascio di rating di legalità per le aziende, espressamente si richiede che nei confronti dei soggetti rilevanti non devono essere state adottate misure di prevenzione personale e/o patrimoniale o misure cautelari personali e/o patrimoniali o non essere stata pronunciata sentenza di condanna, o emesso decreto penale di condanna, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
Tuttavia, diversamente argomentando, sarebbe utile interrogarsi anche e soprattutto sulla interpretazione giurisprudenziale circa la natura della sentenza di patteggiamento.
Le più recenti decisioni della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione non riconoscono alla sentenza di patteggiamento natura di vera e propria pronunzia di condanna, per l'assenza di una esplicita affermazione di colpevolezza dello imputato, anche se non ne negano il tratto comune costituito dal momento afflittivo della pena (Corte Cost., 06.06.1991, n.251; Cass.,Sez. Un., 08.05.1996, n. 11 e 18.04.1997, n.1). Anche presso la giurisprudenza amministrativa l'indirizzo favorevole alla equiparazione del patteggiamento a condanna ha subito una progressiva erosione a favore dell'orientamento in base al quale la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna deriva dalla funzione stessa dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che non è quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l'esistenza del reato, e, quindi, della colpevolezza, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento, con l'irrogazione della sanzione derivante dall'accordo tra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante (Cons. Stato, IV sez., 23.02.1999, n.188 e 20.09.2000, n. 4937).
Alla luce di quanto esposto, si rileva che la scelta del patteggiamento sarebbe rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione relativamente sia alla interpretazione della legge sia alla natura della sentenza. Pertanto, la scelta del rito ordinario meglio si concilia con una attività difensiva ad ampio raggio che potrebbe, verosimilmente, condurre ad una sentenza di assoluzione. Nel caso, invece, di una sentenza di condanna l’imputato potrebbe comunque beneficiare delle attenuanti generiche nonché della sospensione condizionale della pena (beneficio di non poco rilievo attesa l’indicazione di cui alla lett. c dell’art. 6 della legge richiamata). In ultima istanza si potrebbe puntare alla prescrizione.
[1] Isolate pronunce della Corte di legittimità hanno sostenuto che la manomissione del contatore dell’ente erogatore al fine di assicurarsi la fruizione indebita di energia elettrica potesse configurare truffa, a causa del raggiro perpetrato ai danni dell’ente il quale, per la manipolazione sul misuratore di energia, non veniva più messo nelle condizioni di determinarne l’erogazione e di vigilarne l’uso (Cass. 1328/89 e 1102/89).
Prima facie tale condotta potrebbe essere sussunta nella fattispecie astratta della truffa ex art. 640 cp[1]; tuttavia, una lettura più attenta e, soprattutto, sistemica, che tenga conto dei principi che orientano il sistema codicistico nonché dei relativi orientamenti giurisprudenziali, conduce ad inquadrare la fattispecie nell’alveo della ipotesi di furto aggravato.
Recita infatti l’art. 624 del c.p.: Chiunque s’impossessa della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene (è questo il punto: l’ENEL da l’energia elettrica senza costrizione, ma l’utente con artifizi e raggiri fa apparire un consumo diverso), al fine di trarne profitto per sé o per altri, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 154 a euro 516.
Agli effetti della legge penale, si considera cosa mobile anche l’energia elettrica e ogni altra energia che abbia un valore economico.
Per espressa previsione legislativa l'energia elettrica è da considerarsi cosa mobile a tutti gli effetti; pertanto l'utilizzo abusivo di energia elettrica attraverso la manomissione dei cavi conduttori o del contatore, può costituire reato punibile ai sensi dell'art. 624 c.p.
La giurisprudenza di legittimità ha affrontato in numerose occasioni il caso di utilizzo indebito di energia elettrica mediante alterazione del contatore oscillando tra diverse interpretazioni.
L'orientamento prevalente ed attuale è quello di considerare l'indebito utilizzo di energia elettrica, sia che avvenga tramite manomissione del contatore affinché faccia registrare un consumo minore, sia che risulti evitata qualsiasi registrazione di scatti, una fattispecie che integra gli estremi del delitto di furto, aggravato dal mezzo fraudolento ed eventualmente dalla violenza sulle cose, qualora vi sia materiale modificazione dei cavi conduttori o del contatore.
Il delitto di truffa si distingue infatti dal furto con mezzo fraudolento nella circostanza che nella truffa il consenso del soggetto passivo viene estrapolato attraverso gli artifizi e i raggiri e talvolta è accompagnato dalla collaborazione di quest'ultimo; nel furto, al contrario, l'impossessamento della cosa mobile avviene sempre invito domino, ovvero senza il consenso del titolare del diritto. Pertanto è radicalmente differente il modo in cui l'agente consegue il profitto. L’ipotesi delittuosa così inquadrata prevede una pena da uno a sei anni.
Ciò nonostante, ci si augura che il fatto venga qualificato come truffa, atteso che l’art. 640 cp, anche nell’ipotesi del secondo comma n. 1, prevede una pena inferiore rispetto all’ipotesi di furto aggravato.
Relativamente alla questione del rito, è evidente che la scelta tra rito ordinario e speciale comporta una diversa impostazione della linea difensiva nonché diverse conseguenze pratiche.
Nell’ambito del rito ordinario, per esempio, durante l’istruttoria dibattimentale occorrerà:
· accertare quando è stata eseguita la manomissione, poiché il semplice accertamento non può far ricadere la responsabilità penale sul padrone del tabacchi, se questi per esempio la disconosce.
· svolgere delle verifiche tecniche da parte della Società di erogazione del servizio pubblico per quantificare esattamente l’ammontare del danno economico subito dall’impiego dello strumento in argomento rispetto alla normale erogazione antecedente alla manomissione attraverso una ricostruzione dei consumi.
· verificare se il magnete è idoneo ad alterare il consumo di energia (servono magneti molto forti e devono avere anche forma opportuna affinché il suo effetto si senta fin dentro al contatore, dove c'è il trasformatore di corrente. Inoltre, in alcuni modelli di contatore a lettura remota sono installati sensori di campo magnetico che si accorgono se viene applicato un campo magnetico inusuale e identificano così il tentativo manomettere il contatore con un magnete. Così mandano la segnalazione di tentato sabotaggio del contatore all'azienda): è quindi necessario effettuare perizia sul magnete, verificando la concreta possibilità della manomissione e conseguente alterazione dei consumi;
Tuttavia, il discrimen tra la scelta del rito ordinario o di un patteggiamento presuppone un’analisi delle cause ostative alla licenza.
L’art. 6 della lg 1293/1957 (cause di esclusione dalla gestione dei magazzini di vendita) espressamente prevede che non può gestire un magazzino chi: "abbia riportato condanne: a) per offese alla persona del Presidente della Repubblica ed alle Assemblee legislative; b) per delitto punibile con la reclusione non inferiore nel minimo ad anni tre, ancorché, per effetto di circostanze attenuanti, sia stata inflitta una pena di minore durata ovvero per delitto per cui sia stata irrogata una pena che comporta l'interdizione perpetua dai pubblici uffici; c) per delitto contro il patrimonio, la moralità pubblica, il buon costume, la fede pubblica, la pubblica Amministrazione, l'industria ed il commercio, tanto se previsto dal Codice penale quanto da leggi speciali ove la pena inflitta sia superiore a trenta giorni di reclusione ovvero ad una multa commutabile, a norma del Codice penale, nella reclusione non inferiore a trenta giorni a meno che, in entrambi i casi, il condannato non goda della sospensione condizionale della pena.
In base a quanto disposto sembrerebbe che la sentenza di patteggiamento non sia ostativa alla gestione del magazzino. Ragionamento basato, inoltre, sulla circostanza che in altre sedi nelle quali si richiedono "requisiti di onorabilità", per esempio concorsi pubblici, rilascio di rating di legalità per le aziende, espressamente si richiede che nei confronti dei soggetti rilevanti non devono essere state adottate misure di prevenzione personale e/o patrimoniale o misure cautelari personali e/o patrimoniali o non essere stata pronunciata sentenza di condanna, o emesso decreto penale di condanna, oppure sentenza di applicazione della pena su richiesta, ai sensi dell'articolo 444 del codice di procedura penale.
Tuttavia, diversamente argomentando, sarebbe utile interrogarsi anche e soprattutto sulla interpretazione giurisprudenziale circa la natura della sentenza di patteggiamento.
Le più recenti decisioni della Corte Costituzionale e della Corte di cassazione non riconoscono alla sentenza di patteggiamento natura di vera e propria pronunzia di condanna, per l'assenza di una esplicita affermazione di colpevolezza dello imputato, anche se non ne negano il tratto comune costituito dal momento afflittivo della pena (Corte Cost., 06.06.1991, n.251; Cass.,Sez. Un., 08.05.1996, n. 11 e 18.04.1997, n.1). Anche presso la giurisprudenza amministrativa l'indirizzo favorevole alla equiparazione del patteggiamento a condanna ha subito una progressiva erosione a favore dell'orientamento in base al quale la non equivalenza della sentenza di patteggiamento alla sentenza di condanna deriva dalla funzione stessa dell'istituto dell'applicazione della pena su richiesta delle parti, che non è quella di accertare, con gli effetti propri del giudicato, l'esistenza del reato, e, quindi, della colpevolezza, bensì quella di risolvere in tempi brevi il procedimento, con l'irrogazione della sanzione derivante dall'accordo tra le parti in giudizio, approvato dall'autorità giudicante (Cons. Stato, IV sez., 23.02.1999, n.188 e 20.09.2000, n. 4937).
Alla luce di quanto esposto, si rileva che la scelta del patteggiamento sarebbe rimessa alla discrezionalità dell’amministrazione relativamente sia alla interpretazione della legge sia alla natura della sentenza. Pertanto, la scelta del rito ordinario meglio si concilia con una attività difensiva ad ampio raggio che potrebbe, verosimilmente, condurre ad una sentenza di assoluzione. Nel caso, invece, di una sentenza di condanna l’imputato potrebbe comunque beneficiare delle attenuanti generiche nonché della sospensione condizionale della pena (beneficio di non poco rilievo attesa l’indicazione di cui alla lett. c dell’art. 6 della legge richiamata). In ultima istanza si potrebbe puntare alla prescrizione.
[1] Isolate pronunce della Corte di legittimità hanno sostenuto che la manomissione del contatore dell’ente erogatore al fine di assicurarsi la fruizione indebita di energia elettrica potesse configurare truffa, a causa del raggiro perpetrato ai danni dell’ente il quale, per la manipolazione sul misuratore di energia, non veniva più messo nelle condizioni di determinarne l’erogazione e di vigilarne l’uso (Cass. 1328/89 e 1102/89).
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